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### Titolo: Corso dell'Impero. ### Introduzione: Il Corso dell'Impero (in inglese: The Course of Empire) è una serie di cinque dipinti realizzati tra il 1833 ed il 1836 da Thomas Cole, uno dei maggiori esponenti della Hudson River School. L'opera d'arte fu acquisita nel 1858 dalla New-York Historical Society come donazione per la New-York Gallery of Fine Arts e comprende i seguenti episodi: Stato Selvaggio; Stato Arcadico o Pastorale; Compimento dell'Impero; Distruzione; Desolazione. I quadri hanno le dimensioni di 100 × 161 cm, eccetto la Compimento dell'Impero, che è di 130 × 193 cm. Il ciclo, visto anche come un'allegoria dell'America, rappresenta le fasi del decadimento dell'umanità, che a partire dalla beatitudine dello stato selvaggio, degenera a causa dell'incivilimento, fino a giungere al declino e infine alla totale estinzione. L'allegoria è illustrata mediante la rappresentazione di uno stesso paesaggio in epoche storiche diverse. Viene mostrata la crescita e la caduta di una città immaginaria situata all'estremità inferiore della valle di un fiume, quest'ultima è distintamente identificabile in ogni dipinto, in parte a causa di un punto di riferimento insolito: un grande masso è precariamente posto in cima a una falesia che domina la valle. Alcuni critici ritengono che questa rappresentazione mostri il contrasto tra l'immutabilità della terra e la transitorietà dell'uomo. Cole venne particolarmente influenzato dal Grand Tour che effettuò nel 1829 in Europa, dove osservò nei musei le opere di altri artisti romantici. Egli fu affascinato dalle rovine delle antiche civiltà – in particolare da quelle romane – a tal punto da incentrare su di esse gran parte dei suoi dipinti successivi, tra i quali il Sogno dell'Architetto. Una fonte diretta di ispirazione letteraria per i dipinti del Corso dell'Impero è Il pellegrinaggio del giovane Aroldo di Byron (1812-18). Nelle sue pubblicità sui giornali per la serie, Cole citò il seguente versetto dal Canto IV – Italia:. ### Descrizione del ciclo.
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### Titolo: Ritratto di famiglia Anguissola. ### Introduzione: Il Ritratto di famiglia Anguissola è un dipinto di Sofonisba Anguissola, in cui sono presenti suo padre Amilcare (1492-1573), suo fratello Asdrubale e sua sorella Minerva che, quando Vasari vide il dipinto, era da poco defunta. Sulla scorta dell'età dimostrata da Asdrubale, che sappiamo nato nel 1551, il dipinto è databile 1558. ### Descrizione. Le persone sono viste al naturale, impegnate in reciproci rapporti di protezione e tenerezza. Ritratto di famiglia Anguissola è stato infatti così descritto: «Affettuoso ritratto di tre membri di una stessa famiglia, quest'opera coglie le somiglianze e le differenze di personalità e le inquadra in una composizione ambiziosa.»Nella composizione sono presenti sia le forme auliche e dinastiche, tipiche dei ritratti di famiglie regnanti, sia quelle più intime dei ritratti di famiglie alto borghesi e nobili. Non manca il cagnolino, simbolo di fedeltà e di amicizia. In casa Anguissola anche le figlie avevano la possibilità di studiare, di affinare quindi i propri talenti, di partecipare poi alla vita culturale cittadina. Minerva era una donna dotta, eccellente nella poesia, nella filosofia, nell'eloquenza. Le ragazze Anguissola appartenevano ad un ceto elevato e in famiglia si curava la formazione della donna. I dipinti di Sofonisba Anguissola e quelli delle sue sorelle non erano pagati, bensì donati. Minerva, elegante nel suo abito damascato, con una mano sostiene la veste rimboccata e con l'altra stringe un mazzolino di fori. Era stata raffigurata da sua sorella Sofonisba nella Partita a scacchi, dipinta nel 1555. Asdrubale, col suo corto spadino, con i suoi guanti di pelle sottile, ha l'atteggiamento sicuro del rampollo di una famiglia nobile e affermata. Il padre invece punta gli occhi fuori del quadro, verso lo spettatore. Lo sguardo tenero della sorella, dal sorriso in chiave leonardesca, si accompagna all'atteggiamento fiducioso del fratello, conscio di rappresentare la continuità dinastica. Lo spazio è delimitato da tre tronchi d'albero, collegati da un drappo rosso: sono una quinta al paesaggio alla fiamminga, sfumato in cilestrino. Un tronco è spezzettato e allude alla caducità della vita. Nella parte bassa del dipinto si notano spazi di non finito, probabilmente per la partenza di Sofonisba Anguissola per la Spagna, nel 1559.«Il triplice ritratto di Sofonisba oggi a Nivå, databile intorno al 1558, si collega a quest'opera, quasi senza soluzione di continuità, nell'apertura sul paesaggio di estrazione emiliana, [...] e nella nota dell'azzurro della veste di Minerva, che domina e si effonde con la stessa sommessa intensità del mantello della Madonna al centro della pala di San Pietro.»Il volto di Minerva risente ancora di sollecitazioni leonardesche. Delicate sono le velature sui volti. Nel Ritratto di famiglia Anguissola Sofonisba ha descritto una vita familiare intensa e concorde: un dialogo stringente si crea fra la tela e chi guarda il dipinto.
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### Titolo: Malinconia (Munch). ### Introduzione: Malinconia (in norvegese Melankoli) è una serie realizzata dal pittore norvegese Edvard Munch e composta da 5 tele (1891-1896) e due xilografie (1897-1902). Il motivo ritrae, in primissimo piano, un uomo seduto su una spiaggia con il capo sorretto dalla mano. Nella cala sullo sfondo una coppia è in procinto di imbarcarsi. I colori accentuano l’atmosfera malinconica della scena. La serie fa riferimento alla sfortunata relazione tra l’amico giornalista di Munch Jappe Nilssen e Oda Krohg, moglie del pittore Christian Krohg. Munch si rispecchia nella vicenda amorosa, in quanto in passato aveva avuto lui stesso una relazione con una donna sposata. La figura malinconica in primo piano può dunque essere associata sia a Nilssen che al pittore. Malinconia è una delle prime opere simboliste dell’artista norvegese e fa parte del suo Fregio della vita. ### Descrizione. In primo piano, nell’angolo destro della tela, un uomo siede, ripiegato su se stesso, su una spiaggia rocciosa. Si sorregge pensieroso il capo con la mano, tipico atteggiamento malinconico. La versione del 1892 si discosta dalle altre, in quanto l’uomo è completamente confinato nell’angolo in basso a destra, voltando le spalle alla spiaggia. La postura e la posizione della mano lo proiettano al di fuori della scena. L’isolamento della figura fa sì che l’occhio dello spettatore ritorni sullo sfondo percependolo come un soggetto di altrettanta importanza. Nella parte superiore del dipinto si notano tre figure su un pontile: una coppia e un uomo con in mano dei remi. Si dirigono verso una barca gialla attraccata. La riva sinuosa che precede il pontile, congiungendosi agli alberi e alle nuvole, crea profondità prospettica. La prima versione del dipinto, risalente al 1891, è una combinazione di più tecniche pittoriche: pastello, colori a olio e matita su tela; alcune porzioni di tela non sono state dipinte. Secondo il critico Hans Dieter Huber, questo conferisce al dipinto lo stile degli affreschi realizzati a secco. Anche le successive versioni a olio mantengono forme bidimensionali e contorni semplificati che ricordano il sintetismo. Mancano prospettiva aerea e ombreggiatura; solo la testa e le mani del protagonista sono connotate da una tridimensionalità plastica. Secondo i critici Tone Skedsmo e Guido Magnaguagno, il dipinto anticipa, con le sue pennellate fluide e con la “semplificazione e stilizzazione di linee, forme e colori”, lo stile delle opere successive di Munch.
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### Titolo: Madonna di Veveri. ### Introduzione: La Madonna di Veveri (Madona z Veveří in ceco, Madonna von Eichhorn o Madonna von Veveří in tedesco) è un dipinto a tempera su tavola (79,5 x 62,5 cm) attribuito al Maestro del Ciclo di Vyššì Brod, databile al 1344-1350 circa. ### Descrizione e stile. Su un astratto fondo oro, il dipinto mostra la Madonna che avvicina al viso Gesù bambino. Maria è vestita con un mantello rosso, con l'orlo dorato, e ha i capelli esposti; porta sul capo una doppia corona (che richiama il titolo di Maria Regina). Il bambino lancia un intenso sguardo verso la madre; la sua mano sinistra è sul mantello, mentre nella mano destra tiene un cardellino, simbolo della Passione.
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### Titolo: Disegni per la Divina Commedia (Botticelli). ### Introduzione: 100 disegni danteschi su pergamena furono commissionati a Sandro Botticelli, tra il 1480 e il 1495, da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, detto il Popolano, cugino di secondo grado di Lorenzo il Magnifico. Per lui, Botticelli realizzò due tra le sue opere più famose: Pallade che doma il centauro e la Primavera, dipinti oggi conservati agli Uffizi. I Disegni per la Divina Commedia conosciuti sono 92. L'unico completato è quello che introduce i Canti dell'Inferno, cioè La voragine infernale. La Divina Commedia Illustrata di Botticelli è un manoscritto della Divina Commedia di Dante, illustrato da 92 quadri a tutta pagina di Sandro Botticelli che sono considerati capolavori e tra le migliori opere del pittore rinascimentale. Il manoscritto alla fine scomparve e la maggior parte di esso fu riscoperta alla fine del XIX secolo, essendo stato rilevato nella collezione del duca di Hamilton da Gustav Friedrich Waagen, con alcune altre pagine trovate nella Biblioteca Vaticana. Botticelli aveva precedentemente prodotto disegni, ora perduti, da trasformare in incisioni per un'edizione stampata, anche se furono illustrati solo i primi diciannove dei cento canti. Nel 1882 la parte principale del manoscritto fu aggiunta alla collezione del Kupferstichkabinett Berlin (Museo delle stampe e dei disegni) quando il direttore Friedrich Lippmann acquistò 85 dei disegni di Botticelli. Lippmann si era mosso rapidamente e silenziosamente, e quando la vendita fu annunciata ci fu una notevole protesta nella stampa britannica e nel Parlamento. Poco dopo, è stato rivelato che altri otto disegni dello stesso manoscritto erano nella Biblioteca Vaticana. I disegni rilegati erano stati nella collezione della regina Cristina di Svezia e dopo la sua morte a Roma nel 1689, erano stati acquistati da papa Alessandro VIII per la collezione vaticana. Il tempo di separazione di questi disegni è sconosciuto. La Mappa dell'Inferno è nella collezione del Vaticano. L'esatta disposizione del testo e delle illustrazioni non è nota, ma una disposizione verticale - posizionando la pagina dell'illustrazione in cima alla pagina di testo - è concordata dagli studiosi come un modo più efficiente per combinare le coppie testo-illustrazione. Un volume progettato per aprirsi verticalmente sarebbe di circa 47 cm di larghezza per 64 cm di altezza, e incorporerebbe sia il testo che l'illustrazione per ogni canto su una singola pagina. ### Descrizione e storia. La serie dantesca di Botticelli è stata smembrata in due gruppi: 85 pergamene sono nel nuovo Kupferstichkabinett, che ha riunito le raccolte dei due Musei statali di Berlino; 7 pergamene (con 8 tavole) - acquistate da Alessandro VIII nel 1669 e provenienti dalla collezione della regina Cristina di Svezia - sono alla Biblioteca Apostolica Vaticana.In un manoscritto anonimo, conservato a Firenze e datato 1540, si ricorda che Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici aveva commissionato un ricco manoscritto della Divina Commedia, incaricando il copista Niccolò Mangona di scriverne il testo e a Sandro Botticelli di realizzarne le illustrazioni, una per ogni Canto, oltre alla prima con lo spaccato dell'Inferno. Per completare il corpus dei 100 disegni per i canti della Commedia, mancano 8 tavole dell'Inferno, considerate perdute (II-III-IV-V-VI-VII, XI, XIV) e le tavole per due canti del Paradiso (XXXI e XXXIII), che forse non furono mai realizzate. Tra le 92 tavole a noi giunte ci sono La voragine infernale (o Pianta dell'Inferno) e Inferno Canto I - tavole che sono state disegnate rispettivamente sul recto e sul verso di uno stesso foglio di pergamena- e Il grande Satana che occupa invece un foglio doppio. La pergamena del Canto X dell'Inferno presenta un principio di colorazione nelle vesti dei personaggi, mentre le pergamene dei Canti XXXI e XXXIII del Paradiso sono rimaste totalmente prive d'illustrazione. I fogli, di pergamena di pecora, misurano circa 32,5 cm di altezza e 47,5 cm di larghezza; ma il Grande Satana misura 46,8x63,5 cm. Ad eccezione de La voragine infernale, le illustrazioni sono state dipinte sul lato interno e liscio della pelle; mentre il testo era sul lato esterno e poroso, detto il fiore. L'illustrazione per il XVIII Canto dell'Inferno è colorata a tempera. Botticelli si è servito di diversi strumenti: per le linee basilari della composizione ha utilizzato lo stilo d'argento con piombo; per precisare i contorni li ha poi ripassati a penna e inchiostro ocra, o oro, o nero. Pochi disegni sono stati da lui completati ed interamente oppure parzialmente colorati. L'unico completo è La voragine infernale che apre la serie. È una suggestiva rappresentazione globale dell'Inferno dantesco: un grande imbuto, con qualche elemento architettonico e con figure miniaturizzate, una summa quindi, sintetica ma completa, delle successive scene dell'Inferno. L'intera opera rappresenta un continuum narrativo, una sequenza del viaggio letterario, didattico, morale, filosofico. Ha scritto Bernard Berenson: «Sarebbe assurdo pretendere che puri contorni, come si hanno nei disegni del Botticelli, rendano l'intera gamma di sensazioni, di passioni, di emozioni, che si succedono rapidamente nei versi di Dante. Sarebbe come voler rendere la Nona Sinfonia di Beethoven o il Dies Irae di Berlioz usando come solo strumento il corno da caccia.» Per Berenson, Botticelli non era l'artista adatto ad illustrare la Divina Commedia, ad interpretare la forza espressiva, la drammaticità di Dante: «Nella sua mano la linea acquista una purezza alata, che nell'universo sensibile trova riscontro solo in alcune estatiche note di violino, o nei timbri più cristallini di una melodica voce di soprano. Riducendosi a ciò che offriva, o non offriva, spunti a rapsodie di linee pure, alate, il mondo del Botticelli era dei più semplici: nella Commedia egli vide un tema adatto alla sua arte, interpretandolo alla luce di quest'unica, semplice esigenza.».
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### Titolo: Sacello di Santa Margherita. ### Introduzione: Il Sacello è collocato nell'alta Valle San Martino sul Monte Santa Margherita, che si trova sopra l'abitato di Monte Marenzo. ### Descrizione. Il sacello è composto da una navata orientata verso est e una piccola abside a pianta semicircolare. L'oratorio presenta un ciclo di affreschi delle storie di Santa Margherita. In origine tutta la superficie della chiesa doveva essere affrescata, però ora ci appare frammentaria a causa di furti e degrado. Si possono distinguere tre unità tematiche:. la Majestas Domini nell'abside, i riquadri con la Trinità e altre figure e la decorazione che incornicia l'abside. gli affreschi votivi della parete a sinistra dell'entrata principale. i riquadri con gli episodi della vita di Santa Margherita sulla parete a destra dell'entrata e sulla contro facciata.
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### Titolo: Hina te Fatou. ### Introduzione: Hina te Fatou (La luna e la terra) è un dipinto del pittore francese Paul Gauguin, realizzato nel 1893 e conservato al Museum of Modern Art di New York. ### Descrizione. Il pantheon delle divinità tahitiane fu un'inesauribile fonte d'ispirazione per Gauguin e lo stimolò a realizzare nel 1893 Hina te Fatou, uno dei suoi quadri più importanti sia per il tema scelto che per ambizioni. L'opera, infatti, raffigura quell'antico mito polinesiano dove Hina, la dea della luna, chiede a Tefatou, il «genio che animava la terra», di assicurare agli uomini l'immortalità: all'inderogabile diniego di quest'ultimo Hina reagì accettando di dirigere la ricorrenza, pressoché eterna, del moto lunare.Gauguin immagina il dialogo tra le due divinità nel modo raffigurato nel quadro. Tefatou si erge sullo sfondo e presenta una fisionomia selvaggia, propriamente oceanica, e rivolge a Hina uno sguardo virile e irremovibile. La dea della Luna ha un corpo tenero e delicatamente massiccio e ricorda nel suo complesso importanti fonti figurative occidentali, come le Bagnanti di Courbet e di Ingres: è vista di tergo e cerca, inutilmente, di intercedere a favore degli uomini. Il suo gesto è carezzevole e misericordioso, così come quello del dio terrestre è spietato e inflessibile. Da Fatou, inoltre, sgorga una sorgente tinta di un colore fiammeggiante, quasi sanguigno.L'opera, esposta nel 1893 presso la galleria Durand-Ruel, suscitò molte perplessità a causa del suo audace impianto dimensionale e cromatico, oltre che per l'ampio spazio che vi viene concesso a un «folclore» selvaggio che anche oggi non manca di generare qualche riserva. Nonostante i biasimi - si pensi a quello proveniente da Camille Pissarro - l'opera fu ammirata e acquistata da Edgar Degas, affermato pittore impressionista che anche in seguito continuò a collezionare avidamente i capolavori gauguiniani. In seguito a un articolato percorso collezionistico l'opera è infine giunta nel 1934 al Museum of Modern Art di New York, dov'è tuttora esposta.
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### Titolo: Dante e Virgilio. ### Introduzione: Dante e Virgilio (Dante et Virgile), noto anche come Dante e Virgilio all'Inferno, è un dipinto ad olio su tela realizzato dal francese William-Adolphe Bouguereau nel 1850: di dimensioni 280.5 x 225 cm, è conservato al museo d'Orsay di Parigi. ### Storia dell'opera. Reduce da due sconfitte ai Prix de Rome (1848 e 1849), Bouguereau decise di cambiare soggetto delle sue opere concentrandosi su un tema letterario. L'obiettivo era quello di suscitare nello spettatore un senso di terrore e la tela ebbe un grande successo; tuttavia, il pittore abbandonò il genere per concentrarsi su figure mitologiche. ### Descrizione.
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### Titolo: Uguaglianza davanti alla morte. ### Introduzione: Uguaglianza davanti alla morte (Egalité devant la mort) è un dipinto a olio su tela realizzato dall'artista francese William-Adolphe Bouguereau nel 1848. Di dimensioni 141x269 cm, è conservato al Musée d'Orsay di Parigi. ### Descrizione. Il soggetto del dipinto è la rappresentazione di un angelo della morte in volo, che porta con sé un lenzuolo funerario per ricoprire il corpo di un giovane uomo morto, completamente nudo. In basso, a sinistra, è possibile osservare la firma artistica di Bouguereau.
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### Titolo: Ulisse riconosciuto da Euriclea. ### Introduzione: Ulisse riconosciuto da Euriclea, in francese Ulysse reconnu par sa nourrice à son retour de Troie (letteralmente, Ulisse riconosciuto dalla sua nutrice al suo ritorno da Troia), è un dipinto ad olio su tela realizzato dall'artista francese William-Adolphe Bouguereau nel 1849. Di dimensioni 134 x 167 cm, è conservato al Musée des Beaux Arts di La Rochelle. ### Descrizione. L'opera raffigura il passo dell'Odissea in cui Ulisse, di ritorno dalla Guerra di Troia, arriva alla corte di Itaca fingendo di essere un mendicante. A riconoscerlo è solamente Euriclea, la sua vecchia balia, che, lavandogli i piedi, riconosce una vecchia cicatrice che Ulisse si era procurato da giovane.Ulisse e Euriclea dominano la scena. La vecchia balia appare sorpresa e vorrebbe annunciare il ritorno di Ulisse, ignara del fatto che egli voglia serbare l'incognito; Ulisse però reagisce prontamente, tappandole la bocca con la mano destra, mentre con il braccio sinistro la trattiene. Per via di questo movimento improvviso, il piede destro di Ulisse rovescia il vaso nel quale la vecchia lo stava lavando. In secondo piano si delineano figure appartenenti alla corte, probabilmente ancelle, mentre lo sfondo è caratterizzato dalla presenza di edifici classici e colonne di ordine ionico.
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### Titolo: Madonna di Cambrai. ### Introduzione: La Madonna di Cambrai, anche detta Notre-Dame de Grâce, è una piccola copia italo-bizantina di un'icona della Madonna Eleusa (Madonna della dolcezza) prodotta intorno al 1340 da un anonimo, forse della scuola senese.L'opera sulla quale è basata è stata probabilmente prodotta in Toscana intorno al 1300, ed influenzò un gran numero di pittori nel secolo successivo e scultori fiorentini dagli anni quaranta e cinquanta del Quattrocento. Nel XIV e XV secolo molti artisti copiarono questa versione in Italia e nell'Europa del nord; la Madonna di Tarquinia di Filippo Lippi è un esempio molto noto. Quando nel 1450 il dipinto venne portato a Cambrai, allora parte del Sacro Romano Impero e governata dai duchi di Borgogna, oggi in Francia, si credeva fosse un originale di San Luca evangelista, santo patrono degli artisti, per il quale Maria stessa posò come modella. Di conseguenza era considerata una reliquia, e si credeva che Dio concedesse dei miracoli a coloro che viaggiavano con essa.L'importanza dell'opera va al di là del suo valore estetico fungendo da ponte tra la tradizione delle icone Bizantine e il Quattrocento italiano, ed ispirando i primitivi fiamminghi. Dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 vennero commissionate delle copie del dipinto per finanziare la crociata che voleva lanciare Filippo III, annunciata con il banchetto del fagiano e mai concretizzatasi. ### Descrizione. L'opera è dipinta con tempera su un pannello di cedro, ora supportato da una tavola più recente. Misura 35.5 × 26.5 cm ed è in buone condizioni, seppur presenti qualche piccolo ritocco. Le iniziali 'MR, DI, IHS, XRS' stanno per Mater Dei, Jesu Christus, 'Madre di Dio, Gesù Cristo'. Lo sfondo è dorato, caratteristica tipica delle icone bizantine, mentre Maria indossa una veste blu con decorazioni dorate ai bordi. Cristo, che è spesso presente in questo tipo di rappresentazioni, ha il corpo di un uomo adulto piuttosto che quello di un bambino. È massiccio, e troppo grande per essere un neonato.Maria viene descritta come un'Eleusa a causa della tenerezza con cui il Bambino è accoccolato contro la sua guancia, rendendo l'immagine una rappresentazione dell'intimo legame che lega una madre al figlio. La testa è inclinata verso suo figlio ed è appoggiata alla sua guancia quasi come se lo stesse per baciare, mentre le sue braccia lo cullano dolcemente. Il bambino ha una gamba piegata mentre l'altra è estesa verso di lei; con la sua mano destra tiene il mento della Madonna. Questo coinvolgimento della madre e del bambino, in sintonia con il Quattrocento italiano, è una deviazione dalla tradizione bizantina, dove spesso Maria e Gesù erano ritratti a quasi un braccio di distanza.L'origine italiana di quest'opera è mostrata dalla «modellazione più sottile dei visi, l'aspetto volumetrico dei tessuti con pieghe dolci, dalle inscrizioni latine» e dalle decorazioni delle aureole. Le varie peculiarità delle diverse versioni indicano che molte versioni italiane furono copiate da una singola fonte: prima di tutto la vicinanza dei visi, il loro quasi abbraccio, e l'insolita concentrazione delle fattezze del viso del Bambino in una piccola porzione della testa.
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### Titolo: Maddalena leggente (Rogier van der Weyden). ### Introduzione: La Maddalena leggente è un frammento di una pala d'altare realizzata tra il 1435 e il 1438 da Rogier van der Weyden. È conservata alla National Gallery di Londra dal 1860. L'opera ritrae una donna pallida, con gli zigomi alti e le palpebre ovali tipici dei ritratti delle donne nobili realizzati in quel periodo. La figura è identificabile con Maria Maddalena grazie alla giara di unguento posizionata in primo piano, il suo tradizionale segno di riconoscimento nell'arte cristiana. La Maddalena, completamente assorta nella lettura, è un modello di vita contemplativa; si è pentita dei suoi peccati ed è stata assolta. Nella tradizione cattolica la sua figura è stata talvolta un tutt'uno con quella di Maria di Betania, che unse i piedi di Gesù, e l'anonima «peccatrice» citata nel Vangelo secondo Luca. L'iconografia della Maddalena normalmente la mostra con un libro in mano, in un momento di riflessione, in lacrime o con lo sguardo distolto. Lo sfondo dell'opera era stato ridipinto con uno spesso strato di pigmento marrone che copriva l'originale. Una pulitura eseguita nel 1955–1956 ha rivelato la figura in piedi dietro la Maddalena, la figura inginocchiata a piedi scalzi e il paesaggio visibile attraverso una finestra. L'uomo alle spalle della Maddalena è San Giuseppe; il frammento che completa questa figura è conservato al Museo Calouste Gulbenkian di Lisbona assieme ad un altro pannello, forse anch'esso parte della stessa pala d'altare, che raffigura probabilmente Santa Caterina d'Alessandria. Tali frammenti sono grandi un terzo della Maddalena leggente, che misura 62,2 cm × 54,4 cm. La pala d'altare originale era una sacra conversazione, ed è conosciuta solo attraverso un disegno, la Vergine col Bambino e i santi, conservato al Museo nazionale di Stoccolma e realizzato alla fine del Cinquecento. Tale disegno mostra che la Maddalena occupava l'angolo in basso a destra della pala d'altare. Nonostante abbia avuto grande successo in vita, van der Weyden venne dimenticato nel XVII secolo per essere riscoperto solo nel XIX. Il primo documento che cita la Maddalena leggente risale ad una vendita del 1811. Dopo essere passata da un venditore d'arte all'altro nei Paesi Bassi, l'opera finì nelle mani di un collezionista parigino, per poi essere comprata dalla National Gallery di Londra nel 1860. Secondo lo storico dell'arte Lorne Campbell la Maddalena leggente è «uno dei grandi capolavori dell'arte del Quattrocento e tra le opere più importanti del primo van der Weyden». ### Descrizione. Maria Maddalena nella pittura rinascimentale è un composto di varie figure bibliche. Qui è basata su Maria di Betania, che veniva identificata come la Maddalena nella tradizione cattolica romana. Maria di Betania sedeva ai piedi di Gesù e «ascoltava la sua parola», per questo viene vista come una figura contemplativa in opposizione alla sorella Marta, che invece rappresentava la vita attiva in quanto voleva che Maria l'aiutasse nelle faccende domestiche.Maria Maddalena qui è ritratta come una giovane donna seduta, mite, con la testa inclinata e gli occhi appena distolti dall'osservatore. È assorta nella lettura di un testo sacro e sembra inconsapevole di ciò che la circonda. Van der Weyden le ha dato una quieta dignità, nonostante spesso sia considerato il più emozionale dei primitivi fiamminghi, soprattutto se confrontato a van Eyck. Sulla copertina del libro è cucita una chemise di tessuto bianco che funge da protezione. Secondo Lorne Campbell il manoscritto «è abbastanza simile ad una Bibbia francese del XIII secolo» ed è «chiaramente un testo devozionale». Era raro per i ritratti contemporanei mostrare una donna intenta a leggere; se la modella stessa era in grado di farlo è molto probabile che appartenesse al ceto nobiliare.La Maddalena è seduta su un cuscino rosso con la schiena appoggiata ad una credenza di legno; il suo contorno semicircolare indica il suo sereno distaccamento da ciò che la circonda. Sopra la credenza sono visibili le basi di vari oggetti, che spesso vengono tagliati nelle riproduzioni. L'oggetto sulla destra sembra essere una brocca, forse un reliquiario, mentre quello più a sinistra potrebbe rappresentare una porta.. Ai suoi piedi troviamo il suo emblema, la giara di alabastro con cui portò gli aromi al sepolcro per ungere Gesù. Il paesaggio che si vede attraverso la finestra mostra un canale, sulla riva più vicina un balestriere che sta mirando a qualcosa e due figure che camminano sulla riva opposta il cui riflesso è visibile sull'acqua. La posa scelta da van der Weyden per la Maddalena è simile a quella di molte altre donne nei dipinti religiosi del suo maestro Robert Campin e della relativa bottega. Ricorda da vicino, sia nel tema che nel tono, la figura di Santa Barbara nella Pala Werl, ed anche la Vergine dell'Annunciazione attribuita a Campin che si trova a Bruxelles. Anche la Vergine nel Trittico di Mérode rappresenta una versione di questa posa, anche se con alcune differenze.Il viso della Maddalena sembra quasi scolpito, e gli elementi dei suoi vestiti sono resi anche nei dettagli più minuti, com'era nello stile di van der Weyden. Indossa una veste verde strettamente legata sotto il busto da una fascia blu; il broccato d'oro della sottogonna ha un orlo decorato con dei gioielli.Nel medioevo il pelo simboleggiava la sessualità femminile ed era comunemente associato alla Maddalena. Qui la presenza di indumenti vellutati, degli orli pellicciati della veste e dei capelli che spuntano dal velo sono un accenno al passato da prostituta della Maddalena, in una «mescolanza di purezza ed erotismo», secondo il critico d'arte Charles Darwent. Il medievalista Philip Crispin spiega che artisti come Hans Memling e Quentin Matsys spesso ritraevano la Maddalena in pelliccia, proprio come la Maddalena leggente di van der Weyden. Il livello di dettaglio raggiunto da van der Weyden è stato descritto da Campbell come «ben maggiore» di quello di Jan van Eyck. Le labbra della Maddalena sono dipinte con sfumature di vermiglione, bianco e rosso che mescolati danno un aspetto trasparente ai bordi. La pelliccia della veste è dipinta con colori che vanno dal grigio al bianco e nero quasi puri. Van der Weyden ha dato al pelo un aspetto “ruvido” dipingendo linee parallele alla linea del vestito e poi allargando il colore prima che si asciugasse. L'oro della veste è reso con vari impasto, e dipingendo linee e punti di varie dimensioni e colore.Anche molti degli oggetti che la circondano sono resi in maniera dettagliata, in particolare il pavimento di legno, i chiodi con cui è fissato, le pieghe della veste e gli abiti delle figure all'esterno, così come gli effetti luminosi sulle perle di cristallo del rosario di San Giuseppe e sugli ornamenti dorati del libro. Lorne Campbell descrive figura della donna visibile in lontananza attraverso la finestra e il suo riflesso sull'acqua come «piccoli miracoli pittorici», e aggiunge che «l'attenzione al dettaglio supera di molto quella di Jan van Eyck e l'abilità di esecuzione lascia senza parole». Campbell nota anche che l'osservatore non averbbe potuto notare questi piccoli dettagli una volta appesa la pala d'altare.Altre aree del pannello sono state descritte come monotone e banali. Un critico ha scritto che le aree del pavimento e gran parte della credenza dietro la Maddalena sembrano incompiuti e «troppo scarsi e piatti negli effetti».
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### Titolo: Ai piedi del ghiacciaio. ### Introduzione: La baita ai piedi del ghiacciaio è un dipinto a olio su tela (95.5x55.5 cm) realizzato tra il 1875 e il 1895 dal pittore italiano Francesco Filippini. Il dipinto de La Baita ai piedi del ghiacciaio di Filippini, capo scuola, è stato venduto dalla casa d'aste Sotheby's per 108,250 euro oltre diritti d'asta nel 2007 a una collezione privata di Milano. ### Descrizione. Ai piedi del ghiacciaio condensa tutte le qualità di schietto verismo di Francesco Filippini, qualità che hanno consacrato l'artista come uno dei paesaggisti più rappresentativi del naturalismo. L'opera fa emergere l'assoluta sincerità di Filippini nei confronti del vero, accompagnata da un consapevole rigore compositivo; quel robusto linguaggio affidato ad una pennellata larga, aspra ed essenziale, rielaborata attraverso l'analisi di certo fare pittorico carcaniano, quella scelta di una gamma cromatica 'caliginosa', circoscritta a toni freddi e grigiastri che sembrano essere stati creati ad hoc proprio per le sue Nevicate, motivo pittorico molto amato dal Filippini e che, forse meglio di altri, ha avuto la capacità di riflettere quella particolare 'malinconia profondamente suggestiva' che un anonimo critico, nel 1895, ritrovava nelle 'pitture e nelle impressioni dell'inverno nelle montagne' eseguite 'a intonazioni grigie ed argentee'.
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### Titolo: Cristo morto adorato da san Domenico di Guzman. ### Introduzione: Il Cristo morto adorato da san Domenico di Guzman è un dipinto ad olio su tela eseguito nel 1623 dal pittore lombardo Daniele Crespi per la chiesa di San Protaso ad Monachos di Milano, dove rimase fino al 1930, quando l'edificio fu distrutto da un incendio. Il dipinto, insieme ad altre tele superstiti, fu acquistata dalla prepositura della basilica di San Giovanni Battista di Busto Arsizio, dove ancora oggi è esposto. ### Descrizione. La tela raffigura Cristo morto steso supino su una superficie coperta da un telo bianco, mentre ai suoi piedi, inginocchiato, è raffigurato Domenico di Guzmán in adorazione. Nel 1717 Vincenzo Piccolini realizzò una stampa di 32×19,4 cm raffigurante il dipinto di Daniele Crespi, oggi conservata presso l'Accademia Carrara di Bergamo. == Note ==.
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### Titolo: Morte di Seneca (David). ### Introduzione: Morte di Seneca è un dipinto realizzato nel 1773 dall'artista francese Jacques-Louis David. ### Descrizione. Questa grande opera 'fragonardiana' è contemporaneamente barocca, elegante e pomposa. Più ricca di colori e di dettagli rispetto alla versione del suo rivale, David raffigura dei personaggi che gesticolano alla maniera dei personaggi di Boucher. La scena si svolge all’interno di un edificio scorciato prospetticamente. La luce proveniente da sinistra illumina i personaggi sulla destra mettendo in risalto la figura di Paolina. Il corpo di Seneca è per metà illuminato e per metà in penombra. Seneca, su ordine di Nerone, si taglia le vene con ampi movimenti, gli stessi che caratterizzano gli altri personaggi della scena, i quali manifestano il loro sgomento. La scena assume una connotazione teatrale data proprio dell’enfasi dei movimenti dei soggetti raffigurati.
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### Titolo: Erasistrato alla scoperta della causa della malattia di Antioco. ### Introduzione: Erasistrato alla scoperta della causa della malattia di Antioco dal suo amore per Stratonice è un'opera del pittore francese Jacques-Louis David, datata 1774. Quarta partecipazione dell'artista al concorso dell'Académie royale de peinture et de sculpture, il dipinto gli varrà la vittoria del Prix de Rome per la pittura. Si tratta di pittura storica, infatti il soggetto dell'opera è tratto da una narrazione delle Vite parallele di Plutarco, riguardante una leggenda della storia macedone: la scoperta da parte del medico Erasistrato della causa della malattia di Antioco, ovvero l'amore per la sua matrigna Stratonice, moglie del re Seleuco I. Il dipinto è legato agli insegnamenti ricevuti all'Accademia ed è influenzato anche dallo stile barocco. Attualmente è conservato all'École nationale supérieure des beaux-arts di Parigi. ### Descrizione. Antioco è a letto, provato dalla malattia. Suo padre, re Seleuco, è ai piedi del letto nella penombra. Per salvare suo figlio, si è rivolto al grande medico Erasistrato. Quest'ultimo è accanto a lui, e prende i polsi al malato: la sua mano sinistra attorno al polso di Antioco. Il medico ha chiesto alle donne del palazzo di presentarsi, una alla volta, davanti ad Antioco. Quando arriva il turno di Stratonice, il battito del giovane principe accelera, Erasistrato alza allora la mano destra, con l'indice rivolto verso la 'causa della malattia'. Successivamente Erasistrato chiederà al re di cedere Stratonice a suo figlio; la richiesta avrà esito positivo e il principe sarà guarito.
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### Titolo: Cristo in pietà sorretto da tre angeli. ### Introduzione: Il Cristo in Pietà sorretto da tre Angeli, o Pietà, è un dipinto a olio su tavola di Antonello da Messina, databile al 1474-1476 circa e conservato nel Museo Correr di Venezia. ### Descrizione e stile. La composizione della tavola si staglia su un paesaggio ricco di vegetazione e minuziosamente descritto. Si possono addirittura riconoscere particolari come la chiesa sullo sfondo, sicuramente identificabile con la Chiesa di San Francesco all'Immacolata a Messina . L'opera, eseguita pochi anni prima della Pala di San Cassiano, documenta un momento di Antonello in cui la meditazione sui modelli d'origine tedesca, come Jan van Eyck o Peter Christus, si fa evidente. Non mancano, ovviamente, le tangenze con la cultura figurativa italiana come, ad esempio, nelle scelte prospettiche. Antonello, che aveva conosciuto Piero della Francesca intorno al 1473 e da lui aveva appreso non solo i segreti matematici della prospettiva ma anche una certa maniera nell'utilizzarla, in questa tavola pone la figura di Cristo al centro con un punto di vista prospettico molto ravvicinato per accentuarne la monumentalità e la solennità. Gesù è raffigurato morto, nel momento successivo alla deposizione, seduto (o meglio accasciato) sul sarcofago. I tre angeli mentre sono intenti a sorreggere il peso del corpo del Salvatore si dedicano, con cura, a medicare le ferite inferte durante la crocifissione. Questa tipologia iconografica era assai diffusa tra i vari esponenti del primo Rinascimento veneto.
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### Titolo: Ritratto del Doge Giovanni Mocenigo. ### Introduzione: Il Ritratto del Doge Giovanni Mocenigo è un dipinto a tempera su tavola attribuito a Gentile Bellini, databile tra il 1478 e il 1485 circa e conservato presso Museo Correr di Venezia. ### Descrizione e stile. Il soggetto ritrae il doge Mocenigo con gli abiti ufficiali propri del suo uffizio: il corno dogale e la stoffa d'oro ricamata a rilievo. Il doge è rappresentato di profilo e si staglia su di uno sfondo d'oro, il quale ha una forte valenza simbolica che va sottolineare le tangenze di costume e iconografiche tra Venezia e il mondo bizantino di Costantinopoli. Il ritratto, che risulta ancora legato a prototipi 'tradizionali' distanti dalle soluzioni adottate da Giovanni Bellini per il Ritratto del doge Leonardo Loredan, spicca per la grande qualità della pittura. Un ritratto fatto 'dal vero' che descrive l'uomo privato Giovanni Mocenigo e celebra quello pubblico, il doge.
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### Titolo: Compianto sul Cristo morto (Plautilla Nelli). ### Introduzione: Il Compianto sul Cristo morto o Lamentazione è un dipinto che la suora domenicana Plautilla Nelli ha realizzato per la chiesa del convento, dove viveva in clausura. ### Descrizione e storia. Le poche notizie biografiche sull'opera sono tratte dal Vasari che elogia suor Plautilla Nelli, dichiarandola virtuosa nell'arte della pittura. Questo suo dipinto era stato ideato come pala per un altare della chiesa fiorentina di Santa Caterina da Siena, appartenente al convento domenicano dove suor Nelli viveva e che era stato fondato da un seguace di Savonarola. La composizione della scena deriva dal dipinto di Fra Bartolomeo Lamentazione con santi (1511-1512), conservato oggi alla Galleria Palatina di Firenze e da cui probabilmente suor Nelli trasse uno schizzo, oppure un disegno. Ella aggiunse tuttavia tre figure, le due donne inginocchiate accanto a Maria Vergine e Nicodemo, in piedi, al centro, con le sue ricche vesti. Il corpo del Cristo è semi sdraiato sopra una fredda pietra squadrata che simboleggia la tomba e sostenuto da una figura maschile e non da Maria. I volti delle donne hanno maggiore realismo, esprimono dolore, molto più di quelli degli uomini. La Maddalena, inginocchiata e di profilo, bacia i piedi del Cristo. Sullo sfondo si vede la città di Gerusalemme, cinta da solide mura turrite. Sul colle del Golgota, con le tre croci ormai vuote, vari personaggi, a piedi o a cavallo, percorrono i sentieri. Di fronte sta un'altra collina, con in cima una fortificazione. Il paesaggio s'impone per ampiezza e ricchezza di dettagli: grandi nubi sono in cielo e sullo sfondo c'è una cinta di colline azzurrine. Anche nell'Ultima Cena (Firenze, Convento della basilica di Santa Maria Novella) suor Nelli ha dato rilievo ai particolari, tra cui i cibi che sono in tavola (verdure amare e arrosti di agnello, per la Cena della vigilia di Pasqua - le monache avevano l'usanza di preparare pietanze), le maioliche decorate e i vetri soffiati veneziani. Firmato: Suor Plautilla. Orate Pro Pictora, questo dipinto, per l'impostazione dei commensali, s'ispira al Cenacolo di Leonardo da Vinci. Nel 2017 è partita una gara per reperire fondi per restaurare di questo dipinto, di grandi proporzioni e con le figure a grandezza naturale. Annibal Caro possedeva un'opera pittorica di suor Nelli e una Pentecoste, da lei dipinta, si trova nella basilica di San Domenico a Perugia, per cui fu realizzata. Opere assegnate a Plautilla Nelli - riscoperte e restaurate per la mostra che gli Uffizi le hanno dedicato nel 2017 - sono due grandi lunette su tavola con San Domenico e Santa Caterina, esposte al Cenacolo di San Salvi; una Madonna addolorata che si trova nei depositi di Palazzo Pitti e una Crocefissione è alla Certosa di Firenze. Allieva - come sostiene Giorgio Vasari - di Fra Paolino da Pistoia, Suor Plautilla, che diventò madre priora del suo convento, è stata anche abile miniaturista e ha curato un cenacolo di allieve pittrici, miniaturiste e ceramiste.
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### Titolo: Martirio di sant'Alessandro (Malinconico). ### Introduzione: Martirio di sant'Alessandro è un'opera pittorica di Nicola Malinconico del 1693-1694. È collocato al centro del presbiterio del Duomo di Bergamo, e descrive il martirio del santo patrono della città a cui è intitolata la cattedrale. ### Opera. Il martirio di sant'Alessandro viene rappresentato come una testimonianza di fede. La decollazione del santo avviene su un palcoscenico di pietra: infatti egli scelse di rinnegare il sacrificio agli Dei per diventare un testimone di Cristo. Il dipinto vuole cogliere l'atto precedente il martirio. Alessandro, inginocchiato e con lo sguardo al cielo, è posto su di una piedistallo e indossa indumenti militari. La scena è ricca di personaggi. In primissimo piano un cane, simbolo di fedeltà, vuole rappresentare la fedeltà assoluta di Alessandro verso la sua fede, a fianco santa Grata in preghiera, sarà quella che raccoglierà la sua desta decapitata, e provvederà alla tumulazione del suo corpo acefalo nelle sue terre, facendo la promessa di costruire tre basiliche a lui dedicate. Alle spalle del santo il boia nell'atto di svolgere il compito a lui affidato, dietro il suo braccio è visibile un cavallo che è il simbolo iconografico del santo che viene molte volte rappresentato in groppa al cavallo. Il santo, pronto per essere martirizzato ha una espressione serafica, serena, con una cornice di capelli biondi e una barba chiara. Completa la scena nella sua parte superiore l'immagine divina posta su di una nuvola sorretta da putti nella luce dorata del paradiso. L'impianto scenico fortemente barocco, rende meno drammatica la rappresentazione del martirio.
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### Titolo: Tre mondi. ### Introduzione: Tre mondi è una litografia dell'incisore e grafico olandese Maurits Cornelis Escher, pubblicata nel 1955. L'opera appartiene alla collezione permanente del Gemeentemuseum Den Haag. L'aria, considerata uno dei capolavori di Escher, rappresenta uno stagno nella stagione autunnale; sul pelo dell'acqua galleggiano foglie cadute dagli alberi che si scorgono nel riflesso, mentre sotto la superficie dello stagno si intravede un grosso pesce. L'artista illustra il tema del fluire continuo della natura, a lui molto caro. ### Descrizione. Nella litografia sono rappresentate tre diverse componenti naturali:Ognuna di queste componenti è uno dei tre 'mondi' citati nel titolo dell'opera, ma nessuna è ben distinta dall'altra: infatti, la superficie dell'acqua non può essere considerata separatamente dalle foglie cadute, né dal riflesso degli alberi, né tantomeno dalla figura del pesce.
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### Titolo: Donna distesa in un paesaggio. ### Introduzione: Donna distesa in un paesaggio è un dipinto olio su tela di Giovanni Cariani realizzato probabilmente tra il 1520 e il 1522 e conservato nella pinacoteca del Gemäldegalerie di Berlino. ### Descrizione. La tela presenta in primo piano, distesa in un prato e appoggiata a un cuscino bianco e orlato, una donna che guarda l'osservatore, immettendolo direttamente nella scena. La donna indossa un drappo rosso che l'avvolge lasciandole scoperto il seno. Anche il cagnolino bianco che le è accanto ha lo sguardo rivolto all'osservatore. Il paesaggio che ospita la donna rappresenta diverse situazioni: a destra una città turrita in preda a un incendio il cui fumo si spande nell'intera parte superiore del dipinto, oscurando il cielo. Nella sezione centrale ha origine un fiume che attraversa la tela e sulle cui sponde sono quattro uomini a cavallo vestiti all'orientale. Le scene non sembrano identificate in alcuna origine letteraria, e il quadro è probabilmente da ascrivere alle fantasie poetiche, molto frequenti in ambito veneziano, derivate dalla pittura di Giorgione. Il dipinto presenta la medesima pienezza di modellato della pala di San Gottardo di Cariani, e, in particolare, i tratti del drappeggio lungo la gamba, con le linee secche che dividono le pieghe, sono riconducibili ai Gentiluomini e cortigiane e all'abito del Ritratto di Francesco Albani, rendendo indiscussa l'attribuzione della tela all'artista.
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### Titolo: Affreschi del porticato di villa Giulia (destra). ### Introduzione: Tutti gli affreschi del porticato di Villa Giulia, residenza di campagna di Giulio III, furono realizzati fra l'autunno del 1552 e la primavera del 1553. Rappresentano un unicum, per vari motivi che sono contemporaneamente presenti: sono stati realizzati immediatamente dopo la costruzione del porticato e quindi ideati insieme all'architettura della villa, rispondono ad un progetto pittorico unitario, furono pensati come proseguimento della campagna circostante che era allora piantata a vigneti, accompagnano i passi di chi vuole restare al coperto ma con l'illusione di camminare all'aperto e in un luogo immaginario di delizie e di svago, coniugano la rappresentazione dell'arte classica antica con una visione rinascimentale dell'arte, in cui la natura è al centro dell'attenzione. Il cattivo stato delle pitture, fino agli anni settanta del Novecento ha impedito una chiara lettura di questo complesso pittorico. Sull'attribuzione dei dipinti i critici sono in disaccordo. ### Descrizione. I pergolati con rose bianche e rosse e con gelsomini, con uva bianca e nera sono popolati di uccelli di varie specie - in volo o poggiati su rami - e di amorini che danzano, colgono uva e giocano festanti. I riquadri sulle pareti, con le edicole, le grottesche e le divinità - ad imitazione delle pitture della Domus Aurea - danno l'idea di una decorazione a parete non fissa: più che pitture sembrano arazzi, appesi alla parete. Molti motivi decorativi sono tratti dalla scultura e dalla pittura romana antica, a volte mediata attraverso scene e decori di artisti cinquecenteschi, come quelli dell'incisore Marcantonio Raimondi. La critica ha individuato due diverse mani: Pietro Venale e Prospero Fontana, che si sono ampiamente serviti di aiuti. Per lavori in pittura nel Palazzo Apostolico e nella Vigna, dall'autunno 1552 alla primavera 1553 risulta che furono concessi a Pietro Venale cinque pagamenti e un altro pagamento, in data 1º aprile 1553, che riguarda lavori eseguiti solamente a Villa Giulia. Non ci sono altre informazioni su questi lavori e lo storico dell'arte Alessandro Nova ha giudicato troppo bassi questi importiti, per giustificare l'attribuzione a Pietro Venale di tutti gli affreschi del porticato di Villa Giulia. A confronto, Prospero Fontana nello stesso periodo riceveva uno stipendio mensile fisso di venti monete d'oro, quindi sei monete d'oro più del Vignola, che era l'architetto della villa. La mano di Prospero Fontana (con aiuti) era stata del resto già riconosciuta nei due affreschi sovrapporta, che si trovano a metà del porticato di destra e a metà di quello di sinistra, quindi Alessandro Nova assegna a Fontana, non solo l'esecuzione di gran parte degli affreschi all'interno della villa, ma anche l'ideazione dell'intero apparato decorativo del porticato.Né il Bénézit e né l'Allgemeines Künstlerlexikon nella sua ultima edizione citano, tra le opere di Venale, gli affreschi a Villa Giulia; anzi definiscono questo pittore come specializzato in grottaglie e in decorazioni. Ma le grottaglie, a Villa Giulia, sono proprio sulle pareti del porticato e quindi, con il beneficio del dubbio, accanto alle immagini delle grottaglie e delle parti decorative, abbiamo qui proposto il nome di Pietro Venale. Le scene che si aprono nella volta, con piccoli satiri, putti e amorini, e con uccelli in volo o poggiati sui rami, hanno variazioni minime e sono state realizzate con identica tecnica e con stessa tavolozza di colori, freschi luminosi ma delicati.
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### Titolo: Concerto campestre (Cariani). ### Introduzione: Il Concerto campestre è un dipinto realizzato in olio su tela opera di Giovanni Cariani nel 1515-1516 e conservato nel Museo Nazionale di Varsavia. ### Descrizione. Il Cariani sembra riprendere la ninfa sdraiata dormiente, presente sul dipinto del Bellini sul lato inferiore destro, quasi a farne una rivisitazione, ma è solo una sensazione, la ninfa del Cariani occupa buona parte del lato sinistro della tela, e ne è la protagonista. La posa del braccio slargato su di un piano, forma quel corpo unico dei personaggi come è tipico dell'artista, diventando molto più vicino al Tiziano, mentre la tematica artistica è sicuramente molto vicina al Concerto campestre opera del Giorgione o ancora di Tiziano quando era suo alunno. Il giovane Cariani sapeva guardare, copiare, e rendere proprio il lavoro, se l'opera del Giorgione vuole essere una raffigurazione fantastica, l'allegoria della musica, il Cariani ponendo il suonatore di liuto in primo piano che guarda l'osservatore, raffigura la realtà, una rappresentazione veritiera. La volumetrica plasticità, la rigidità delle pieghe negli abiti, riconducono la tela al dipinto Gentiluomini e cortigiane e molti lavori successivi dell'artista rendendo inequivocabile ricondurvi l'opera.
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### Titolo: Affreschi per le porte di Napoli. ### Introduzione: Gli Affreschi per le porte di Napoli furono realizzati da Mattia Preti tra il 1657 e 1659 quale ex voto offerto dalla città per la fine della spaventosa pestilenza che colpì la capitale meridionale nel 1656. Dei sette affreschi realizzati dal Preti su altrettante porte cittadine ci è oggi pervenuto - sia pure in condizioni conservative compromesse e solo in parte recuperato da un restauto del 1997 - solo quello che sormonta Porta San Gennaro. ### Storia dell'opera. A fronte della sostanziale inutilità delle misure di profilassi pur adottate, le autorità cittadine emanarono alcuni provvedimenti finalizzati alla pubblica invocazione della grazia divina per la fine della calamità. In particolare i Deputati della Salute, in data 12 giugno 1656, deliberarono di porre la città di Napoli sotto la protezione della Vergine Immacolata e dichiararono altresì la solenne devozione dei napoletani per san Francesco Saverio, che in vita durante la sua attività di evangelizzazione condotta in Estremo Oriente aveva dimostrato miracolose capacità taumaturgiche. A stretto giro, il 16 giugno del 1656, il Consiglio degli Eletti (altro organo amministrativo partenopeo) deliberava che sulle porte cittadine fosse effigiata un'immagine della Vergine Immacolata con il Bambino in braccio, affiancata da san Gennaro, san Francesco Saverio e santa Rosalia. Nel medesimo atto si dava mandato di procedere alla scelta del pittore cui assegnare questo incarico e si stabiliva altresì di pubblicare stampe raffiguranti lo stesso tema prescelto per le porte al fine di distribuirle al popolo per la devozione di ogni napoletano. Alla realizzazione di queste stampe provvide l'incisore Nicolas Perrey (francese di nascita lungamente attivo a Napoli), licenziandole verosimilmente prima degli affreschi sulle porte e fornendo così un modello iconografico poi tenuto in conto nella stesura delle pitture murali. La commissione per gli affreschi fu invece conferita, nel novembre del 1656, a Mattia Preti che già da qualche anno viveva a Napoli e si era imposto come uno dei protagonisti del panorama artistico cittadino. Particolarmente suggestivo è il racconto fatto da Bernardo De Dominici (peraltro un discendente del pittore di Taverna) circa le modalità di reclutamento del Cavalier Calabrese per questa impresa artistica. Narra lo storico che Mattia Preti era stato imprigionato e condannato a morte per aver ucciso una guardia che cercava di impedirgli di fare ingresso in città, da dove si era in precedenza allontanato, cui l'accesso era stato vietato per motivi sanitari. Giunta al Viceré la notizia che il reo fosse un valentissimo pittore, questi gli offrì la grazia se il Preti avesse accettato di realizzare i dipinti sulle porte cittadine gratuitamente. La versione del De Dominici tuttavia è del tutto fantasiosa in quanto risulta da fonti storiche che Mattia Preti fu prescelto per il suo indiscusso valore artistico e lautamente compensato per gli affreschi votivi voluti dalle istituzioni civiche napoletane. Mattia Preti portò a compimento l'opera affidatagli entro i primi mesi del 1659. Gli affreschi ebbero però sorte sfortunata: già nel 1688 un terremoto li danneggiò molto gravemente. Gli agenti atmosferici fecero il resto è già al tempo del De Dominici, come ci dice lo stesso erudito partenopeo, delle pitture sulle porte napoletane restava ben poco. Nei secoli a seguire alcune delle sette porte sormontate dai dipinti votivi furono abbattute ed anche in quelle ancora esistenti si procedette all'eliminazione di ogni resto dell'affresco con la tamponatura della nicchia muraria che lo ospitava. Unica eccezione è la Porta San Gennaro dove, per quanto in stato precario, la pittura del Preti è ancora percepibile. Naturalmente data la distruzione pressoché integrale degli affreschi non è dato sapere con certezza che cosa essi raffigurassero, salvo ovviamente che per il tema dell'Immacolata affiancata dai tre santi protettori, ripetuto su ogni porta, come deliberato dal Consiglio degli Eletti. Tema che occupava la parte alta dell'affresco come si deduce sia da quel che resta su Porta San Gennaro sia dai mirabili bozzetti pretiani di Capodimonte (sui quali più avanti). In verità il De Dominici ha lasciato una descrizione abbastanza dettagliata di tutti e sette gli affreschi - anche delle parti in basso, dedicate alla rappresentazione delle tragedie della peste napoletana - ma essendo gli stessi già quasi del tutto perduti nel momento in cui egli ne scrive (né indicando quali fossero le sue fonti) sull'attendibilità di queste descrizioni vi sono dei dubbi. Sempre secondo il De Dominici, ma anche questo è un dato che non può essere verificato, lo stesso Mattia Preti raccontava che per raffigurare su Porta Spirito Santo un drammatico episodio dei giorni della peste - cioè, una bambina che tentava di succhiare il latte dal seno vizzo della madre già morta ed accasciata sul sagrato di una chiesa - il pittore si sarebbe rifatto ad un evento cui aveva personalmente assistito. ### Descrizione e stile. Le uniche testimonianze pittoriche pervenuteci della decorazione pretiana delle porte di Napoli sono costituite da quanto resta su Porta San Gennaro e da due bozzetti preparatori degli affreschi custoditi nel Museo di Capodimonte. Come si coglie sia dal dipinto murale che dai bozzetti, la scena è divisa in due registri. In quello alto la Vergine col Bambino domina il centro della scena e poggia su una falce di luna, tipico attributo iconografico dell'Immacolata Concezione. Accompagnano la Madonna nell'intercessione per la salvezza di Napoli i già citati san Gennaro, san Francesco Saverio e santa Rosalia (quest'ultima, nell'affresco è collocata in secondo piano, in abito monacale alle spalle del santo gesuita e si riconosce per la ghirlanda di rose che la incorona). Sia nell'affresco superstite sia in uno dei due bozzetti, tra gli angioletti che affiancano san Gennaro ve ne è uno che mostra alla Vergine le ampolle del sangue miracoloso del santo patrono offerto per propiziare la fine della peste. Sempre nel registro alto, elemento presente nei bozzetti ma non nel dipinto di Porta San Gennaro, vi è un arcangelo che rinfodera la spada: con ogni probabilità Mattia Preti qui cita l'antica leggenda romana circa l'apparizione su Castel Sant'Angelo (edificio che proprio da tale accadimento prese questo nome) dell'Arcangelo Michele durante una processione officiata da papa Gregorio Magno per chiedere la fine di una pestilenza che aveva colpito Roma. L'Arcangelo Michele fu per l'appunto visto rimettere nel fodero la spada (come mostra anche la statua posta sul castello a ricordo di questo miracolo) per significare che l'ira divina era stata placata e che quindi - come in effetti, secondo la leggenda, avvenne - la peste avrebbe avuto fine. Benché nell'unico affresco arrivato fino a noi l'arcangelo non ci sia, il De Dominici ci dice che su altre porte esso venne effettivamente raffigurato: la circostanza può essere creduta, in quanto il medesimo motivo si ritrova nel dipinto di Luca Giordano raffigurante l'intercessione di san Gennaro per la fine della peste, di poco successivo all'impresa di Mattia Preti per le porte cittadine, opera che per questo elemento iconografico e non solo è in rapporto di derivazione con gli affreschi del Cavalier Calabrese. Nel registro basso sono raffigurate le terribili traversìe patite dagli abitanti della città durante l'epidemia. Per quanto riguarda l'affresco di Porta San Gennaro questa è la parte peggio conservata ed attualmente assai poco leggibile. È tuttavia possibile avvalersi della descrizione del De Dominici, in questo caso credibile riguardando l'unico affresco che egli ha effettivamente visto di persona. Proprio il racconto dello storico napoletano ci consente di risalire all'identità della grande figura a sinistra in basso, oggi poco più di un'ombra: «Nella parte in basso egli [Mattia Preti] espresse la peste in un gran figurone di donna nuda tutta impiagata con cenci in testa, seduta sopra alcuni scalini in un canto del quadro, la qual si morde con rabbiosi denti le mani». Si tratta quindi di una personificazione allegorica della peste, raffigurata in uno dei luoghi, il rione Sanità, più segnati dalla tragedia del 1656. Nella parte inferiore dei bozzetti vediamo scene di morte con i monatti intenti nel loro lugubre servizio: in un caso il tutto si svolge nell'ambiente urbano e gli appestati sono riversi sullo scalone di un edificio cittadino; nell'altro la scena si sposta su una riva del porto dalla quale si scorge la lanterna del molo e in lontananza una veduta del Vesuvio. Nel groviglio di lividi cadaveri è stata colta la vicinanza della composizione del Preti alla celebre Peste di Azoth di Nicolas Poussin, pittore del quale il Calabrese subì l'influenza nei suoi anni giovanili a Roma. Notevole fu l'impatto degli affreschi di Mattia Preti sull'ambiente artistico napoletano cui indicarono una via nuova e diversa rispetto al naturalismo riberesco che da decenni informava la scuola pittorica locale. Sulle porte di Napoli, infatti, il Preti forniva una summa degli stimoli da lui recepiti negli anni precedenti trascorsi tra Roma, l’Emilia e Venezia, suscitando la pronta reazione, come già si è fatto cenno, del giovane Luca Giordano. Fu l'inizio di una nuova pagina della storia della pittura napoletana che per questa via si aprì ad monumentalità decorativa e ad un colorismo di matrice veneziana prima sconosciuti. Lungo la linea indicata dal pittore calabrese sulle porte cittadine lo stesso Giordano e dopo di lui Francesco Solimena eleveranno la pittura napoletana della seconda metà del Seicento e ancora d'inizio Settecento al rango di una delle principali scuole artistiche d'Europa.
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### Titolo: Affreschi del porticato di villa Giulia (sinistra). ### Introduzione: Gli affreschi del porticato di Villa Giulia, la residenza di campagna di papa Giulio III, sono stati realizzati fra l'autunno del 1552 e la primavera del 1553. ### Descrizione. Visto dall'esterno, cioè dal giardino, il porticato di Villa Giulia, che è ha la forma di un emiciclo, ha al centro e alle sue due estremità un grande arco. Questi tre archi sono della stessa ampiezza ed altezza e corrispondono a tre ambienti che fanno parte del porticato e che sono a pianta quadrata e coperti con una volta a crociera a 4 vele. A fianco dell'arco centrale si aprono due archi, più piccoli e bassi; identica è la forma dei due archi che precedono i due grandi archi che si aprono al termine dell'emiciclo. Dal giardino, la parte centrale delle due ali dell'emiciclo corrisponde ad una fila di colonne con il capitello corinzio. La struttura del porticato ha quindi condizionato il decoro interno ad affresco, ma il progetto di decorazione pittorica non solo ha seguito, ma in qualche modo anche amplificato, per quanto possibile, la struttura ripetitiva della costruzione. La parete interna dell'emiciclo è decorata con affreschi a grottaglie, mentre le volte, sia quelle a botte, sia quelle a crociera, sono coperte da un aereo pergolato, in cui occhieggiano, sullo sfondo azzurro del cielo, aperture ovali, o a rombo, o ottagonali, o ovali, o a semiluna, che sono abitate da putti, da amorini, da satirelli, da uccelli e da piccoli mammiferi. C'è grande libertà e un pizzico d'ironia nel rappresentare i giochi, non sempre innocenti, fra i putti e i piccoli satiri, che hanno zampe pelose e caprine; al contrario gli affreschi a grottesche sulle pareti hanno una classica, e in parte ripetitiva, armonica impostazione. La forma di queste aperture non è casuale, ma risponde ad una precisa e ripetitiva scansione geometrica. Anche il pergolato dipinto ad affresco ha precise caratteristiche: nei tre ambienti a pianta quadrata il pergolato è di gelsomino bianco; nelle due parti centrali dell'emiciclo è stato invece dipinto un pergolato con grandi grappoli di uva nera e bianca e in corrispondenza dei quattro archi bassi il pergolato è fatto di rose rosse, bianche e rosa. Nel giardino probabilmente crescevano queste stesse piante e l'aroma dei fiori e dei frutti veri accentuava la sensazione di trovarsi, all'interno dell'emiciclo, sotto un pergolato vero.
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### Titolo: Le due Frida. ### Introduzione: Le due Frida (Las dos Frida in spagnolo) è un celebre dipinto della pittrice messicana Frida Kahlo, realizzato nel 1939 e conservato nel Museo de Arte Moderno di Città del Messico. ### Descrizione. Il quadro rappresenta, come il titolo suggerisce, la presenza di due ritratti di Frida. La Frida non più amata da Diego indossa un abito bianco, l’altra un abito tipico della cultura messicana. Ciò che hanno in comune le due rappresentazioni nell’opera è che mostrano il cuore (organo). Quello della Frida non più amata è rotto ed emerge dal corpetto strappato del vestito. Il cuore dell’altra Frida è intero. La prima ha una forbice in mano, la seconda una foto di Diego da piccolo, l’amante bambino perduto. Una vena, simile a una flebo, pompa sangue da un cuore all’altro, ma è spezzata da una forbice chirurgica e lascia cadere la linfa ematica a terra. Frida non ha più sangue da dare a chi l’ha così tanto ferita. Non ha più linfa vitale per essere una buona moglie. Il raddoppiamento di Frida esalta molto la sua solitudine. Ma la nuova condizione le insegna a proteggersi e fortificarsi da sola. Frida investiga, in questo come in molti altri quadri, ciò che si prova a essere una donna innamorata e tradita, che vuole e deve ricominciare da se stessa: mette in scena tutte le emozioni legate alla femminilità.
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### Titolo: Vanitas (Mattia Preti). ### Introduzione: Il dipinto ad olio dal titolo Vanitas, è opera di Mattia Preti (Taverna (Catanzaro), 1613-La Valletta (Malta), 1699), pittore caravaggesco noto anche come il Cavalier Calabrese. ### Descrizione. Il dipinto era in una collezione privata ed arrivò agli Uffizi nel 1951, per acquisto. Presentato in una semplice cornice dorata moderna, per lo stile ricorda il dipinto di Mattia Preti La Giuditta, conservato al Museo nazionale di Capodimonte. I critici non sono d'accordo se si tratti di un frammento di un'opera di maggiori dimensioni, oppure se questo dipinto sia stato così realizzato. Mattia Preti forse intendeva raffigurare la Maria Maddalena, colta nel momento in cui si specchia - adorna di gioielli e in abiti di lusso - con i capelli intrecciati e avvolti in un morbido turbante di seta dorata, ricadente sulle spalle in uno scialle bianco, intessuto da minuscoli fiori colorati. Il suo sguardo - accentuato dal riflesso della luce che le batte su una guancia e su parte della fronte - esprime un senso di rifiuto e di disgusto, nel vedersi circondata da tali ornamenti e da tante ricchezze. La vanitas - meditazione sulla precarietà della vita - nell'arte pittorica barocca veniva anche espressa in dipinti raffiguranti eremiti, oppure in nature morte accompagnate da teschi e da candele spente - oggetti che alludono alla fugacità dell'esistenza - o da clessidre e da orologi che segnano il trascorrere impietoso del tempo.
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### Titolo: Allegoria della Pittura e Architettura. ### Introduzione: Il dipinto dal titolo Allegoria della Pittura e Architettura è un'opera del pittore senese Francesco Rustici (Siena, 1592 – 1625), detto il Rustichino, per distinguerlo dal padre, soprannominato il Rusticone. ### Descrizione. Questo dipinto proviene dalla famosa collezione del cardinale Leopoldo de' Medici che arricchì notevolmente il patrimonio artistico della famiglia Medici: i dipinti che erano in suo possesso sono oggi nelle sale della Galleria degli Uffizi e nel Corridoio vasariano. Nel 1795 dal dipinto di Rustici Allegoria della Pittura e Architettura fu tratta una incisione. Il quadro rappresenta due giovani donne (la Pittura e l'Architettura, appunto), con le vesti ampiamente scollate sul seno, mentre conversano, rivolte l'una verso l'altra. La Pittura stringe in mano i pennelli e poggia il gomito sopra una pila di libri. Altri libri, aperti, sono sul tavolo. Francesco Rustici, pittore manierista senese, durante il suo soggiorno a Roma, fra il 1618 e il 1619, rimase influenzato dal naturalismo caravaggesco. In particolare, entrò in contatto con il pittore olandese Gerrit van Hontorst, che si era fatto conoscere per dipinti, a soggetto sacro e profano, carichi di effetti notturni, tanto che lo avevano soprannominato Gherardo delle Notti.
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### Titolo: Vassoio di Ventotene. ### Introduzione: Il Vassoio di Ventotene è un'opera d'arte eseguita da Ernesto Rossi nel 1940 durante il confino nell'isola di Ventotene. Conservato all'Istituto storico della Resistenza in Toscana a Firenze, rappresenta una delle più vivide testimonianze iconografiche del mondo dei confinati durante la seconda guerra mondiale. ### Descrizione. Il vassoio è diviso in una scena centrale, con la rappresentazione simbolica del mare e del vento, e quattro riquadri laterali, con scene di vita quotidiana ambientate a Ventotene e contenenti numerosi ritratti. Nei riquadri minori si vedono la via degli Ulivi con la campagna verso punta Eolo, mentre a sinistra una veduta con anziani e bambini lungo via Roma. Le scene principali sono dedicate alla Passeggiata e al Brindisi. La Passeggiata, ambientata in piazza Castello, mostra i confinati che ammazzano il tempo, ammirando una 'biondona' che passa, finita forzatamente sull'isola per qualche guaio imprecisato con le autorità. Da sinistra si vedono due testimoni di Jeovah, Dino Roberto, Sandro Pertini, Menghestù (studente d'ingegneria abissino), la 'biondona', Giuseppe Pianezza, Umberto Terracini su una sdraio, Paolo Schicchi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Mauro Scoccimarro con la consorte Maria Bertoncini. Il Brindisi invece mostra i confinati alla mensa di Giustizia e Libertà, che festeggiano l'ennesima scadenza del periodo di confino di Nino Woditzka, che però veniva poi puntualmente rinnovato prima della vera e propria scarcerazione. Vi si vedono, da sinistra, il capomensa Nello Traquandi, Angelo Bonizzoli e vari anarchici e cuochi della mensa, seguiti da Francesco Fancello, Ernesto Rossi, Nino Woditzka, Riccardo Bauer, Marco Maovaz (fucilato poi dai nazifascisti a Trieste), Vincenzo Calace, due albanesi non meglio identificati, Giovanni Gervasoni, Giobatta Domaschi (poi morto nel campo di concentramento di Mauthausen), e lo stipettaio Gigino. Le scene sono pervase da una certa ironia e un vitale ottimismo, che documenta come gli intellettuali confinanti reagivano alla dura segregazione imposta dal regime.
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### Titolo: Ritratto di vecchio norimberghese. ### Introduzione: Ritratto di vecchio norimberghese è un dipinto olio su tela, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, opera di Giovanni Cariani. ### Descrizione. Oltre alla firma dell'autore, il quadro contiene tutte le informazioni necessarie alla lettura sia del dipinto, che del personaggio. Il vecchio ritratto tiene tra le mani una pergamena che nella parte superiore cita:. Da qui si evince che il quadro ritrae un uomo di Norimberga nato il 17 marzo 1470, e ripreso come si presenta nel 1536. La seconda parte cita:. Questa parte venne tradotta da Troche con quel che la natura produsse piuttosto lentamente, il pittore velocemente rappresentò, quasi a volere indicare come il tempo dell'arte e della natura siano differenti. La natura trasforma l'uomo, in primo piano infatti il pittore dipinge un teschio, che s'appoggia sulla clessidra, racconto del tempo che passa, mentre l'arte ha la caratteristica di saper cogliere l'attimo nel presente, mantenendolo quasi all'eternità. Il vecchio viene ritratto in maniera emozionale, una forzatura nei tratti, con grandi occhi sgranati, quasi impauriti, le nocche delle dita tese a indicarne lo sforzo del movimento, e le rughe accentuate sul cranio, a indicare il danno che la natura con il tempo, crea sull'uomo. Il critico d'arte Sgarbi, descrive questa spiritualità triste, vissuta in prima persona, come una meditazione sulla vecchiaia.
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### Titolo: Mosaico della caccia al cervo. ### Introduzione: Il Mosaico della caccia al cervo è un mosaico rinvenuto all'interno della c.d. 'Casa dello stupro di Elena' a Pella, antica capitale del Regno di Macedonia. L'opera, oggi conservata nel 'Museo Archeologico di Pella' (Pella) è firmata dall'artista greco Gnosis ma si ritiene possa essere stata ispirata da un'opera pittorica di Melanzio di Sicione. I soggetti raffigurati sono solitamente identificati in Alessandro Magno, Efestione e Peritas, il cane di Alessandro. ### Descrizione. La disposizione delle figure, con i cacciatori sui due lati della preda, le armi levate, e l'attenzione dell'animale (in questo caso lo sguardo) rivolta all'uomo alla destra dell'osservatore (cioè Alessandro), richiama un altro mosaico rinvenuto a Pella: il c.d. 'Mosaico della caccia al leone' ove i soggetti raffigurati sono Alessandro ed un altro dei suoi generali, Cratero. L'elemento discordante nel mosaico del cervo è, oltre al cervo invece del leone, il cane raffigurato nel centro, posizionato davanti all'ungulato e di spalle rispetto all'osservatore.
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### Titolo: Visitazione di Maria (Cariani). ### Introduzione: La Visitazione di Maria è un dipinto olio su tela, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, opera di Giovanni Cariani. ### Descrizione. Il dipinto rappresenta il saluto tra la cugina Elisabetta e la Vergine Maria raccontato nel Vangelo di Luca (1,39) Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. Ai loro lati San Giuseppe e Zaccaria. La scena si svolge davanti a un porticato con un paesaggio lussureggiante sullo sfondo. Il Cariani ha scelto di raffigurare i protagonisti in modo statico, per focalizzare poi la sua attenzione sulla ricchezza del paesaggio, riempiendolo di colori e rendendo il dipinto estremamente moderno. L'opera è stata avvicinata ai lavori di Sebastiano del Piombo nella corposità dei personaggi o a quelli di Lorenzo Lotto, certamente il pittore seguiva e studiava i pittori a lui contemporanei. Se la tela ha caratteristiche simili al Polittico di Ponteranica, serve ricordare che ne realizzò le pradelle, conservate in Accademia Carrara. Il dipinto è quello che sicuramente il Cariani cura maggiormente nella parte paesaggistica dandone una profondità importante, non è certo che si trovasse a Bergamo durante la realizzazione, sicuramente voleva raffigurare le prealpi orobiche, montagne che fin da piccolo aveva abitato.
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### Titolo: Gli eremiti (Schiele). ### Introduzione: Gli eremiti è un dipinto a olio su tela (181x181 cm) realizzato tra il 1911 ed il 1912 dal pittore Egon Schiele. È conservato nel Leopold Museum di Vienna. ### Descrizione e storia. Nel dipinto Schiele ha raffigurato due figure a grandezza naturale, collocate in un ambiente disadorno, che sembrano formare una sola figura poiché le vesti scure rendono difficile distinguerne i due corpi. I volti mostrano i lineamenti di Schiele (sul lato sinistro) e, probabilmente, del suo mentore Gustav Klimt (sul lato destro), secondo altre interpretazioni potrebbe trattarsi anche di Francesco d'Assisi o del padre dell'artista. Il corpo umano è qui inteso esclusivamente come la materializzazione di forze psicologiche,. così come tutto il dipinto, dominato da tonalità terrose, livide e lugubri. La linea è quella tipica dell'artista: tormentata ed espressiva.L'opera, esposta per la prima volta in Germania nel 1912, rimase invenduta durante la vita dell'artista.
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### Titolo: Allegoria della Felicità. ### Introduzione: L'Allegoria della Felicità è un olio su rame di Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino, dipinto probabilmente per lo Studiolo di Francesco I de' Medici. ### Descrizione. Inserito in una cornice seicentesca di legno, scanalata e dorata ad oro zecchino, questo piccolo dipinto su rame è firmato BROZ. FAC. Giorgio Vasari accennò a questo quadretto, assegnandolo al Bronzino e così descrivendolo: Ed a detto signor principe Francesco ha dipinto sono pochi mesi un quadretto di piccole figure, che non ha pari, e si può dire di minio veramente. La data 1567 non è stata da tutti accettata, ma ha trovato qualche dubbio tra i critici dell'arte, dubbi riportati dall'Emiliani.Questa allegoria è stata interpretata come la Felicità che porta nella mano destra il simbolo della Medicina e nella sinistra una cornucopia dell'Abbondanza che è carica di frutti maturi. Accanto a lei c'è Cupido, simbolo di amore, che le punta la freccia al cuore; ai suoi lati ci sono la Giustizia con la bilancia e la Prudenza che abbraccia amorevolmente tutto il mondo. Dietro la testa della Prudenza occhieggia la faccia maschile e alterata dell'Ira, che ha le mani imprigionate da catene. Ai piedi della Felicità sono inginocchiati il Tempo e la Fortuna che tiene ferma la sua ruota. I nemici della Pace giacciono a terra, rovesciati e sconfitti. In alto, volano la Fama che suona la sua tromba aurea e la Gloria in atto di portare una corona di alloro sulla testa della Felicità. Il governo di un principe dunque deve tendere alla felicità dei suoi sudditi e sua, perché così trionferà la sua fama, il suo governo durerà nel tempo e saranno schiacciati i nemici della pace.
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### Titolo: Sogno di san Giuseppe (Daniele Crespi). ### Introduzione: Il Sogno di san Giuseppe è un dipinto del pittore italiano Daniele Crespi, realizzato nel 1620. Si trova nel Museo di storia dell'arte di Vienna. ### Descrizione. Descrive l'episodio biblico in cui l'angelo mette in guardia Giuseppe sull'intenzione di Erode di uccidere Gesù (come riportato nel Vangelo secondo Matteo). Nella scena principale, Giuseppe è assopito con gli strumenti della professione ai suoi piedi, mentre l'angelo gli dà le istruzioni per fuggire in Egitto. In secondo piano, si intravede la mangiatoia con Gesù bambino e la Vergine Maria.
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### Titolo: Ratto di Ganimede (Gabbiani). ### Introduzione: Il Ratto di Ganimede è un dipinto di Anton Domenico Gabbiani, conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze. ### Descrizione. Si narra nell'Iliade che Giove, invaghitosi di Ganimede, sotto le spoglie di un'aquila si sia impadronito del giovanetto che stava pascolando le pecore sulle pendici del monte Ida. Questo soggetto ha interessato molti pittori, tra cui Rubens, Correggio e Rembrandt. L'opera pittorica di Gabbiani, presentata ancora nella sua originale cornice seicentesca, sagomata, intagliata e dorata, fu eseguita su commissione del principe Ferdinando de' Medici, arrivò nel 1700 a Palazzo Pitti e in data imprecisata, ma nel corso del Settecento, fu assegnata agli Uffizi. Nell'Ottocento era esposta nella sala dell'Ermafrodito. Il Ratto di Ganimede è citato nell'opera di Ignazio Enrico Hugford, primo biografo di Gabbiani e suo allievo.Il dipinto mostra il volo di una enorme, vorace aquila nera (Giove) che con il becco e gli artigli stringe il corpo di un giovane (Ganimede). Anton Domenico Gabbiani, formatosi sulla scia del barocco e del classicismo romano, in particolare sulle studio di opere di Pietro da Cortona e di Carlo Maratta, col trascorrere del tempo mostrò uno stile eclettico, riscontrabile anche nei ritratti eseguiti alla corte dei Medici, in particolare quelli di Cosimo III de' Medici e del principe Ferdinando. Durante una permanenza a Venezia, nel 1699, affinò ulteriormente la sua sensibilità coloristica, aprendosi a rappresentazioni atmosferiche. Con velocità e facilità di tocco attingeva ad una completa tavolozza di tinte, ora fosche, ora morbide e luminose.
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### Titolo: Allegoria della Toscana. ### Introduzione: Allegoria della Toscana è un dipinto di Sebastiano Ricci in stile rococò. ### Descrizione. Il pittore veneto Sebastiano Ricci aveva osservato gli affreschi di Annibale Carracci, di Pietro da Cortona e di Giovan Battista Gaulli (detto il Baciccia) ed era in grado di sperimentare la sintassi illusionistica e aerea più avanzata. Usava una tavolozza dai colori caldi e morbidi, che metteva giù con pennellata lieve. La sua pittura, decorativa e sensuale, si apre verso l'alto, in uno spazio dilatato e luminoso.
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### Titolo: Incoronazione di santa Rosalia. ### Introduzione: L'Incoronazione di santa Rosalia (o Madonna col Bambino e i santi Rosalia, Pietro e Paolo) è il soggetto di un dipinto di Antoon van Dyck. È l'ultimo quadro dedicato da Van Dyck alla santa palermitana, dal pittore più volte raffigurata a partire dagli anni del suo soggiorno in Sicilia (1624-1625). ### Descrizione e stile. È stato osservato che nelle opere prodotte durante il suo soggiorno siciliano, ed in particolare in quelle dedicate a santa Rosalia, Van Dyck abbia più volte tratto spunto sul piano iconografico da esempi di artisti locali. Anche la tela viennese è esemplificativa di questo fenomeno. L'episodio che vi è raffigurato, cioè santa Rosalia inginocchiata al cospetto della Vergine ed incoronata dal Bambin Gesù mentre ai lati vi sono san Pietro e san Paolo, riprende in modo letterale quanto raffigurato in una delle incisioni illustrative della Vitae Sanctae Rosaliae del Cascini. Questa incisione a sua volta deriva da un perduto dipinto di Tommaso De Vigilia (risalente al 1494) che un tempo si trovava nella chiesa di Santa Rosalia di Bivona nell'agrigentino. Anche il dettaglio del ricchissimo manto di broccato che ricopre Rosalia - particolare che non si osserva nei precedenti dipinti del fiammingo dedicati alla vergine siciliana che è viceversa solitamente abbigliata solo di un povero saio di tipo francescano - è probabilmente una ripresa dalla stampa, anche se per tale aspetto la pala vandyckiana è stata accostata anche ad un altro precedente indigeno costituito da una tavola di Riccardo Quartararo (del 1506 circa) dove Rosalia in abiti principeschi adora la Vergine in trono col Bambino. Se questi esempi locali potevano avere interesse per Van Dyck sul piano tematico, poco invece potevano stimolarlo dal punto di vista stilistico e compositivo: a questo proposito il fiammingo guarda ad opere di altra caratura e segnatamente veneziane, tradizione artistica che fu di gran lunga l'oggetto principale delle riflessioni del pittore di Anversa durante i suoi anni italiani e il cui influsso fu decisivo per la formazione del suo stile. La disposizione in diagonale della composizione e la monumentale quinta architettonica, così come le pose della Madonna, del Bambino e di santa Rosalia mostrano una significativa assonanza con il Matrimonio mistico di santa Caterina del Veronese che è chiaramente il modello seguito da Van Dyck per la pala d’altare della cappella dei Celibi. Di derivazione veneziana è anche l’acceso colore che anima il dipinto. Completano la composizione i tipici attributi della santa palermitana: il teschio, il giglio e le rose (simbolo di Rosalia) che si vedono nella ghirlanda con la quale essa sta per essere incoronata, nel cesto che porta la figura ancillare alle sue spalle - probabile citazione della tizianesca Salomè del Prado - e nelle mani degli angioletti in volo sulla destra della tela. Dall'Incoronazione di santa Rosalia di Van Dyck trasse un'incisione Paulus Pontius e forse è proprio questa stampa, più che l'originale vandyckiano, la fonte seguita da Gaspar de Crayer per la realizzazione di una composizione di identico soggetto licenziata nel 1644, come fa pensare la specularità di questo dipinto rispetto alla tela di Vienna. È significativo che il quadro di de Crayer (oggi nel museo di Gand) fosse originariamente collocato nella chiesa gesuita di Ypres, ulteriore testimonianza degli sforzi profusi dalla Compagnia per diffondere il culto di santa Rosalia nelle Fiandre.
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### Titolo: Separazione (Munch). ### Introduzione: Separazione è un'opera espressionista del norvegese Edvard Munch, dipinta nel 1896 ad olio su tela e conservata al Munchmuseet di Oslo. ### Descrizione. Scrisse Munch a proposito del quadro:. 'In lei imprimo la morbida bellezza della limpida sera estiva - su di lei riverso lo splendore del sole che dilegua - sui suoi capelli - sul suo viso - sulla sua veste bianca - oro luccicante. La dispongo contro il mugghiante blu del mare - con le linee della spiaggia serpeggianti. - Questo è il modo in cui lei si allontana - lui ancora non comprende nulla, ma come nei sogni la sente scivolar via. - Lui resta in piedi tra i fiori rosso sangue - nelle nubi azzurro scuro della sera. - Non comprende esattamente che cosa accada - Ma anche quando lei è scomparsa avverte fino a che punto i fili sottili della sua chioma siano ancora allacciati al suo cuore - che sanguina - e brucia come una piaga insanabile.'.
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### Titolo: Ritratto di Lady Venetia Digby come allegoria della Prudenza. ### Introduzione: Il Ritratto di lady Venetia Digby come allegoria della Prudenza è il soggetto di un dipinto di Antoon van Dyck custodito nel Palazzo Reale di Milano. Del quadro esiste una seconda versione autografa - in formato molto più piccolo (cm. 101 × 80) e con qualche variante rispetto alla tela milanese - che si trova presso la National Portrait Gallery di Londra. ### Descrizione e stile. Il ritratto allegorico di Venetia Digby è oggetto di una descrizione piuttosto accurata da parte di Giovan Pietro Bellori che allo scopo poté avvalersi direttamente del racconto di Kenelm Digby: il Digby infatti tra il 1645 e 1648 soggiornò a Roma con l'incarico diplomatico di perorare la causa di Carlo I Stuart - il cui potere era sempre più insidiato dall'insurrezione capeggiata da Oliver Cromwell - presso la Santa Sede. Durante la permanenza a Roma Digby entrò in rapporti con il Bellori di cui fu una delle principali fonti per la redazione della biografia di Van Dyck inclusa dallo storico romano nelle sue Vite (pubblicate nel 1672). Così il Bellori: «Venne in pensiero al medesimo Cavaliere Digby di far dipingere sopra una gran tela la Signora sua Consorte in forma della Prudenza sedente in candida veste con un velo di colore, e balteo di gemme. Stende ella la mano à due candide colombe, e l'altro braccio è avvolto dal Serpente. Tiene sotto i piedi un cubo, al quale sono legati in forma di schiavi la Fraude con due faccie, l'Ira in aspetto furioso, l'Invidia magra, e crinita di serpenti, l'Amor profano bendato, tarpate l'ali, rotto l'arco, sparsi gli strali, spenta la face, con altre figure ignude al naturale. Sopra una gloria di Angeli con suoni e canti, tenendo tré di loro la palma, e la ghirlanda sopra la testa della Prudenza in contrassegno di vittoria, e di trionfo de' vizij; e 'l motto, è cavato da Giovenale: NULLUM NUMEN ABEST, SI SIT PRUDENTIA. Si compiacque tanto il Van Dyck di questa inventione che ne colorì un'altra in picciolo, ancorché non intiera, e l'una, e l'altra nelle rivolte di Inghilterra, fu trasportata in Francia». Benché siano rilevabili varie differenze tra questo resoconto e il dipinto milanese - a partire dai versi di Giovenale che nella tela non si scorgono - si ritiene generalmente che il Bellori si riferisca proprio al dipinto di Palazzo Reale. Quanto al motto latino plausibile spiegazione della sua attuale assenza è una riduzione delle dimensioni della tela che potrebbe aver comportato il taglio della porzione del dipinto su cui esso insisteva. Riguardo poi alle incongruenze relative alla raffigurazione vera e propria - ad esempio le allegorie dell'Ira e dell'Invidia di cui dice il Bellori ma assenti nel dipinto - esse sono probabilmente il frutto di incomprensioni del cronista della descrizione di Digby, tenendo conto che lo storico romano non ha mai visto direttamente questo dipinto. Ideatore dell'iconografia allegorica del dipinto è ritenuto lo stesso Kenelm Digby, uomo di vasta cultura. L'attributo qualificante è il serpente che Venetia tiene nella mano destra: per l'Iconologia di Cesare Ripa è l'emblema della Prudenza. Virtù della prudenza che nel dipinto era richiamata, stando al racconto del Bellori, anche dal verso di Giovenale. Nella sinistra Venetia tiene una candida colomba e ve ne è un'altra dietro la sua mano: le due colombe bianche sono simboli di purezza e castità. Seduta su un cubo di pietra la donna schiaccia con un piede un amorino con le gambe mostruose, simbolo della lascivia. Incatenata al seggio di Venetia c'è una personificazione della frode (riconoscibile dalle due facce che ne simbolizzano la falsità) da intendersi come allusione alle calunniose accuse di licenziosità - tali almeno per il marito - che erano state mosse contro Lady Digby. La prudenza di Venetia quindi, cioè la sua corretta condotta morale, sottomette il vizio e mette a tacere la calunnia (la frode incatenata). La vittoria della virtù è infine suggellata dai tre amorini che incoronano di lauro Venetia Digby. Nelle gamme cromatiche, nella consistenza degli incarnati, nella resa del paesaggio in sfondo è evidente l'influenza di Tiziano dal cui capolavoro giovanile Amor sacro e Amor profano è ripresa anche la posa di Lady Digby che è quasi coincidente con quella della Venere vestita del dipinto della Galleria Borghese (opera ben nota al Van Dyck che ebbe modo di studiarla a Roma ove soggiornò tra il 1622 e 1623 e della quale tracciò uno schizzo nel suo celebre Taccuino italiano). Dopo quello di Lady Digby, Van Dyck eseguì alcuni altri ritratti di tipo allegorico di nobildonne dell'aristocrazia inglese, talora evidentemente connessi a quello voluto da Lord Digby (come nel caso di quello della contessa di Southampton Rachel de Ruvigny raffigurata in veste della Fortuna). Oltre alle versioni autografe di Milano e di Londra del ritratto di Venetia Digby si contano varie copie così come si conoscono alcune derivazioni del dipinto tra le quali si segnala un Allegoria della Fede di David Teniers conservata all'Ermitage.
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### Titolo: Re Candaule mostra sua moglie a Gige. ### Introduzione: Re Candaule mostra sua moglie a Gige è il soggetto di un dipinto di Jacob Jordaens, conservato al museo nazionale di Stoccolma. ### Descrizione e stile. L'episodio raffigurato nel dipinto è tratto dalle Storie di Erodoto (1.9.1). Candaule, re di Lidia, aveva una moglie bellissima. Un giorno volle compiacersi di mostrarne la nudità a Gige, uno dei suoi migliori soldati, e quindi fece in modo che questi di notte potesse spiarla. La regina se ne accorse e l'indomani propose a Gige di uccidere Candaule, prendere lei in sposa e divenire così il nuovo re di Lidia, cosa che avvenne, sempre secondo il racconto di Erodoto. In una stanza buia dai raffinati arredi contemporanei, dove tutta la luce si concentra sulla regina che si denuda, Gige, sulla destra, protende il capo attraverso una tenda per spiarla e, dietro di lui, c'è Candaule, riconoscibile dalla corona che ha in capo. L'apologo morale che è possibile trarre dalla storia - cioè l'ammonimento ad un marito a preservare l'intimità e la sacralità del talamo nuziale - è con evidenza un semplice pretesto per dare vita ad una composizione pittorica dall'alta tensione erotica. Ed infatti il prorompente nudo della regina, dalle forme opulente così tipiche di Jordaens, è esposto a beneficio, non tanto di Gige e del re, che sono piuttosto defilati, ma dell'osservatore del dipinto, cui la donna nuda guarda con malizia ammiccante, pienamente consapevole, e compiaciuta, di essere osservata. La donna poggia il piede sinistro su uno sgabello mentre si sfila la camicia da notte, posa che evidenzia le sue vistosissime natiche. Una nota triviale potrebbe essere costituita dal pitale ai piedi della regina di Lidia: ne ha appena fatto uso? Si accinge a farne uso? Altro elemento che solletica il voyeurismo del riguardante, che è l'effetto realmente perseguito dal pittore. Un cagnetto, accucciato sullo stesso sgabello cui si appoggia la sfacciata regina, osserva, si direbbe con aria sbigottita, quanto sta accadendo: la sua presenza forse introduce un momento umoristico nella composizione. Iconograficamente, infatti, il cane di piccola taglia esprime di solito il concetto della fedeltà coniugale, concetto che qui è chiaramente paradossale.
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### Titolo: Ingresso trionfale di Enrico IV a Parigi. ### Introduzione: Ingresso trionfale di Enrico IV a Parigi è un dipinto di Pieter Paul Rubens che fa parte di una serie di dipinti sulla vita di Enrico IV di Francia, ordinata dalla regina Maria de' Medici per il Palazzo del Lussemburgo e rimasta incompleta. Il suo pendant, con Enrico IV alla battaglia d'Ivry, si trova anche questo agli Uffizi. ### Descrizione e storia. Enrico di Borbone, che era ugonotto, si convertì al cattolicesimo il 25 luglio 1593, nella Basilica di Saint-Denis; il 27 febbraio 1594 fu consacrato re di Francia, nella cattedrale di Chartres, col nome di Enrico IV e poté quindi fare il suo ingresso trionfale a Parigi, il 22 marzo 1594. Gli si attribuisce la frase: 'Parigi val bene una Messa'. Questo grande dipinto, insieme al suo pendant, fu acquistato dal granduca di Toscana Cosimo III de' Medici nel 1686 e proviene dall'abbazia del San Sepolcro a Cambrai. Le due grandi tele decorano ora la 'Sala della Niobe'. Un bozzetto su tavola, con il Trionfo di Enrico IV (49,5×83,5 cm), studio preparatorio per il dipinto di grandi dimensioni, si trova a New York, al Metropolitan Museum. Schizzi su carta, preparatori per l'intera serie di tele, sono a Londra alla Wallace Collection, a Bayonne al Museo Bonnat e a New York al Metropolitan Museum. Una tela con Ingresso trionfale a Parigi di Enrico IV è stata dipinta nel 1817 da François Gérard - pittore che su commissione raffigurava soggetti della storia di Francia - e si trova al castello di Versailles.
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### Titolo: Mattino di Pasqua. ### Introduzione: Mattino di Pasqua è il titolo di un dipinto dell'autore Caspar David Friedrich che, in pitture a contenuto simbolico, ha rappresentato lo spirito romantico religioso tedesco. ### Descrizione. Un intenso lirismo è evocato da questo dipinto che appartiene al periodo più fecondo dell'arte di Caspar David Friedrich, che vedeva nella pittura un modo per esprimere la sua profonda religiosità e anche per curare la sua malattia mentale insorgente. Il paesaggio, non riconducibile ad un luogo reale, si riempie di elementi simbolici che riguardano l'aspetto mistico della vita: il campo arato sulla collina rappresenta la morte; la grandiosità dell'apparire del sole, che buca e tinge il cielo, uniformemente velato dalla nebbia mattutina - a copertura di una natura sterile, rappresentata da piante spoglie e da un campo arato - esprime la meraviglia del risorgere della potenza Divina.Fra le due quinte naturali di piante scheletriche, tre donne, dal capo coperto e viste di spalle, s'incamminano verso una meta imprecisa e sfumata dalla nebbia mattutina: forse la chiesa, dove sarà celebrata la prima Messa. I due gruppi di alberi, in primo piano, fanno ala al lento andare delle tre donne. Potrebbero anche simboleggiare le tre Marie, che si recarono al sepolcro la mattina della Resurrezione di Cristo; oppure sono viandanti, sorprese lungo il camino: il viandante, nella iconografia cattolica, rappresenta lo scorrere della vita, ma anche il cammino verso la spiritualità e il distacco dal mondo. Avvolge tutta la scena una luminosità diffusa che annulla i contorni precisi di questo indistinto scorcio paesaggistico collinare: lo spazio della terra, più cupo e scuro, comunica in lontananza con quello del cielo, più chiaro e uniforme, che assume il simbolo di visione, di anelito verso l'alto.
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### Titolo: Trionfo di Federico Enrico d'Orange. ### Introduzione: Il Trionfo di Federico Enrico d'Orange è il soggetto di un dipinto di Jacob Jordaens. Il quadro è datato e firmato con la sigla J JOR fec / 1652 che si legge su un sasso posto in basso a sinistra. ### Descrizione e stile. Date le numerose coincidenze iconografiche tra le due opere, è molto probabile che il modello fornito da Jacob van Campen a Jordaens per la tela della Huis ten Bosch fosse a sua volta una derivazione da un'incisione di Salomon Savery tratta da un disegno di David Vinckboons raffigurante un'allegoria dell'ingresso trionfale di Federico Enrico d'Orange all'Aia dopo le vittorie di Wesel e di 's-Hertogenbosch, due grandi successi ottenuti dallo Statolder ai danni dello schieramento asburgico nell'ambito della Guerra degli ottant'anni. Per la decifrazione del contenuto e del significato allegorico della tela principale del ciclo della Oranjezaal una fonte di fondamentale importanza è la già menzionata lettera esplicativa recapitata da Jordaens ad Amalia di Solms. Sullo sfondo di un arco trionfale che fa da quinta architettonica avanza il carro di Federico Enrico che è assiso su di esso come se fosse seduto su un trono. Il principe di Orange indossa l'armatura che si intravede sotto un vistoso mantello purpureo che richiama alla mente i trionfi dell'antica Roma. Parte della decorazione del carro dello Statolder, posta dietro il seggio istoriato su cui siede l'eroe, è la statua di una Vittoria alata. La Vittoria, con la mano destra, incorona d'alloro Federico Enrico. La stessa scultura ha nella sinistra un'altra corona d'alloro che indirizza verso un giovane cavaliere. Costui, che su un destriero rampante affianca il corteo trionfale, è il figlio di Federico Enrico Guglielmo II d'Orange. Alle spalle del giovane principe c'è una figura nuda che regge una ghirlanda d'oro, sormontata da una corona, al centro della quale vi sono due mani giunte. Si tratta di Imene, divinità minore propiziatrice delle unioni matrimoniali, la cui presenza allude alle nozze regali di Guglielmo d'Orange con Maria Enrichetta Stuart, figlia del re d'Inghilterra Carlo I Stuart. Il carro di Federico Enrico è trainato da quattro maestosi cavalli bianchi dai finimenti d'oro. In groppa ad uno di essi sta una figura nuda, eccetto che per il manto turchese, che regge in una mano una cornucopia di frutti e spighe, simbolo di abbondanza. Ai lati della quadriga, con funzione di palafrenieri, vi sono, a sinistra, Minerva, dea della sapienza - ma anche dalle virtù marziali, come indica l'armatura che indossa - e, a destra, Mercurio, dio dell'astuzia, riconoscibile dal petaso e dai calzari alati. Le due divinità olimpiche personificano le virtù dello Statolder. I cavalli del carro si accingono a calpestare un gruppo mostruoso composto da due terribili serpenti che si stanno sbranando tra loro e da una figura che sta mordendo un cuore: si tratta di allegorie della discordia (le serpi) e dell'odio (l'essere che mangia il cuore). Sopravanzano il carro trionfale alcuni leoni, simbolo di forza e di coraggio. Quattro figure femminili, a sinistra, manifestano la propria gioia per il trionfo di Federico Enrico: sono le Muse e simbolizzano le province dei Paesi Bassi protette dal condottiero in trionfo. Alle estremità del registro basso della grande composizione vi sono due statue dorate poste su un piedistallo: sono un omaggio alla stirpe degli Orange. Si tratta infatti di Guglielmo il Taciturno, padre di Federico Enrico (a sinistra) e di Maurizio di Nassau, suo fratellastro (a destra): entrambi avevano preceduto Federico Enrico nella carica di Statolder. Intorno alle due statue si assiepa il popolo giubilante per il passaggio del corteo trionfale. L'eroizzazione del condottiero prosegue nel registro alto della tela. A mezza altezza, al centro, una figura alata con delle trombe nelle mani respinge uno scheletro. Si tratta di un'allegoria della Fama e la sua vittoria sulla morte significa che la risonanza delle gesta dell'Orange gli garantiranno l'immortalità perché non saranno dimenticate. Ancora più in alto vi è una figura femminile vestita di bianco che regge dei rami di palma. Alle spalle di essa un gruppo di amorini srotola un grande cartiglio che reca l'iscrizione: ULTIMUS ANTE OMNES DE PARTA PACE TRIUMPHUS, il cui senso è che la pace ottenuta supera ogni altro trionfo. Si tratta quindi di un'allegoria della Pace di Münster, cioè quella parte della Pace di Vestfalia (1648) in cui veniva definitivamente sancita la sovranità dei Paesi Bassi del Nord e il conseguente abbandono di ogni mira della corona spagnola su queste terre. Ovviamente Federico Enrico era già morto alla stipula di questo trattato ma le sue imprese militari avevano decisivamente contribuito alla vittoria finale delle Province Unite. Numerosi altri putti compaiono nella parte alta della composizione mentre reggono un grande festone carico di frutti. Alcuni di essi rovesciano su Federico Enrico una cornucopia piena di gioie e monili. Sono simboli di ricchezza e prosperità.
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### Titolo: Tavola di san Domenico di Guzmán. ### Introduzione: La Tavola di san Domenico di Guzmán è un pezzo della collezione permanente del Museo nazionale d'arte della Catalogna. Proviene dalla ex chiesa di San Miguel di Tamarite de Litera e fu acquisita nel 1907. ### Descrizione e stile. Contiene dodici scene della vita del santo, sei per lato, in aggiunta al compartimento centrale, dove è rappresentato san Domenico in piedi con il libro e un bastone finito con il 'fiore di giglio', che allude alla sua castità e alla devozione alla Vergine Maria (attributo che condivide con san Francesco d'Assisi e sant'Antonio da Padova). Il gran numero di scene rappresentate in questo lavoro mette in evidenza il significativo sviluppo della narrazione in queste fasi iniziali di architettura gotica nel regno Corona d'Aragona, con l'individuazione di diverse scene dettagliate delle vite dei santi.
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### Titolo: Pascoli a Castiglioncello. ### Introduzione: Pascoli a Castiglioncello è un quadro di Telemaco Signorini, realizzato a Castiglioncello nell’agosto del 1861. L'artista espose il quadro definitivo alla Prima Esposizione Nazionale che si tenne a Firenze nel settembre di quello stesso anno. ### Descrizione e stile. In questo quadro i contorni sono nitidi, quasi sfumati. Ciò che varia nettamente è la qualità della luce che si fa accecante, una tecnica completamente nuova per la pittura di Signorini: 'Come se il colore del sole fuoriuscisse dalla tela dando all'opera una forza straordinaria'. Tutti gli elementi che compongono il quadro vengono resi vividi dalla luce calda dell'estate che crea ombre intense sul terreno. La macchia è in questo caso morbida e non smorzata. La costruzione dell'immagine non si affida più al solo violento contrasto del chiaroscuro; questo quadro indica conclusa ormai la fase della sperimentazione macchiaiola. Un bozzetto del quadro fu pubblicato nel 1861 con l’erroneo titolo Pietramala sul Catalogo Bolaffi della pittura italiana dell'800.
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### Titolo: Fasti gonzagheschi. ### Introduzione: I Fasti gonzagheschi sono un ciclo di dipinti eseguito da Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, con il contributo della sua bottega. L'opera è volta alla celebrazione dinastica della gesta dei Gonzaga ed in particolare delle imprese militari realizzate tra il XV e il XVI secolo da vari membri della casata. ### Descrizione. Fonte di fondamentale importanza per l'individuazione del contenuto delle singole tele del ciclo sono le lettere scambiate tra il conte Teodoro Sangiorgio, alto funzionario della corte mantovana, e Paolo Moro ambasciatore dei Gonzaga a Venezia. In queste missive il Sangiorgio, per conto del duca Guglielmo, impartisce al diplomatico mantovano presso la Serenissima precise istruzioni circa il contenuto dei dipinti che avrebbe dovuto realizzare il Tintoretto. Da questo carteggio si deduce altresì che fu cura della committenza mantovana recapitare al pittore veneziano i ritratti dei marchesi e dei duchi da replicare nei dipinti così come delle riproduzioni dei luoghi in cui ambientare le scene.
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### Titolo: La cacciata dei profanatori dal tempio (Querena). ### Introduzione: La cacciata dei profanatori dal tempio è un dipinto a olio su tela, del 1813, di Lattanzio Querena, oggi esposto presso l'oratorio di San Luigi di Clusone. ### Descrizione e stile. L'opera è una pittura su tela del clusonese Lattanzio Querena. Per le sue dimensioni (330x540 cm.), è tra le più grandi tele della bergamasca. L’opera rappresenta Gesù mentre caccia i mercanti dal tempio, perché colpevoli di fare attività di commercio in un luogo sacro, come il tempio di Gerusalemme. Dal punto di vista artistico, l'opera fa riferimento alla pittura veneziana cinquecentesca e in particolare alla pittura del Veronese. La composizione orizzontale della scena avvicina l'opera al manierismo veneto, mentre le grandi figure in basso a sinistra sono legate a sculture e disegni del Canova. Ci sono riferimenti anche al tardo neoclassicismo e in alcuni dettagli architettonici al Tiepolo.Una curiosità di questo quadro è rappresentata dalla figura dell’anziano, posta in basso, il quale sta cercando disperatamente e avidamente di raccogliere più monete possibile. Questo particolare trovò posto anche nel dialetto locale, per indicare una persona avara.
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### Titolo: Maestà di Figline Valdarno. ### Introduzione: La Maestà di Figline Valdarno è un dipinto a tempera e oro su tavola (298x175,5cm) del Maestro di Figline databile al 1320 circa e conservato nella collegiata di Figline Valdarno. ### Descrizione. Il dipinto raffigura la Madonna in trono col Bambino, san Ludovico di Tolosa, sant'Elisabetta d'Ungheria e sei angeli. San Ludovico di Tolosa è raffigurato nell'atto di calpestare una corona, egli infatti rinunziò al diritto di maggiorascato e di conseguenza. al titolo regale proclamando di fatto nuovo Re di Napoli suo fratello Roberto d'Angiò. Di stirpe regale era anche sant'Elisabetta d'Ungheria la quale, dopo essere divenuta vedova, divenne monaca francescana.
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### Titolo: Sentiero di notte in Provenza. ### Introduzione: Il Sentiero di notte in Provenza, conosciuto anche come Strada con cipressi e cielo stellato, è un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh realizzato nel 1890 e conservato nel Museo Kröller-Müller a Otterlo nei Paesi Bassi. Il cielo notturno e la Luna in particolare sono in grado di impressionare persino un impressionista. Vincent van Gogh è rimasto molte volte a bocca aperta davanti alle stelle, e non ha esitato a rappresentarle in molte sue opere. Una di queste, anche se meno celeberrima della 'Notte stellata', si intitola 'Sentiero di notte in Provenza'. ### Descrizione.
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### Titolo: Porta Virtutis. ### Introduzione: La Porta Virtutis è un dipinto a olio su tela (159×112 cm) di Federico Zuccari, databile al 1585 circa (post 1581) e conservato nella Galleria nazionale delle Marche di Urbino. È la riproduzione di un precedente cartone satirico che fu causa di uno scandalo per l'artista e lo coinvolse in un processo che lo fece allontanare da Roma. ### Descrizione. La complessa allegoria è spiegata da iscrizioni e cartigli, il cui significato è ulteriormente chiarito da testimonianze e descrizioni, tra cui la deposizione dello stesso Zuccari nei verbali del processo che lo riguardò. La Porta Virtutis è la grande apertura ad arco trionfale che introduce al giardino della Virtù, sorvegliata sulla soglia da Minerva, come simbolo di Sapienza, che non lascia entrare i Vizi e che schiaccia il mostro dell'Ignoranza. L'arco è decorato dalle statue allegoriche della Fama, dell'Amor e Studio, dell'Intelligenza, della Fatica (Labor) e della Diligenza. Nel giardino murato stanno le Grazie, lo Spirito, e quattro figure che sollevano un dipinto bianco con l'eloquente iscrizione Tabula Zuccari: sono l'Invenzione, il Disegno, il Colorito e il Decoro. In primo piano, fuori dalla porta, stanno tre gruppi di figure mostruose. A sinistra l'Adulazione e la Persuasione mostrano una tavola con la scritta Calumnia a un ignudo con orecchie d'asino, che tiene maldestramente in mano gli strumenti dell'arte e ha ai suoi piedi i trattati dell'arte vicini alla volpe e al cinghiale (simboli dell'Ignoranza 'Crassa'). Gli tocca la caviglia l'Invidia, avvolta dai serpenti, mentre a destra sta un terzetto di satiri: al centro il Ministro dell'Invidia, che è trafitto ed ha la pelle multicolore per avvelenamento dai temperamenti interni troppo vari e squilibrati, affiancato dai due figli, il censore 'Parto di Maldicenza', e il nero della 'Distrazione', la cui preponderante pulsione sessuale accende l'inguine con fiamme. Il senso è quindi che l'artista virtuoso debba essere giudicato solo dai 'veri' intendenti dell'arte, non dal presuntuoso 'falso intendente' e dalla sua corte di adulatori. Sebbene lo Zuccari si difendesse di aver voluto rappresentare un concetto astratto, le cronache dell'epoca ci ricordano come l'identificazione dell'asino con Paolo Ghiselli e dei maldicenti consiglieri con il gruppo dei pittori bolognesi fosse fin troppo evidente.
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### Titolo: Massacro ordinato dai Triumviri. ### Introduzione: Massacro ordinato dai Triumviri è un dipinto di Antoine Caron. ### Descrizione e storia. Il quadro, articolato in tre pannelli affiancati, si riferisce al massacro di protestanti, al tempo delle guerre di religione francesi, che si verificò il 6 aprile 1561, su ordine di un Triunvirato composto dal connestabile Anne de Montmorency, dal gran maestro di Francia Francesco I di Guisa e dal maresciallo di Francia Jacques d'Albon de Saint-André che era favorito del re Enrico II di Francia. Nel dipinto il contesto è Roma all'epoca del Triumvirato di Marco Antonio, Ottaviano Augusto e Marco Emilio Lepido. Nel rappresentare l'antica Roma, il pittore ha inserito monumenti e opere d'arte, così come erano presenti a Roma nel Cinquecento ed erano stati illustrati nelle incisioni dello Speculum Romanae Magnificentiae, pubblicato da Antonio Lafreri intorno al 1550. A destra c'è la dominante statua dell'Ercole del Museo Chiaramonti e, en pendant, a sinistra c'è quella dell'Apollo del Belvedere. Le due statue marmoree sono rappresentate come colossi, bianchi indifferenti e immobili, sulla scena tragica che si svolge ai loro piedi. Appare nel pannello di sinistra anche la Colonna Traiana, l'Arco di Settimio Severo (uno dei Dioscuri, trovato al Quirinale, è qui emigrato alla sommità di quest'arco) e Castel Sant'Angelo con il Ponte Sant'Angelo. Nel pannello centrale si vede il Colosseo, già luogo di massacri, al cui interno, contro un telo funereo, figure minuscole ma presenti, siedono i Triumviri. Dietro il Colosseo si vede l'obelisco di piazza del Popolo, il Pantheon e il Settizonio squadrato (che successivamente fu distrutto), che sono rappresentati in modo sintetico e non rispondente alla realtà. Nel pannello di destra c'è l'Arco di Tito, le tre colonne del tempio di Castore e Polluce, il palazzo Senatorio sul Campidoglio, il palazzo dei Conservatori con la statua equestre di Marc'Aurelio e una parte dell'Arco di Costantino. Il palazzo Senatorio ha già la doppia scala di Michelangelo, con la sua balaustra; ma le finestre sono ancora quelle quattrocentesche, a croce, e la scala che sale al Campidoglio ha una forma arrotondata e di pura fantasia. Sulla facciata, dipinta di rosso, si notano le due grandi torri laterali. Il palazzo dei Conservatori ha ancora l'antica facciata con il portico - che sarà presto sostituita - e la statua di Marc'Aurelio è ancora posizionata in asse con il centro della facciata del palazzo dei Conservatori. Il Marc'Aurelio verrà poi spostato e messo in asse con il centro del palazzo Senatorio, quindi anche ruotato di 45°, andando ad occupare la posizione dove oggi lo vediamo (anche se in copia). Entro queste quinte, immobili e algide, si svolge, sezionata in vari episodi, la scena del massacro. Teste mozze, grondanti di sangue, sono allineate sopra il muro di coronamento di una costruzione dalle classiche formeː costruzione che sostiene tutta la città di Roma e che sembra ispirata ai resti dei Palazzi imperiali del Palatino, sul fronte del Circo Massimo. La drammaticità della scena truculenta si stempera nella visione simbolica e monumentale della Roma dell'epoca, con edifici classici e con palazzi cinquecenteschi. Sopra, un tramonto romano che si tinge di sangue. Una visione fuori del tempo che in qualche modo prelude alle vedute metafisiche di De Chirico. Un'altra versione del dipinto di Caron (1562), dipinta su un solo pannello, si trova dal 1945 nel Musée départemental de l'Oise.
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### Titolo: Storie di Damone e Tirsi. ### Introduzione: Le Storie di Damone e Tirsi sono due tavolette eseguite da Andrea Previtali tra il 1505 e il 1510 conservate presso la National Gallery di Londra, che presentano su quattro parti la raffigurazione delle storie di Damone e Tirsi, che probabilmente dovevano completare il mobile di qualche ricco veneziano. ### Descrizione. Le quattro tavolette raccontano l'incontro tra il pastore Tirsi con l'infelice Damone per il suo non corrisposto amore per Amarilli e riprendono l'arte del Giorgione che seppe ricreare la poesia di poeti quattrocenteschi, così come i suoi epigoni rappresentando scene poste in campagne ideali, incontaminate e abitate da pastori che sanno di poesia. La prima tavoletta raffigura Danone con una lira poggiata sulla gamba sinistra, seduto, sognante, veramente immalinconito. Accanto a lui un gregge indica la vicinanza del relativo pastore. L'ambiente è quello che era definito nei paesaggi lacunari che proponevano le opere di Virgilio e Teocrito, locu amoenus composto di alberi e colline in prossimità della torre di un castello, mentre in lontananza un'anonima città torrita e protetta dalle mura e posta sul fondo valle, oltre l'azzurro dei monti e di un cielo terso, dove una nuvola bianca non nasconde altre che la serenità di quel tempo. La seconda tavoletta raffigura l'incontro del giovane con il pastore Tirsi che vuole conoscere il motivo della sua tristezza, il pastore compare con le sue pecore mentre dietro il paesaggio ha perso quell'impronta di umanità che erano le torri cittadine. Nella terza Danone, restato solo, si uccide colpendosi con un coltello nel cuore. Damone siede nell'ombra mentre oltre lui stridono i colori caldi del paesaggio autunnale non lo avvolgono. La drammaticità del momento il Previtali la addolcisce con i colori caldi di un paesaggio lirico, il dolore che nasce dall'amore non ha il colore della rabbia, e l'artista è riuscito a dare umanità a un gesto che è la mancanza assoluta di comprensione umana. Così il quarto quadretto, che porta riflessione. Damone giace ormai privo di vita, accanto a lui le pecore che continuano a brucare l'erba ignari che sia macchiata dal sangue, la vita che continua. Accanto a lui Tirsi, il pastore dagli abiti strappati, lo guarda, sembra volerlo salutare. Tutto è serenità, anche le navi sullo sfondo, hanno le vele gonfiate dal vento, sono una rappresentazione serena. Il Previtali riuscì quindi a riprodurre una storia senza dover inserire didascalie esplicative, e dandone la giusta malinconia che allontana la drammaticità del momento. La natura forse è la protagonista maggiore. Lei infatti resta indifferente, imperturbabile davanti alla storia degli uomini, perché la storia del mondo continua sempre e comunque con il suo inesorabile ritmo.
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### Titolo: Frine davanti all'Areopago. ### Introduzione: Frine davanti all'Areopago (in francese: Phryné devant l'Aréopage) è un'opera dell'artista francese Jean-Léon Gérôme dipinto nel 1861. Rappresenta Frine, una famosissima etera della Grecia antica, durante il suo giudizio per empietà. Frine venne assolta dopo che l'oratore Iperide, uno dei più famosi oratori dell'antichità, la denudò davanti ai suoi giudici per convincerli della sua innocenza. È questa scena conclusiva del processo che è rappresentata nel quadro di Gérôme. L'opera venne esposta al Salon del 1861. È esposto alla Hamburger Kunsthalle di Amburgo. ### Descrizione. Frine è al centro della scena, illuminata da una luce che viene da davanti, da dietro lo spettatore. Iperide le ha appena strappato la tunica, lasciandola nuda davanti ai suoi giudici. L'etera, sorpresa, si copre il volto in un gesto di pudicizia che si contrappone allo sguardo lussurioso o disgustato degli anziani giudici. La contrapposizione fra Frine ed i suoi giudici è anche messa in risalto dal gioco di colori: ciano è il mantello che strappa Iperide sulla sinistra, d'un bianco splendente è il corpo nudo dell'etera e in rosso sono i magistrati sul lato destro della tela. L'atto di mostrare l'etera, rappresentato nel quadro, è quello di attirare l'attenzione di tutti gli astanti su Frine nel suo stato naturale. Un argomento che vale più dell'orazione Per Frine declamata pochi minuti prima. Ciò che viene svelato è la bellezza di Frine in un atto teatrale da parte di Iperide: Frine viene, appunto, svelata e non fatta arrivare nuda all'Areopago. Questa messa in scena costringe sia lo spettatore, che i giudici, a vedere l'etera, accettandola. Si ritiene che la posa dell'etera si ispiri a una fotografia di Nadar del 1855, intitolata Mariette e ritraente la modella Christine Roux.
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### Titolo: La morte del pulcino. ### Introduzione: La morte del pulcino, è un dipinto a olio su tela (52,5 x 61,5 cm) realizzato nel 1878 dal pittore italiano Antonio Rotta. Firma in basso a sinistra: A. Rotta. ### Descrizione. Rotta è da sempre interessato alla rappresentazione della vera vita quotidiana, trovando in essa una profonda introspezione dell'anima umana. È ancora vita secondo il realismo, il primo momento in cui muore l'innocenza dei bambini che vedono la morte e insieme raggiungono la conoscenza della vita per la prima volta.
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### Titolo: Bambini della conchiglia. ### Introduzione: Bambini della conchiglia (in spagnolo Los niños de la concha) è un dipinto del pittore spagnolo Bartolomé Esteban Murillo realizzato circa nel 1670 e conservato nel Museo del Prado a Madrid in Spagna. ### Descrizione. Si tratta di una delle opere più popolari dell'artista che sono state riprodotte in stampe. La scena raffigura Gesù bambino in piedi, con la testa leggermente inclinata, che con la mano destra dona l'acqua da bere in una conchiglia al cugino Giovannino inclinato a riceverla in bocca, sorreggendo anche lui la conchiglia con la mano desta, mentre con l'altra regge la croce del suo martirio. La croce presenta la scritta Ecce Agnus Dei. Giovannino è coperto con pelli di cammello; Gesù bambino è coperto da un tessuto rosso e porge la mano sinistra verso il cielo in cui ci sono tre angioletti. A sinistra un agnellino seduto osserva la scena.
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### Titolo: Ritratto di Girolamo Savonarola. ### Introduzione: Il ritratto di Girolamo Savonarola è un dipinto autografo di Fra Bartolomeo, realizzato con tecnica a olio su tavola, misura 46,5 x 32,5 cm ed è custodito nel Museo di San Marco a Firenze proveniente dalla collezione della santa pratese Caterina de' Ricci. ### Descrizione e stile. A proposito del ritratto di Savonarola il Vasari scriveva ne 'Le Vite: per l’affezione che Baccio aveva a Fra Ieronimo, che fece in un quadro el suo ritratto che fu bellissimo, il quale fu portato a Ferrara, e di lì non è molto ch’egli è tornato in Fiorenza nella casa di Filippo di Alamanno Salviati, il quale, per esser eli mano di Baccio, l’ha carissimo.
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### Titolo: San Francesco d'Assisi in estasi (Zurbarán Città del Messico). ### Introduzione: San Francesco d'Assisi in estasi è un dipinto del pittore spagnolo Francisco de Zurbarán, realizzato nel 1638 circa, durante l'età del secolo d'oro spagnolo, in cui è raffigurato San Francesco d'Assisi in stato mistico. Attualmente è conservato nel Museo Soumaya a Città del Messico. C'è un'altra versione di questo dipinto di Zurbarán e dello stesso periodo, che condivide molte caratteristiche con questa, datata tra il 1635 e il 1639,conservata nella National Gallery di Londra. ### Descrizione. Il dipinto rappresenta il fondatore dell'ordine francescano sotto la linea iconografica post-tridentina, cioè in atteggiamento ascetico e in mistica contemplazione. Il dipinto ripete gli elementi usati da Zurbarán in altri francescani: il santo in preghiera, lo sguardo diretto verso il cielo, il volto coperto e quasi velato dall'ombra del cappuccio e larga parte del corpo in ombra. In santo tiene nelle mani intrecciate vicino al petto un cranio, simbolo tradizionale di ascetismo. Il suo abito è strappato nel gomito della manica per mostrarne la povertà. Come sfondo si può vedere una costruzione e un paesaggio dove si evidenzia la Giralda, il campanile della Cattedrale di Siviglia. ### Stile. Il dipinto è un esempio del tenebrismo di Zurbarán ereditato dal Caravaggio: il pittore usa il chiaroscuro per evidenziare la serietà e il misticismo di San Francesco. Tale tenebrismo è caratteristico della scuola pittorica sivigliana sviluppata durante l'epoca barocca.
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### Titolo: Didone fonda Cartagine. ### Introduzione: Didone fonda Cartagine è il soggetto di un dipinto a olio su tela (161 x 200 cm) di Giambattista Pittoni eseguito indicativamente nel 1720 e conservato nel museo nazionale Ermitage di San Pietroburgo, in Russia. ### Descrizione. Il soggetto di Didone fonda Cartagine è esplicitamente desunto dai temi classici dell'Eneide di Virgilio. Didone è la donna destinata a divenire la leggendaria regina di Cartagine. L'opera reca una scritta a matita: 'Leningrado/ Didone a Cartagine 161x200/ Inv. N 241', e un Timbro: 'Гοc. opдена Ленина/ ЭРМИТАЖА/ Двοрцοвая наб., 3'.
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### Titolo: Continenza di Scipione (Pittoni). ### Introduzione: Continenza di Scipione è un dipinto realizzato indicativamente nel 1733 dal pittore italiano Giambattista Pittoni. Questo dipinto nasce come pendant di una versione del Sacrificio di Polissena dello stesso autore, la cosiddetta Polissena di fronte alla Tomba di Achille. Fortunatamente entrambi i dipinti sono esposti assieme al Museo del Louvre di Parigi. ### Descrizione. Seduto da un alto trono, Scipione mostra la sua clemenza al giovane Allazio in ginocchio. Sul lato, la giovane ragazza assiste alla scena e dà la mano a un vecchio; tutto intorno, persone e soldati e sul terreno, diversi preziosi vasi in segno di vittoria. I personaggi sono ben distanziati, la luce non ha il carattere drammatico del secolo precedente, i colori sono chiari e i motivi trattati in uno spirito naturalistico.(Museo del Louvre, Constance Lavagne d'Ortigue). Questo dipinto illustra un episodio di storia antica ma con lo spirito del diciottesimo secolo. Formatosi come disegnatore, Pittoni porta alle sue composizioni una vera costruzione, attribuendo una grande importanza al chiaroscuro in uno scenario molto costruito. I suoi piani sono chiari, i suoi personaggi, sempre molto eleganti, si muovono secondo delicatissimi arabeschi. Le prospettive sono costruite come i giochi, il che conferisce loro una certa irrealtà. Per quanto riguarda il colore, i toni sono quasi sempre molto vivaci, al limite dell'acidità. (Constance Lavagne d'Ortigue, Museo del Louvre).
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### Titolo: Consegna delle chiavi (Pittoni). ### Introduzione: Consegna delle chiavi, è un dipinto realizzato indicativamente nel 1730 dal pittore italiano Giambattista Pittoni. ### Descrizione. L'opera ritrae Cristo che eleva San Pietro al grado di primo apostolo. In piedi su di una scalinata, al centro del dipinto compare Cristo che si porge verso Pietro che si inginocchia per ricevere le chiavi con cui guidare la Chiesa. Per terra, si trovano gli strumenti per compiere il mandato, un libro sono aperto e una spada, in lontananza compaiono gli angeli tra le nuvole. Compare San Giacomo sulla sinistra, con in mano un bastone da pellegrino. San Giovanni esalta il significato spirituale della consegna delle chiavi del Paradiso. Le espressioni concentrate testimoniano l'emozione interiore degli apostoli che assistono alla scena. 'In questa opera matura, Pittoni mostra una certa rigidità e riprende elementi delle sue precedenti composizioni come angeli nel cielo. Tuttavia, sa come mantenere una freschezza caratteristica del rococò veneziano. I colori, in masse semplici, quasi senza sfumature, scandiscono lo spazio con un cappotto o una giacca, come se servissero a differenziare maggiormente le figure categoricamente.' (Constance Lavagne d'Ortigue, Museo del Louvre).
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### Titolo: Ritratto di Alessandro Vittoria. ### Introduzione: Il ritratto di Alessandro Vittoria è una pittura olio su tela realizzata da Giovan Battista Moroni conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna. ### Descrizione. La tela raffigura un giovane uomo identificato nello scultore trentino Alessandro Vittoria, in base alle numerose opere che lo ritrassero. La gioventù dei due artisti fu il loro punto d'incontro. Il Moroni dipinge il soggetto in abiti da lavoro, dalla folta capigliatura, contrariamente ai ritratti eseguiti da altri artisti successivamente, che lo raffigurano più avanti negli anni e stempiato. Lo scultore indossa una camicia con le maniche rimboccate, con in mano un busto antico. Il Moroni voleva quindi indicare l'attività del soggetto e il suo studio e rispetto delle opere classiche. Il dipinto anticipa la raffigurazione del vero che con Il sarto porterà il pittore ad una delle sue opere più importanti. L'impostazione del soggetto verrà poi ripresa nel dipinto molto più famoso de Il sarto, eseguito dal Moroni in età matura. Lo scultore e il Moroni si incontrarono probabilmente negli anni 1551-2 quando entrambi si trovavano a Trento, il Moroni per dipingere i ritratti dei due fratelli Madruzzo e di altri personaggi che erano presenti nella città per il Concilio del 1545-1563.
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### Titolo: Pollice verso (Gérôme). ### Introduzione: Pollice verso è un dipinto a olio su tela dell'artista francese Jean-Léon Gérôme, conservato a Phoenix in Arizona. ### Descrizione. 'Pollice verso' raffigura un mirmillone che ha appena sconfitto un reziario in un anfiteatro tra i cui spalti le vestali (vestite di bianco) spingono il gladiatore ad uccidere l'avversario con il celebre gesto, mentre l'imperatore resta indifferente. Nel realizzare il quadro Jean inserì molti elementi autentici, come armature e abbigliamento, o l'anfiteatro, basato sul Colosseo.La credenza di condannare i gladiatori sconfitti con il pollice all'ingiù, tuttavia, è falsa perché derivante da un'errata interpretazione di pollex versus, che invece era riferito al tenere il pollice all'insù o di lato come una spada sguainata, mentre tenerlo nel pugno chiuso avrebbe indicato una spada nel fodero. Inoltre è improbabile che i romani condannassero spesso gli sconfitti, dato che ciò non avrebbe neanche permesso di fare esperienza per dei buoni combattimenti, che invece la gente apprezzava.
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### Titolo: Allegoria della Calunnia. ### Introduzione: L'Allegoria della Calunnia è una grande tavola allegorica dipinta da Apelle nel IV secolo a.C., oramai perduta, rappresentante la Calunnia ed altre allegorie. Tracce delle figure che dovevano far parte dell'Allegoria della Calunnia, descritta da Luciano di Samosata, sono state rinvenute nella ceramografia apula contemporanea ad Apelle. ### Descrizione. L'opera rappresentava un re seduto con delle orecchie lunghissime e con la mano protesa in avanti, che ricordava il re Mida come prototipo del cattivo giudice; su ciascuno dei lati del re era rappresentata una figura che gli sussurra nelle orecchie cattivi consigli: il Sospetto e l'Ignoranza. Davanti al re, avanzava una donna molto bella e ben vestita, con sembiante fiero, astuto e al tempo stesso adirato; con la sinistra teneva una fiaccola accesa e con la destra trascinava per i capelli un giovane, l'Innocenza, il quale pareva che con gli occhi e le mani levate al cielo gridasse misericordia e chiamasse gli Dei a testimoniare della sua vita senza colpe. A guidare la marcia davanti alla Calunnia, era un uomo pallido, magro, brutto e di aspetto crudele, il quale ricordava un armigero o chi avesse consumato una vita fra fatti d’arme, chiamato il Livore. A seguire la Calunnia, seguivano due altre figure che si pensa fossero l'Inganno e l'Insidia, sue serve, atte nell'accomodare i suoi ornamenti. Dopo di queste era la Penitenza, atteggiata di dolore e vestita di panni bruni e sporchi, la quale si batteva il corpo e sembrava che si guardasse dietro, verso la Verità in forma di donna modesta e pudica nella sua nuditàe nel suo completo amore per le persone.
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### Titolo: Ulisse e Diomede nella tenda di Reso. ### Introduzione: Ulisse e Diomede nella tenda di Reso è un dipinto di Corrado Giaquinto, realizzato tra il 1753 e il 1762 e conservato nella Pinacoteca metropolitana di Bari. Nel 2015 l'opera è stata esposta per alcuni mesi al Louvre di Parigi, nell'ambito della mostra 'L'épopée des rois thraces'. ### Descrizione. Viene qui illustrato uno degli episodi più celebri della Guerra di Troia: Ulisse e Diomede, rappresentati al centro, sono appena entrati di notte nel sontuoso padiglione di Reso, il giovane semidio signore di Tracia, alleato dei troiani, che insieme ad alcuni dei suoi uomini sarà sgozzato nel sonno dai due eroi achei. La fonte letteraria a cui Giaquinto attinge non è l’Iliade di Omero (dove si ha una disposizione diversa del contingente di Traci, col re che dorme al centro dell'accampamento, fra tre file di guerrieri) bensì il Reso pseudoeuripideo, in base a un elemento sicuro: a sinistra in basso, presso il letto a baldacchino in cui è coricato il semidio, presentato come un bellissimo giovane seminudo, si trova un uomo aitante e con folti capelli corvini, più o meno suo coetaneo, in tenuta militare, che dorme assiso su un seggio tenendo le briglie in mano; si tratta dell'auriga di Reso, personaggio che appunto appare soltanto nell'opera tragica. Nella tenda sono presenti anche altri due guerrieri traci, ugualmente dormienti: uno in basso a destra, armato di lancia e seduto a terra, l'altro più indietro, appoggiato alle cortine. Anziché immortalare l'eccidio vero e proprio, Giaquinto manda in scena il momento immediatamente precedente, ponendo al centro il significativo gioco di sguardi tra i due capi greci, incoraggiati dalla circostanza favorevole, ovvero l'imprudenza dei nemici destinati quindi a subire i loro colpi. Fra i Traci si rivela particolarmente riuscita la caratterizzazione dell'auriga - l'unico che resterà solo ferito - per la fedeltà al testo teatrale: la smorfia facciale di occhi e bocca non completamente chiusi, in tensione, riproduce magistralmente il sogno funesto che turba il giovane. Il letto del suo signore appare elevato e sfarzoso, trattandosi di cuscini e materassi ammucchiati accanto a un imponente drappo. Il guerriero in primo piano a destra, robusto come l'auriga, indossa un mantello militare piuttosto insolito, di colore verde. Sia la coppia achea che Reso vengono illuminati dal bagliore delle torce, diffondente un giallo intenso.
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### Titolo: Battaglia di Giosuè contro gli Amorriti. ### Introduzione: La battaglia di Giosuè contro gli Amorriti (noto anche come La vittoria di Giosuè sugli Amorriti) è un dipinto di Nicolas Poussin realizzato a olio su tela. Si trova conservato al Museo Puškin di Mosca. ### Descrizione. Il dipinto si basa sul Libro di Giosuè, secondo cui il condottiero ebreo riportò una grande vittoria sui nemici Amorriti, dopo che Dio fermò il moto del sole e della luna su sua richiesta. La battaglia si svolge durante una giornata volgente al crepuscolo - con l'ultimo quarto di luna in cielo - su un terreno impervio e in misura minima su uno sperone di roccia collocato come sfondo. L'esercito degli Amorriti appare in gran parte verso destra, avviato ormai alla sconfitta, con i suoi uomini in preda al terrore: Giosué è infatti reduce dall'aver decapitato un giovane guerriero amorrita, la cui testa giace al suolo nell'angolo inferiore sinistro del quadro, spiccata via dal busto, che invece non è stato inquadrato dall'artista. Il condottiero ebreo avanza sicuro di sé con la spada in pugno, aizzando la sua cavalleria contro i nemici ancora in vita, due dei quali, finiti a terra per essere inciampati, tentano di coprirsi il volto (il primo con le braccia, l'altro, notevole per la statura e per la tenuta militare sgargiante, con lo scudo) benché consci di non poter sfuggire in alcun modo ai guerrieri armati di pugnale che stanno per colpirli. Nell'opera vi sono due sorgenti luminose: una, piuttosto fioca, è quella della luna calante, in alto a destra, mentre all'opposto si ha il bagliore del sole (potente nonostante il crepuscolo), emanazione diretta dell'Altissimo, che irradia quasi totalmente la scena, lasciando però stranamente il volto e buona parte del torso di Giosuè in penombra. Il raggio investe chiaramente invece l'amorrita decollato, rivelando la sua giovane età, ben evidente nella pelle liscia del volto, caratterizzato da un naso all'insù e da una barba ancora tenera, che sembra quasi unita alla foltissima chioma nera; è peraltro da notare che gli altri Amorriti presentano anch'essi un aspetto giovanile, con capigliature fluenti e ancora del tutto scure, laddove Giosuè e i suoi uomini sono persone visibilmente in età matura, come se Poussin volesse dimostrare che la maggiore esperienza risulta decisiva per l'esito dello scontro.
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### Titolo: Stendardo di Bettona (Perugino). ### Introduzione: Il Gonfalone di Sant’Anna è un dipinto a tempera su tavola (198,5x135) attribuito a Perugino e bottega, che si data al 1512-13 circa, epoca della permanenza del pittore a Bettona. Era conservato fino all’inizio del Novecento nella chiesa madre del borgo, per poi essere trasferito nel museo della città. ### Descrizione. All’interno di una semplice struttura architettonica formata da un arco e due pilastri, vi è la gran parte dei personaggi. In alto si trova Cristo, che sta lasciando cadere delle frecce o dei fulmini. Al suo fianco vi sono due santi monaci non identificati. In una mandorla circondata dall’arcobaleno si trovano Sant’Anna, la Madonna e Gesù bambino. Sant’Anna con il suo manto impedisce che i fulmini della peste ricadano su Bettona. Questo tipo di iconografia riprende la Sant'Anna metterza di Masaccio, che a sua volta era ripresa da un affresco di Bicci di Lorenzo. In basso si trovano San Crispolto, patrono del borgo, e Sant'Antonio da Padova, che sembrano voler intercedere per la protezione di Bettona. Infine, sullo sfondo, si può notare il paesello umbro, raffigurato tramite una visione idealizzata tipica del Perugino. Attribuito in passato allo Spagna, poi al Pinturicchio, e infine alla sua bottega a causa delle sue cattive condizioni in passato, recentemente è stata accreditata l’ipotesi secondo la quale la parte inferiore, e cioè i SS. Crispolto e Antonio, lo sfondo e la figura della Madonna, siano state dipinte dal Perugino, mentre la parte superiore, che comprende Gesù bambino, Sant’Anna, Cristo e i due santi monaci, sia stata completata da un suo seguace.
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### Titolo: Adorazione del Santo Nome di Gesù. ### Introduzione: L'Adorazione del Santo Nome di Gesù, conosciuto anche in alcune fonti moderne come Il sogno di Filippo II o Allegoria della Lega Santa è un dipinto del pittore cretese El Greco realizzato nel 1579 nel suo primo mandato toledano e conservato nel Monastero dell'Escorial a San Lorenzo de El Escorial in Spagna. ### Descrizione e stile. Questo dipinto è considerato da alcuni specialisti come il primo lavoro commissionato dal patrocinio del Re Filippo II di Spagna. Uno schizzo preparatorio è conservato nella National Gallery di Londra ed è anche conosciuto come La Gloria. I personaggi rappresentati, oltre a Filippo II, sarebbero stati San Pio V patrocinatore della Lega Santa contro l'Impero ottomano, e Giovanni d'Austria vincitore della battaglia di Lepanto. Altri personaggi sono in cima circondati da una corte di angeli. Nella parte inferiore possiamo vedere il Leviatano che simboleggia un'allegoria dell'inferno la cui composizione ricorda quella di Bosch. L'influenza della scuola veneziana risalta nella sensazione atmosferica e nelle pennellate che forniscono luce e colore alla scena. D'altra parte il ricordo di Michelangelo è inevitabile specialmente nella composizione dei personaggi.
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### Titolo: Bambina con bambola. ### Introduzione: Bambina con bambola è un dipinto di Henri Rousseau. Realizzato tra il 1904 e il 1905, è conservato all'Orangerie. ### Descrizione. La piccola effigiata, decisamente obesa, presenta gambe enormi ma mani sorprendentemente piccolissime: in una regge la bambola, nell'altra una margherita. L'artista la raffigura in modo bidimensionale, aiutato anche dal forte contrasto cromatico di bianco e rosso, i colori che caratterizzano l'abito. Il paesaggio è ridotto all'estremo: un cielo blu quasi uniforme e un prato fiorito che ricorda quelli degli arazzi medievali e delle coeve illustrazioni dei codici manoscritti, tuttavia Rousseau si rivela artista originale creando un leggero effetto prospettico grazie al quale l'erba a una certa distanza rimane in penombra e le dimensioni dei fiori appaiono ridotte.
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### Titolo: Lady Dorothy Browne e Sir Thomas Browne. ### Introduzione: Lady Dorothy Browne e Sir Thomas Browne è un dipinto a olio su tavola attribuito all'artista inglese Joan Carlile, e completato probabilmente tra il 1641 e il 1650. Il dipinto raffigura il medico inglese Thomas Browne e sua moglie Dorothy. ### Descrizione. I due Brownes sono ritratti con stili contrastanti. Lady Browne, con indosso due spille e un copricapo, sta guardando direttamente lo spettatore con un'espressione piacevole. Sir Thomas, d'altro canto, sembra guardare in lontananza. È vestito di nero con un colletto bianco. Il professore statunitense Reid Barbour ha paragonato la coppia ai poemi pastorali di John Milton, con Lady Browne che rappresenta il tempo in levare L'Allegro mentre Sir Thomas è il serio Il Penseroso. Barbour nondimeno descrisse che i due si completavano tra loro. There are no books or symbols visible in the painting.Il dipinto ha una dimensione di 184x229 mm, ed è nella collezione permanente della National Portrait Gallery (Londra) dal 1924 sotto il numero di catalogo NPG 2062.
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### Titolo: Ritratto non finito del generale Bonaparte. ### Introduzione: Il ritratto non finito del generale Bonaparte (in realtà intitolato Il generale Bonaparte) è un'opera dipinta da Jacques Louis David nel 1798 che doveva rappresentare Napoleone Bonaparte presso Rivoli con in mano il Trattato di Campoformio. Il ritratto, dipinto dal vivo, non venne mai portato a compimento. Vivant Denon tagliò in seguito la tela per conservare la parte dipinta del viso e del busto. Il quadro è oggi esposto al museo del Louvre. ### Descrizione. Su un fondo di tela preparata, si trova il viso del Bonaparte. Il suo sguardo è rivolto alla sua destra, leggermente sollevato. I capelli, di media lunghezza, sono chiari ed agitati dal vento. Il corpo lascia intuire che il generale indossa un'uniforme blu, della quale sono però dipinti solo il colletto e le spalle; si distingue anche il colletto rosso ed il foulard nero sottostante. Il resto del corpo è disegnato a carboncino. Bonaparte è raffigurato nell'atto di porre la mano destra sul fianco, mentre l'altra mano è posta al petto. Appena accennata in vita una sciarpa. Il dipinto non è né firmato né datato.
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### Titolo: La Fortuna (Salvator Rosa). ### Introduzione: La Fortuna o Allegoria della Fortuna è un olio su tela del pittore italiano Salvator Rosa, dipinto tra il 1658 e il 1659. ### Descrizione. Il dipinto raffigura Fortuna, dea della fortuna e personificazione di essa, rovesciare i suoi doni sopra una varietà di animali noncuranti. Tradizionalmente Fortuna veniva raffigurata bendata o con gli occhi chiusi, e il vaso contenente i suoi favori, il corno dell'abbondanza o cornucopia, veniva mostrato in posizione verticale. Rosa capovolge completamente questa tradizione: gemme, corone, uno scettro, monete d'oro, perle, rose, assieme a grappoli d'uva, cereali, bacche, si riversano dalla cornucopia sugli animali sottostanti. A loro volta gli animali calpestano i simboli dell'educazione, delle arti e della conoscenza. L'asino, simbolo del papa, ha addosso un drappo di colore rosso cardinale, con cui oscura un gufo, usato qui come simbolo di saggezza. Il dipinto sembra voler esprimere il risentimento dell'artista nei confronti del papa, che gli aveva negato il patrocinio. L'artista include anche riferimenti personali nell'opera: una rosa per significare il suo nome, una tavolozza, un libro che riporta le sue iniziali. Infine un maiale che calpesta una rosa.
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### Titolo: La distribuzione delle aquile. ### Introduzione: La distribuzione delle aquile (La Distribution des aigles), detto anche Giuramento dell'esercito all'imperatore dopo la distribuzione delle aquile, 5 dicembre 1804 (in originale: Serment de l'armée fait à l'Empereur après la distribution des aigles, 5 décembre 1804), è un dipinto realizzato da Jacques Louis David nel 1810. ### Descrizione. La Distribuzione è una ripresa di un'antica tradizione delle legioni romane imperiali. L'imperatore riportò così in auge l'uso della concessione delle bandiere reggimentali col simbolo dell'impero, momento accompagnato da un giuramento di fedeltà degli ufficiali d'esercito alla figura del sovrano. La scena si svolse al Campo di Marte. Al segnale indicato, tutte le colonne si avvicinarono all'imperatore che si alzò dal proprio trono e fece un discorso sul valore del sacrificio e chiese loro di giurare sulle loro vite. In questo la cerimonia fu simile al noto episodio antico del giuramento degli Orazi. L'opera pittorica si presenta dinamica, in particolare nella parte destra della composizione dove le figure sono disposte in maniera piramidale, opposta alla parte sinistra, pacata e solenne. Napoleone indossa gli abiti dell'incoronazione. Malgrado l'organizzazione spaziale, Napoleone viene presentato come investito in piena luce. Gli ufficiali tengono tra le mani la bandiere reggimentali e gli stendardi. David, però, su richiesta esplicita di Napoleone, si prese per la composizione alcune licenze storiche: Giuseppina di Beauharnais appare assente a questa cerimonia; in realtà nel 1805 la coppia appariva ancora sposata (Napoleone divorziò da lei solo nel 1809), ma la sua presenza nella tela venne giudicata inappropriata. La sua assenza è colmata dalla presenza di Eugenio di Beauharnais. Secondo il progetto originale, le bandiere precedenti dei reggimenti avrebbero dovuto essere poste ai piedi delle figure come simbolo di sottomissione della vecchia repubblica al nuovo regime imperiale, ma nella versione finale esse vennero poste dietro al trono, e su una di esse si leggono in particolare i nomi di Lodi, Rivoli e Marengo, le vittorie conseguite dall'armata repubblicana con a capo il generale Bonaparte. Un dettaglio importante si trova nella parte destra del dipinto: dietro alla figura di uno zappatore barbuto (riconoscibile dal caratteristico grembiule bianco) si trova un soldato girato di spalle che porta uno di queste bandiere non più in uso con la scritta 'Republique'. Nel 1810, Napoleone non si dichiarò più infatti «par la grâce de Dieu et les constitutions de la République, Empereur des français», bensì «par la grâce de Dieu et les constitutions, Empereur des français».
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### Titolo: Doge Antonio Grimani in adorazione davanti alla Fede. ### Introduzione: Il Doge Antonio Grimani in adorazione davanti alla Fede è un dipinto del pittore veneto Tiziano Vecellio iniziato nel 1555 e completato dal nipote Marco Vecellio nel 1576 dopo la morte del maestro; è conservato nel Palazzo Ducale di Venezia alla Sala delle Quattro Porte come una delle altre opere votive. ### Descrizione e stile. Secondo la tradizione e la legge, ogni doge governante doveva commissionare la sua immagine durante il suo regno. Il dipinto è eccezionale sotto questo aspetto perché è stato ordinato dal Consiglio dei Dieci anni dopo la morte del Doge, la cui regola era troppo breve per avere il tempo di adempiere l'obbligo. La scena raffigura il doge Antonio Grimani inginocchiato davanti all'allegoria della fede e indirettamente all'allegoria di Venezia; a sinistra la presenza di San Marco evangelista il patrono della città e in fondo un paesaggio di Venezia.
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### Titolo: Bonaparte valica il Gran San Bernardo. ### Introduzione: Bonaparte valica il Gran San Bernardo (noto anche come Bonaparte valica le Alpi) è un ritratto equestre del primo console Napoleone Bonaparte dipinto da Jacques-Louis David tra il 1800 ed il 1803. Napoleone viene rappresentato al momento del suo attraversamento del Colle del Gran San Bernardo con l'armata che lo seguirà nella vittoriosa seconda campagna d'Italia. David dipinse cinque versioni di questo dipinto, la prima delle quali venne commissionata dal re di Spagna Carlo V come tentativo d'intesa tra il suo regno e la Repubblica Francese. Le tre versioni successive vennero commissionate dal primo console con fini propagandistici e rappresentano i primi ritratti ufficiali di Napoleone: essi ornavano rispettivamente il castello di Saint-Cloud, la biblioteca dell'hôtel des Invalides ed il palazzo della Repubblica Cisalpina. L'ultima versione non fu commissionata da alcuno, ma rimase di proprietà di David sino alla sua morte. Archetipo del ritratto di propaganda, l'opera è stata riprodotta numerose volte tramite incisioni, dipinta su vasi, sotto forma di puzzle o di francobollo, testimonianza dell'importante fortuna di cui godette presso i posteri. Questo ritratto influenzò artisti come Antoine-Jean Gros e Théodore Géricault. I cinque dipinti sono oggi conservati presso:. Museo nazionale del castello della Malmaison (260 x 221 cm);. Castello di Charlottenburg, Berlino (260 x 226 cm);. Museo nazionale della reggia di Versailles (due versioni: 270 x 232 cm e 267 x 230 cm);. Museo del Palazzo del Belvedere, Vienna (264 x 232 cm). ### Descrizione. Le cinque versioni del quadro sono tutte di grossa taglia (mediamente 2,6 x 2,2 metri). Bonaparte viene presentato in uniforme di generale, con sul capo un bicorno gallonato d'oro, armato di una spada alla mamelucca, mentre sulle spalle si trova un mantello gonfiato dal vento che si avvolge attorno alle sue spalle. Monta un cavallo e con la mano sinistra si aggrappa alle briglie. Tutta la scena è rivolta verso lo spettatore ed il generale indica la direzione con la sua mano destra. In secondo piano, dei soldati risalgono la montagna, portando con loro un cannone. In basso a destra si trova un tricolore che fluttua nell'aria. In primo piano, incisi sulla roccia, si trovano i nomi BONAPARTE, ANNIBAL e KAROLVS MAGNVS IMP., associando Napoleone ad altri due condottieri che valicarono le Alpi. ### Stile. ### Realizzazione dell'opera.
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### Titolo: Consegna dell'anello al Doge. ### Introduzione: Consegna dell'anello al Doge è un dipinto del pittore veneto Paris Bordon, firmato ma non datato, secondo alcuni studiosi realizzato nel 1534 circa, secondo altri posteriore di una decina di anni o poco meno, oggi conservato nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia. ### Descrizione e stile. Il dipinto rievoca la miracolosa vicenda del salvataggio di Venezia ad opera dei santi Marco, Nicola e Giorgio, altresì conosciuta come la 'leggenda del pescatore', nata in seguito ad un pauroso nubifragio che investì Venezia una notte di febbraio del 1341 o 1342. Secondo tale leggenda, quella notte i tre santi furono traghettati alla bocca di porto del Lido da un vecchio pescatore, ignaro della loro identità, per placare la burrasca scatenata da una nave demoniaca che veleggiava verso Venezia con l’intenzione di sommergerla sotto le acque e che, invece, subì essa stessa quella sorte quando i santi fecero il segno della croce. Una volta che la nave infernale con la sua ciurma di demoni fu inghiottita da un vortice di acqua, tornò il sereno e i santi svelarono la loro identità all'attonito pescatore. San Marco poi gli consegnò il proprio anello, incaricandolo di portarlo al doge il mattino seguente a testimonianza del miracolo a cui aveva assistito. Quando il doge ricevette l’anello, riconobbe stupefatto che era lo stesso custodito nel Tesoro della Basilica di san Marco e per tale motivo risultava impossibile che potesse essere stato da lì trafugato dal pescatore, che fu quindi creduto da tutti. Nella tela di Bordon, nella quale il sapiente impiego di colori dai toni freddi e luminosi denotano subito la sua qualità di esperto colorista, vediamo l’epilogo della prodigiosa vicenda, con il pescatore che sale timoroso i gradini del trono, porgendo l’anello al doge, attorno al quale stanno i senatori, mentre a sinistra si notano il Guardian Grande della Scuola di San Marco e un gruppo di confratelli. L’episodio è ambientato in una loggia monumentale e il palazzo sullo sfondo è allusivo a Palazzo Ducale, ma l’unico elemento architettonico realistico che vi si riconosce è il campanile della chiesa della Madonna dell'Orto eretto nel 1503 (che il Bordon ben conosceva, dato che risiedeva nei pressi). La complessa scenografia architettonica dell'opera, che si sviluppa in profondità attraverso una articolata successione di piani, è ispirata agli schemi della prospettiva teatrale indicati da Sebastiano Serlio nel suo trattato I Sette libri dell'architettura. In particolare, la costruzione della scala è presa direttamente in prestito dal Libro II del Serlio. A destra della tela, sul pilastrino angolare del basamento appare la firma del pittore: O/ PARI DIS/ BORDONO. Il doge all’epoca in cui la tradizione colloca la vicenda (1341 o 1342) era Bartolomeo Gradenigo, ma il Bordon nel dipinto lo raffigura nelle sembianze del doge Andrea Gritti, suo contemporaneo, per rendere omaggio, mediante l'elaborata ambientazione architettonica, alla renovatio urbis, l’ambizioso programma edilizio da questi promosso, ma anche con lo scopo, essendo Gritti l’eroe che nel 1509, dopo la sconfitta subita dai veneziani ad Agnadello, riconquistò e difese Padova dagli eserciti della Lega di Cambrai, di esaltarne la figura di salvator patriae per volere divino. Nonostante la delibera della Scuola di san Marco per la realizzazione di due teleri per la sala dell’Albergo sia del 1534, il dipinto del Bordon, ricordato con toni entusiastici dal Vasari, viene considerato dagli studiosi moderni non eseguito prima del 1545, perché solo quell’anno fu pubblicato a Parigi il Libro II del Serlio a cui, come detto, si ispira nella scenografia architettonica ed anche perché, accanto all'influsso di Tiziano, è evidente l’adesione del Bordon allo stile degli artisti manieristi toscani presenti in laguna in quegli anni, a partire dall’architetto e scultore fiorentino Jacopo Sansovino. Nella stessa sala delle Gallerie dell’Accademia dove è oggi esposta la Consegna dell’Anello, si trova anche l’opera che l’affiancava nella sala dell’Albergo della Scuola di San Marco, cioè, la 'Burrasca di mare', che raffigura l’episodio dello scontro tra la barchetta del pescatore con i tre santi a bordo e la nave demoniaca, antecedente alla consegna dell’anello. Questo dipinto della burrasca è sicuramente opera di Jacopo Palma il Vecchio, ma esso dovette rimanere inconcluso o danneggiato dopo la sua esecuzione, poiché appare evidente un grande inserto a destra con la barca del pescatore e i tre santi, concordemente attribuito allo stesso Paris Bordon. La consegna dell'anello al doge è anche raffigurata in un arazzo cinquecentesco, commissionato dal doge Francesco Donà nel 1530 all'arazziere fiammingo Jan Rost, tuttora custodito nel Museo Marciano, a cui, forse, potrebbe essersi ispirato il Bordon.
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### Titolo: Bonaparte, primo console (Gros). ### Introduzione: Bonaparte, primo console (Bonaparte, Premier consul) è un ritratto in piedi dipinto nel 1802 da Antoine-Jean Gros che rappresenta Napoleone Bonaparte, allora primo console. Il dipinto fu una commissione di Napoleone per offrirlo a Cambacérès. È esposto al museo della Legion d'onore. Napoleone fece realizzare delle repliche del dipinto che divenne ben presto il prototipo di una serie di ritratti consolari destinati a diverse città di Francia ed europee, dipinte da diversi artisti. ### Descrizione. Il ritratto rappresenta Napoleone Bonaparte in piedi nelle vesti rosse dei consoli della Repubblica Francese, con i pantaloni bianchi bordati d'oro, il tutto completato da una bandoliera con una spada al fianco. La conservatrice Claude Ducourtial fa menzione del fatto che il diamante le Régent, comprato da Bonaparte, venne montato sull'elsa della spada qui rappresentata. Il tavolo a cui la figura di Napoleone si appoggia è ricoperto di un drappo di velluto verde bordato a frange d'oro sul quale si trovano dei fogli da scrivere. Il corpo è leggermente orientato verso destra, la mano appoggiata sui fogli, con la sinistra che tiene i guanti. Il pavimento è in marmo e sullo sfondo si intravedono delle lesene.
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### Titolo: Bonaparte, primo console (Ingres). ### Introduzione: Bonaparte, primo console (Bonaparte, Premier consul) è un ritratto del 1804 di Jean-Auguste-Dominique Ingres che rappresenta Napoleone Bonaparte, allora primo console. Il dipinto è esposto al museo de La Boverie di Liegi. ### La realizzazione dell'opera. Ingres ricevette, a ventitré anni, la commissioni di un ritratto del primo console da parte dello stesso Napoleone Bonaparte, per destinarlo alla città di Liegi. Bonaparte non volle mai posare per l'artista e pertanto Ingres dovette ispirarsi per la postura al ritratto del 1802 del console realizzato da Antoine-Jean Gros. ### Descrizione. Napoleone viene rappresentato nel dipinto all'età di 34 anni mentre posa una mano su un atto dal titolo «Faubourg d’Amercœur rebâti» che è sul punto di firmare. Napoleone, a differenza dei ritratti da generale, non brandisce più una spada (che sta ora riposta nel suo fodero), né tiene più i capelli come all'epoca della Rivoluzione, né indossa l'uniforme blu come ai tempi del ponte d'Arcole; egli indossa invece il costume rosso dei consoli della repubblica, e i capelli corti, la mano sinistra sotto il vestito, il gesto di firmare la carta, danno nel complesso un senso di saggezza e maturità. Sullo sfondo si trova un paesaggio realistico nel quale si può distinguere la cattedrale di San Lamberto di Liegi che, a seguito della Rivoluzione del Brabante ed al momento in cui Ingres dipinse questo quadro, era in fase di demolizione. ### Portata politica dell'opera. Gli eccessi della Rivoluzione francese e quelli delle successive contro rivoluzioni necessitarono un periodo di riconciliazione tra la Francia e la Santa Sede. La ricostruzione del quartiere di Amercœur fece riferimento proprio a un decreto siglato da Napoleone nel 1803 per la prefettura del dipartimento dell'Ourthe per restaurare questo sobborgo di Liegi, incendiato dai bombardamenti austriaci che colpirono la città dopo la battaglia di Sprimont di 1794. Questa operazione avrebbe fatto sì che anche gli abitanti di Liegi, nuova città integrata alla Francia, potessero vedere i benefici di sottostare al regime del consolato francese; il governo francese, simbolicamente, avrebbe così preso possesso della città. La riproduzione fedele della cattedrale di Liegi, allora in rovina, simboleggia la restaurazione delle relazioni ufficiali e pacifiche, dopo il dramma creato dalla Costituzione civile del clero del 1790, tra la Francia e il papato; l'azione si poneva sulla medesima scia della proclamazione di 'protezione' accordata dalla repubblica francese alla Chiesa cattolica col concordato del 1801.
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### Titolo: Napoleone nel suo gabinetto di lavoro. ### Introduzione: Napoleone nel suo studio (Napoléon dans son cabinet de travail) è un ritratto di Jacques Louis David realizzato nel 1812 che rappresenta l'imperatore Napoleone I in uniforme nel suo studio alle Tuileries. Questo ritratto fu una commissione privata voluta dal nobile scozzese lord Hamilton, conservato oggi alla National Gallery of Art, Washington, D.C. Una seconda versione del dipinto venne realizzato da David con un colore leggermente più verde nell'uniforme, più simile a quella dei chasseurs à cheval. Quest'ultima versione entrò a far parte della collezione del principe Luigi Napoleone Bonaparte e dal 1979 è conservata presso la reggia di Versailles. ### Descrizione. Il dipinto è un ritratto alla francese di grandi dimensioni, rappresentante Napoleone a grandezza naturale, in piedi. Porta l'uniforme da ufficiale dei granatieri a piedi, blu foderata di bianco con le maniche rosse, con un gilet bianco, decorato delle decorazioni imperiali della Legion d'onore e dell'Ordine della Corona ferrea oltre a due spalline dorate. Indossa una culotte alla francese di colore bianco, oltre a due scarpe nere con fibbie oro. La figura è presentata di tre quarti, con una gamba posta in avanti, il viso rivolto verso lo spettatore, la mano destra nascosta sotto il gilet. Tra i mobili presenti nello studio si riconosce una sedia con una spada appoggiata. La scrivania è di stile imperiale, coi piedi scolpiti a rappresentare la testa di un leone. Tra le sue carte si trova uno scritto dove si legge la parola 'CODE' in riferimento appunto al codice legislativo napoleonico. Il pavimento è ricoperto da un tappeto verde sul quale si trovano altri fogli arrotolati, sul primo dei quali si legge la firma del pittore LVDci DAVID OPVS 1812. In secondo piano si trova un grande pendolo che indica le quattro e dieci. La seconda versione differisce per l'uniforme che è appunto quella dei cacciatori a cavallo della guardia e per l'orologio che segna le quattro precise.
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### Titolo: Leonida alle Termopili. ### Introduzione: Leonida alle Termopili è un dipinto di Jacques-Louis David (1814). Iniziato nel 1800, la sua realizzazione venne interrotta dalle commissioni pittoriche del regime napoleonico per poi essere ripreso infine nel 1814. Il dipinto è attualmente parte delle collezioni del museo del Louvre. ### Descrizione. Nel 480 a.C., i persiani tentarono di invadere la Grecia ma vennero obbligati a passare attraverso la stretta gola delle Termopili. Dopo due giorni di combattimenti, i persiani disperavano ormai di riuscire a passare quando Efialte, un traditore greco, indicò loro un sentiero per cogliere i greci alle spalle. Leonida, capo dell'esercito spartano, sbarrò la strada coi suoi 300 uomini all'ondata persiana che avanzava. I 300 spartani si batterono contro 1000 persiani e vennero completamente massacrati ma il loro sacrificio consentì agli ateniesi di preparare un contrattacco adeguato. Il quadro rappresenta al centro la figura di Leonida, nudo ed armato (scudo rotondo, spada, mantello e elmo in testa) seduto su una roccia, con una gamba ripiegata; a destra, Agide, suo fratellastro, depone una corona di fiori che riporta al tema del sacrificio (vi era anticamente l'uso di compiere dei sacrifici prima della battaglia); Eurito conduce un ilota (schiavo spartiate) che brandisce una lancia. All'estrema destra, un gruppo di spartiati avanza al suono di tromba. I soldati si rivestono delle loro armi e dei loro scudi. A sinistra, un soldato sta incidendo sulla roccia la frase «passant qui va à Sparte, va dire que nous sommes morts pour obéir à ses lois», 'Oh tu che passi per andare a Sparta, dì loro che siamo morti per obbedire alle sue leggi' (per il ruolo della scrittura nei dipinti di David, si veda anche Bonaparte valica il Gran San Bernardo, come pure La morte di Marat). Le decorazioni sono limitate ad elementi naturali (foglie, un albero, delle rocce) ed umani (un tempio dedicato a Ercole sullo sfondo, l'eroe per eccellenza; delle navi persiane in arrivo). Il cielo è scuro in alto e più chiaro in basso. Leonida è la controparte greca delle Sabine, dipinto delle medesime dimensioni, che presenta una celebre battaglia della leggenda romana, dove la figura di Romolo è disposta esattamente come Leonida con un'armatura leggera. Altro punto in comune tra le due opere è che i dipinti non rappresentano il momento dello scontro, ma un momento precedente di preparazione. ### Stile. ### Un'opera per la gloria di Napoleone o un'opera premonitoria. Leonida viene rappresentato come l'eroe che attende la morte (morte annunciata), ma nel contempo tre guerrieri donano corone di alloro, simboli della vittoria, fatti questi che potrebbero suggerire un parallelismo tra le vittorie e la sconfitta di Napoleone. In entrambi i casi, David non rappresenta nell'opera una sconfitta militare ma una vittoria morale. Nel dipinto dell'incoronazione di Napoleone, i personaggi riprendono le forme statiche delle colonne; al centro si trova la figura dell'imperatore. Qui le linee e le forme convergono verso il centro dove il personaggio centrale è Leonida, capo che va a morire per la libertà del suo paese. Nel 1814, poco prima di Waterloo, questo dipinto suonò come una premonizione della caduta di Napoleone. Il carattere premonitore dell'opera si esplicò a maggior ragione dopo la seconda abdicazione di Napoleone. Si narra che quando David iniziò a dipingere l'opera ebbe modo di parlarne proprio con Napoleone:.
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### Titolo: Bonaparte valica le Alpi. ### Introduzione: Bonaparte valica le Alpi (noto anche come Napoleone attraversa le Alpi, malgrado l'esistenza di un dipinto di David noto col medesimo nome), è un dipinto del 1848-1850 raffigurante Napoleone Bonaparte, dell'artista francese Paul Delaroche. Il dipinto raffigura il Bonaparte nell'atto di guidare il suo esercito attraverso le Alpi a dorso di un mulo, percorso che avvenne veramente nella primavera del 1800, nel tentativo di sorprendere l'esercito austriaco in Italia. Le due principali versioni di questo dipinto che sono giunte sino a noi si trovano una al Louvre di Parigi e l'altra alla Walker Art Gallery di Liverpool, in Inghilterra. La regina Vittoria ne commissionò una versione ridotta.L'opera venne ispirata alla serie dei cinque dipinti realizzati da Jacques-Louis David dal titolo Bonaparte valica il Gran San Bernardo (1801-1805). Le opere di David mostrano anch'esse il passaggio di Napoleone sul Gran San Bernardo, ma hanno stile e concezione differente. Il Napoleone di Delaroche appare freddo e adombrato, mentre quello di David è nel pieno dello splendore della sua uniforme, come un eroe idealizzato. A Delaroche del resto venne commissionato un ritratto realistico, corrente emergente all'epoca in cui egli dipinse.Sebbene il dipinto rappresenti appieno il nuovo stile di cui Delaroche fu uno dei primi pionieri, il quadro venne criticato da alcuni per la raffigurazione della scena e del soggetto ma anche per avversione allo stesso Delaroche. ### Stile artistico. Oltre alla massa del bianco che si vede dietro Napoleone, la luce ambrata del sole che colpisce Napoleone e le sue truppe è la principale fonte di luce del dipinto. Essa introduce il contrasto nell'opera e si pone in diretto contrasto con le ombre presenti nel dipinto. Napoleone ed il suo mulo sono un ricco contrasto di luci ed ombre, come pure lo è la sua guida. Il ghiaccio e la neve appaiono più chiare ad ovest, consentendo di mostrare il soggetto principale del dipinto in una luce 'nuova'. Gli schemi di Delaroche nella pittura sono molto dettagliati e ben ponderati, in particolare per quanto riguarda le figure chiave del dipinto. Il mulo, ed in particolare il suo pelo, è stato oggetto di uno studio profondo per renderne i minimi dettagli e per far sì che chi osserva il dipinto lo veda ispido e poco curato. La medesima tecnica è stata applicata agli ornamenti rossi e gialli della sella dell'animale. Il dettaglio centrale di Napoleone è relativo al suo cappotto con le pieghe e le curve del vestito. Uno studio particolareggiato è stato posto anche alla guida, alla sua faccia, ai suoi vestiti ed agli stivali. L'attenzione di Delaroche al dettaglio e la sua precisione letterale nelle sue opere mostra quel lento ma progressivo diffondersi del realismo e della sua evoluzione nel corso del XIX secolo.
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### Titolo: Natività di Gesù (Geertgen tot Sint Jans). ### Introduzione: La Navità di Gesù, Natività di notte o Presepe di notte è un dipinto del pittore olandese Geertgen tot Sint Jans realizzato circa nel 1490 e conservato nella National Gallery di Londra nel Regno Unito. Si tratta di un pannello dipinto a olio su quercia, misura 34 × 25,3 cm. anche se è stato ritagliato in dimensioni su tutti e quattro i lati. Il dipinto mostra la Natività di Gesù circondato dagli angeli, con - in aggiunta - l'Annuncio ai pastori sul fianco della collina, il tutto visto attraverso la finestra al centro. Siamo di fronte ad un'opera d'arte dalle dimensioni alquanto ridotte, presumibilmente realizzato per uso devozionale privato. La versione di Geertgen, con cambiamenti significativi, sembra ricalchi un'opera perduta di Hugo van der Goes del 1470 circa. ### Descrizione e stile. Come molti altri dipinti sul tema Natività, la raffigurazione è influenzata dalle visioni di Santa Brigida di Svezia (1303-1373), una mistica molto popolare. Poco prima della sua morte, la Santa descrisse una visione di Gesù bambino, che giaceva a terra e che emetteva luce da sé:. Molte raffigurazioni riducevano altre fonti di luce nella scena per enfatizzare questo effetto. La Natività rimase molto di frequente trattata con il chiaroscuro fino al barocco .Qui le fonti di luce sono lo stesso Gesù bambino, secondo la visione di Bridget, che è l'unica fonte di illuminazione per la scena principale all'interno della stalla, il fuoco dei pastori sulla collina in secondo piano e l'angelo che appare di fronte a questi. In realtà, questo effetto va oltre quanto previsto dall'artista, poiché il dipinto venne danneggiato in un incendio nel 1904, quando si trovava presso una collezione privata a Berlino. Le diverse tonalità di blu date le parti superiori e inferiori degli abiti della Vergine e il cielo all'esterno ora appaiono come marrone o nero scuri: il dipinto ne risulta generalmente più scuro. L'opera andò perduta nel 1901. Una copia del dipinto si trova nel Museo Diocesano di Barcellona, da cui si può intuire come la dimensione originale fosse di circa 45 × 31 cm. In questa versione i raggi che emanano dal Cristo-Bambino sono più evidenti e gli animali dietro meno. Il dipinto di Geertgen inverte (fa una immagine speculare di) le figure principali dell'opera precedente che si presume siano state di van der Goes (opera oramai perduto, ma nota da diverse versioni successive). Solo le figure principali sono invertite, e non lo sfondo dell'edificio e la scena dei pastori all'esterno. A parte l'inversione, risulterebbero altre differenze: nel lavoro di van der Goes quattro angeli si inginocchiavano attorno alla mangiatoia, e un gruppo più grande si librava vicino alla sommità dello spazio-quadro; la finestra aveva un davanzale più alto della testa della Vergine; San Giuseppe teneva tra le mani una candela accesa. La composizione mostrava una visione generalmente più distaccata, senza l'intimo effetto ravvicinato della versione di Geertgen, che rappresenta le varie figure in maniera più ravvicinata. La copia forse più simile all'originale si crede che si trovi nella chiesa di Annaberg in Sassonia (illustrata in Campbell), piuttosto che la versione di Michael Sittow nel Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove - comunque - si riscontra una modellazione del bordo superiore. Pur nella varianza dei dettagli architettonici, sia i dipinti di Annaberg che quelli di Sittow mostrano edifici piuttosto grandi, in uno stato di conservazione migliore rispetto a Geertgen, il cui edificio ha un tetto in legno inclinato. Nella pittura dei Paesi Bassi il ricorrente semplice rifugio della Natività - tema poco cambiato fin dalla tarda antichità - si sviluppa spesso in un elaborato tempio in rovina, inizialmente di stile romanico, col quale si voleva rappresentare lo stato fatiscente dell'antica alleanza nella legge ebraica.
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### Titolo: Pietà tra i santi Giovanni Evangelista e Maddalena. ### Introduzione: La Pietà tra i Santi Giovanni evangelista e Maddalena è un affresco del Perugino (163x155 cm), conservato nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Spello e databile alla fine del 1522. ### Descrizione. Su un trono, ai cui piedi è scritto il nome del committente, è seduta la Madonna, dai tratti anziani, vestita con un mantello blu sotto al quale si cela una veste lilla e una sottoveste bianca. Tiene in braccio il Cristo, che sembra quasi raccolto in sé. Dal trono pendono due cartellini che recano la sua firma. Ai lati si trovano due cherubini dolenti, immersi in un paesaggio idealizzato tardo rinascimentale, ormai senza più tanti dettagli. Ai lati si nota San Giovanni con le mani giunte e la veste blu, ricoperta da un mantello fucsia, come quello di Santa Maria Maddalena, che presenta però una veste verde. Anch'essa ha le mani giunte ma sembra abbia appena deposto ai piedi del Cristo dell'incenso.
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### Titolo: Polittico della Flagellazione. ### Introduzione: Il Polittico della flagellazione è un dipinto realizzato tra la fine del XV secolo e all'inizio del XVI secolo. La pala d'altare è un polittico composto da cinque pannelli; fu attribuito a Juan de Zamora e in seguito ad Alonso Aguilar, opzioni attualmente scartate. Proviene dal vecchio ospedale di Antón Cabrera e successivamente conservato nel Museo de Bellas Artes di Cordova, in Spagna. ### Descrizione. La parte centrale ha per soggetto la flagellazione di Gesù legato ad una colonna. Il pannello in alto a sinistra rappresenta Sant'Antonio abate. Il pannello in basso a sinistra rappresenta le stigmate di San Francesco d'Assisi. Il pannello in alto a destra rappresenta San Giovanni evangelista. Il pannello in basso a destra rappresenta San Antonio da Padova.
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### Titolo: Il bagno della pastora. ### Introduzione: Il bagno della pastora è un dipinto a olio su tela (163x225 cm) realizzato nel 1903 dal pittore italiano Basilio Cascella. Conservato presso il Museo civico Basilio Cascella di Pescara, raffigura una fanciulla in un ambiente bucolico tipicamente abruzzese. ### Descrizione. Il dipinto fu realizzato presso lo stabilimento litografico di Cascella situato a Pescara nel quartiere di Porta Nuova. L'autore cominciò il dipinto nel 1899 ma fu più volte interrotto durante la sua realizzazione. Fu concluso nel 1903 per essere esposto in occasione della Biennale di Venezia dello stesso anno. Tuttavia, il dipinto andò disperso durante il trasporto da Pescara a Venezia; fu ritrovato intatto trent'anni dopo nei pressi di Ancona e restituito a Cascella.La donna raffigurata è Concetta Palmerio, moglie di Cascella e modella prediletta che compare anche in altre opere del pittore. La dimensione illustrata è quella della favola, un motivo che richiama il mondo agreste tipico dell'Abruzzo, regione natia dell'artista, e che costituisce un elemento ricorrente nella sua produzione artistica. I motivi del dipinto includono un erotismo naturale e innocente, rappresentato tramite la pastora e il suo compagno, posti come Adamo ed Eva in un nuovo paradiso terrestre dell'anima, condizione primordiale dove l'essere nudi significa appartenere alla natura.
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### Titolo: Madonna dei Tesorieri. ### Introduzione: La Madonna dei Tesorieri o Madonna dei Camerlenghi è un dipinto del pittore veneziano Tintoretto realizzato intorno al 1566-1567 e conservato dal 1812 nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia. Il dipinto, originalmente, fu realizzato per il Palazzo dei Camerlenghi. ### Descrizione e stile. La tela raffigura la Madonna col Bambino circondata dai santi San Sebastiano, Marco e Teodoro e tre tesorieri che si inginocchiano davanti a lei - Michele Pisani, Lorenzo Dolfin e Marino Malipiero - co i cui emblemi sono nell'angolo in basso a sinistra. Sugli emblemi c'è un'iscrizione in latino 'Unanimis concordiae simbolus' ('Simbolo di consenso unanime') e la data - '1566' (significativa per Tintoretto). Quell'anno divenne membro dell'Accademia del pittura a Firenze, insieme ad altri veneti - Tiziano, Jacopo Sansovino e Andrea Palladio. Si crede il dipinto sia stato concretizzato più tardi quando Malipiero avesse già finito il suo servizio. In primo piano, tre tesorieri, che erano i clienti del dipinto, sono raffigurati in pose in ginocchio davanti alla Vergine Maria, e dietro di loro ci sono i segretari che tengono i sacchi di denaro. Gli abiti neri sottolineano la nobile luminosità del dipinto: un alto esempio di colorismo veneziano con il suo potere decorativo ed espressivo. Pieno di aria e luce, il paesaggio e l'immagine prospettica del pavimento rinforzano la sensazione della profondità dello spazio. Il tema dei credenti che si incontrano con la Vergine Maria con l'aiuto dei santi è abbastanza comune nella pittura veneta.
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### Titolo: Giustizia tra gli arcangeli Michele e Gabriele. ### Introduzione: Giustizia tra gli arcangeli Michele e Gabriele o Trittico della Giustizia è un trittico del pittore Jacobello del Fiore realizzato nel 1421 e dal 1884 conservato alle Gallerie dell'Accademia di Venezia. ### Descrizione e stile. Nella parte centrale del pannello è raffigurata una figura femminile in una corona d'oro - un'allegoria della giustizia, con in mano una spada e una bilancia, circondata da due leoni. Il leone è il simbolo San Marco evangelista, il celeste patrono della repubblica veneziana, oltre a questo - un simbolo di saggezza divina. La figura di giustizia, dietro la quale c'è l'iscrizione: 'eseguirò gli ammonimenti degli angeli e le parole sacre, blanda con i pii, nemica dei malvagi e superba con gli orgogliosi', identificato con Venezia: per la repubblica, il mantenimento della pace e della giustizia era una condizione necessaria per la vita. Accanto alla figura di giustizia ci sono gli arcangeli Michele e Gabriele. L'Arcangelo Michele è raffigurato nella sua doppia faccia: come un angelo che pesa l'anima e come il vincitore del drago. Prega Maria Santissima per punire e perdonare secondo i suoi meriti. La parte destra raffigura l'arcangelo Gabriele con un giglio, il fiore dell'Annunciazione, chiede a Maria di essere il capo del popolo nell'oscurità delle loro azioni. L'abbigliamento decoroso dell'armatura dell'arcangelo Michele, figura di giustizia e dell'Arcangelo Gabriele sono state realizzate utilizzando la tecnica della doratura in gesso (la malta di gesso, le schegge di marmo e la colla sono state rivestite in oro e dipinte dopo l'applicazione). L'arte di Jacobello del Fiore, che è strettamente legata con il fiorente stile gotico, incarnano in forme eccellenti, vivaci e decorative con abiti abbaglianti luminosi.
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### Titolo: Trittico del Calvario (Cordova). ### Introduzione: Il Trittico del Calvario è un trittico di un pittore sconosciuto realizzato nel XVI secolo per il Convento di Santa Chiara e successivamente conservato al Museo de Bellas Artes a Cordova, in Spagna. Il trittico raffigura delle scene evangeliche: l'orazione nel Getsemani, la crocifissione di Gesù e la flagellazione di Gesù. ### Descrizione e stile. Nel primo pannello, intitolato Orazione nell'orto, Gesù viene mostrato mentre prega nell'orto del Getsemani con un piccolo angelo nel cielo recante in mano un calice. Sono presenti anche gli apostoli San Giacomo, San Giovanni e San Pietro addormentati. Il pannello centrale, intitolato Calvario con Santa Caterina d'Alessandria, viene mostrato Gesù crocifisso. Al ceppo della croce si trova, in ginocchio, Santa Maria Maddalena che abbraccia la croce. Maria è in piedi, con un panno in mano per asciugarsi le lacrime, assieme a San Giovanni che prega. Santa Caterina d'Alessandria prega genuflessa. Nel terzo pannello, intitolato Cristo legato alla colonna, Gesù appare legato a una colonna. L'apostolo San Pietro è in ginocchio, prega e guarda Gesù alla colonna. Appare anche un donatore inginocchiato in preghiera, che si ritiene essere l'arcidiacono Miguel Díaz.
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### Titolo: Ecce Homo (Tiziano Vienna). ### Introduzione: L'Ecce Homo è un dipinto del pittore veneto Tiziano Vecellio realizzato nel 1543 e conservato nel Kunsthistorisches Museum di Vienna in Austria. L'Ecce Homo (Vangelo di Giovanni 19, 5) è un tema che il medesimo pittore ha dipinto in altre opere. ### Descrizione e stile. Sui gradini delle scale e sulla piazza, davanti a Pilato, indicando con le parole quest'uomo al Cristo torturato, grida una folla varieggiata di persone: guerrieri e giovani raffinati, cavalieri in stile orientale e guardie con l'alabarda. La composizione si basa sui ritmi ampi e dinamici, infatti il linguaggio delle pose e dei gesti è influenzato e complicato. Il dramma storico si svolge in un mondo di completa istigazione. Cattura i partecipanti all'evento in fretta; sullo sfondo, illuminato intensamente, le mani di persone invisibili allo spettatore si muovono, salendo verso al cielo alabarde, lance e striscioni svolazzanti. Particolarmente notevole è la figura di un giovane nell'angolo sinistro il quale, con orrore e paura, è consapevole del tragico episodio.
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### Titolo: Fuga in Egitto in barca. ### Introduzione: La fuga in Egitto in barca è un dipinto di Giovanni Battista Tiepolo realizzato ad olio su tela tra il 1764 e il 1770 e conservato al Museo nazionale d'arte antica di Lisbona. ### Descrizione. Il dipinto è una variazione del tema della fuga in Egitto compiuta dalla Sacra Famiglia: qui infatti non appare il consueto asinello ma al suo posto c'è una barca, sulla quale si trovano Giuseppe, Maria e Gesù. L'imbarcazione è guidata con tocchi delicati da tre angeli, che si stanno apprestando all'approdo sulle coste egiziane. In acqua si vedono due cigni, allegoria della fedeltà coniugale.
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### Titolo: Apollo e Dafne (Giambattista Tiepolo). ### Introduzione: Apollo e Dafne è un dipinto di Giambattista Tiepolo realizzato a olio su tela nel 1743-44 e conservato nel Museo del Louvre di Parigi. L'artista realizzò anche un'altra tela avente il medesimo soggetto, intitolata Apollo insegue Dafne e conservata alla National Gallery of Art di Washington dopo aver fatto parte della collezione Kress Collection. ### Descrizione. Il dipinto raffigura l'epilogo del tentativo, da parte di Apollo, di rapire Dafne e la metamorfosi di questa in pianta di alloro nel disperato desiderio di sfuggirgli, come descritto da Ovidio nel suo poema Le metamorfosi; la tela raffigura Cupido che aveva colpito i due soggetti: uno con la freccia d'oro dell'amore e l'altra con quella di piombo dell'odio, e il dio-fiume Peneo, padre della ninfa, che intercedette per lei presso la grande dea madre Gea. Nello sguardo dei due protagonisti si legge lo stupore di quanto sta a loro accadendo. La tela, realizzata da Tiepolo nel pieno della sua maturità artistica, è ispirata alla scultura del Bernini Apollo e Dafne, e sembra voler riprodurre in forma pittorica quanto è rappresentato nell'opera marmorea. Infatti Tiepolo raffigura la trasformazione di Dafne in una pianta di alloro dalle mani che si allungano diventando rami esattamente come il Bernini aveva rappresentato il prolungarsi delle mani della ninfa durante la metamorfosi. Il dipinto si divide in due parti, quella superiore dai colori freddi e accesi è nella luce del cielo, mentre quella inferiore dai colori caldi, con varie sfumature di marroni e di grigi è nell'ombra. I personaggi sono raffigurati seminudi avvolti in drappi dai colori accesi. Apollo indossa solo sandali antichi, la faretra e un manto di colore cremisi che fa contrasto nell'azzurro di un cielo sereno. L'incarnato di Dafne è roseo e illuminato, il suo corpo è semicoperto da un drappo dorato. Cupido e Peneo sono nell'ombra, posti entrambi nella parte inferiore del dipinto. Peneo volge le spalle all'osservatore e tiene di traverso tra le mani un remo: egli sembra voler bloccare la corsa di Dafne e di Apollo.
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### Titolo: Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle. ### Introduzione: Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle è un dipinto a olio su tela eseguito da Giambattista Tiepolo nel biennio 1725-26, probabilmente negli anni della sua presenza a Udine, e conservato a Montréal presso il Museo delle belle arti. ### Descrizione. Il dipinto rappresenta un episodio narrato da Plinio il Vecchio nella sua opera Naturalis historia, scritta nel 77 d.C. Raffigura Apelle, che per le sue qualità artistiche era il pittore prediletto di Alessandro Magno, mentre ritrae la preferita tra le sue concubine, Campaspe. L'artista si innamorò di lei durante l'esecuzione dell'opera. Per questo, quale forma di ringraziamento dei suoi servizi, la giovane donna verrà poi donata dal re all'artista. Il dipinto fu eseguito dal Tiepolo con estrema libertà di raffigurazione, essendovi uniti frammenti di antichità ed altri suoi contemporanei: per questo verrà definito ' spregiudicato e quasi insolente '. L'artista si era sposato il 21 novembre 1719, a soli ventitré anni, con Maria Cecilia Guardi, che ne aveva appena diciassette, in una cerimonia celebrata segretamente perché la giovane, in seguito alla morte del padre, viveva una situazione economica di estrema indigenza, e senza dote non vi poteva essere approvazione al matrimonio da parte della famiglia di Tiepolo. Ma l'affetto verso la sposa l'artista lo rappresentò in alcuni dei suoi lavori. In questo dipinto, infatti, la bella Campaspe ha il volto di Maria Cecilia. Il dipinto, diviso in due parti distinte sia nei colori sia negli ambienti, sembra raccontare due storie diverse. A sinistra sono rappresentati Alessandro ed Efestione vicini a Campaspe che è visibilmente in posa per essere ritratta. I tre sono inseriti in un ambiente che li colloca nel loro periodo storico, come è provato anche dalle vesti che indossano. Sono illuminati dalla luce che viene dall'esterno che è alle loro spalle e posti su un piedistallo bianco che è arredato da statue di grandi dimensioni e delimitato dalla balaustra di una terrazza. Questo elemento verrà più volte usato da Tiepolo per definire ambienti esterni. La scena è illuminata da una intensa luce formata dai colori freddi con l’esplosione del manto rosso di Alessandro. All'estrema destra sono raffigurati il domestico nero di Apelle (il cui volto è dello stesso modello che diversi anni dopo poserà ancora per l'artista, impegnato col figlio Giandomenico nella realizzazione degli affreschi di villa Valmarana) e un cagnolino bianco. Il lato destro della tela è per gran parte in ombra, come se il pittore volesse raffigurare questa parte in forma più intima. Apelle è rappresentato nell'atto di eseguire il ritratto ma, avendo la modella alle sue spalle, deve volgersi permettendo così all'osservatore di vedere la sua fisionomia. Egli veste abiti di un artista del Settecento con il cappello alla Rembrandt, pittore che Tiepolo amava. Questo porterebbe a considerare che Tiepolo si sia raffigurato nella tela nelle sembianze del pittore olandese: ritrarsi non era d'altronde per lui cosa nuova. Di fronte ad Apelle l'opera da lui dipinta, posta su un cavalletto, mostra ormai definito il volto di Maria Cecilia ritratta nelle sembianze di Campaspe. Il cagnolino bianco, a fianco, probabilmente simile al vero cagnolino della copia, volge lo sguardo verso l'osservatore, a confermare l'intimità della scena e la fedeltà del matrimonio. Il dipinto ha quindi la particolarità di raffigurare i due coniugi uniti e vicini.
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### Titolo: La campana di Huesca (José Casado del Alisal). ### Introduzione: La campana di Huesca o La leggenda del re monaco è un olio su tela dipinto da José Casado del Alisal nel 1880. Il quadro ricrea il momento finale della leggenda della Campana di Huesca, quando il re Ramiro II d'Aragona mostrò ai nobili del suo regno le teste mozzate, e disposte a forma di campana, dei nobili che avevano sfidato la sua autorità. José Casado del Alisal ottenne una menzione onorifica con quest'opera nell'Esposizione Nazionale di Belle Arti di Spagna del 1881, venendogli concessa inoltre la Gran Croce dell'Ordine di Isabella la Cattolica, anche se era già Commendatore di Numero dell'Ordine di Carlo III. E un anno dopo, nel 1882, la tela fu acquistata dallo Stato spagnolo per la somma di 35.000 pesetas.La tela appartiene alla collezione del Museo del Prado, anche se si trova depositata ed è esposta nel Comune di Huesca dal 1950. ### Descrizione. La stanza sotterranea nella quale si sviluppa il quadro tenta di ricreare la cosiddetta Sala della Campana del Palazzo dei Re d'Aragona, edificio che attualmente ospita il Museo Archeologico Provinciale di Huesca. Il centro geometrico della tela coincide con la colonna addossata alla cui base appare collocato un anello di ferro. Alla sinistra del quadro appare rappresentato il re Ramiro II d'Aragona, riccamente vestito, che indossa un tocco viola con ornamenti dorati, accarezzando con la sua mano sinistra un cane nero dall'aspetto minaccioso, e segnalando con la sua mano destra le dodici teste recise e disposte a forma di cerchio dei nobili ribelli, tra le quali risalta quella del vescovo, appesa a una corda a mo' di battaglio della campana e che, a opinione di diversi autori, sembra sorridere con un sorriso cinico o macabro. Ramiro II appare sereno e osservando con durezza i nobili che contemplano inorriditi la scena dalla scala. Nel vano della scala, situato dietro il re, appaiono ammucchiati i cadaveri decapitati dei nobili. Il realismo che presentano le tredici teste recise ha sorpreso i diversi storici, che affermano che Casado del Alisal arrivò a copiarle dal naturale, e in relazione a quel realismo occorre evidenziare il seguente aneddoto veritiero di cui fu protagonista il pittore palentino, e menzionato nei suoi scritti da vari autori:. Nella parte destra della tela, più intensamente illuminata del lato sinistro, appaiono i nobili convocati dal re per contemplare il destino dei ribelli giustiziati. In primo piano appare, con abiti di colore giallo, un personaggio che potrebbe rappresentare, ad opinione di diversi autori, il conte Raimondo Berengario IV di Barcellona, genero di Ramiro II per il suo matrimonio con Petronilla d'Aragona, figlia e succeditrice di Ramiro II. Il supposto genero del re appare contemplare le teste mozzate con aria indignata e con i pugni chiusi per contenere la sua collera, e dietro di lui e situati nello stesso scalone, due nobili contemplano la scena, pensieroso uno e commosso l'altro. I restanti nobili che contemplano l'avvertimento di Ramiro II appaiono commossi, spaventati o atterriti, anche se c'e uno che sorride, e tutti loro vanno riccamente vestiti con colori rossi, azzurri o gialli, e portando cotte di maglia, tocchi o spade. ### Stile. Nel 1881, poco dopo che era terminato, alcune famiglie dell'aristocrazia italiana, come i Doria, gli Odescalchi, i Colonna, i Borghese e i Gabrielli accorsero a contemplarlo e gli dedicarono grandi elogi, al pari di alcuni artisti italiani, come Monteverde, Costa, Muller, Bertuni e Sgambati. Anche i giornali di Roma lodarono l'opera, essendo pubblicato in uno di essi il seguente commento:. La Campana di Huesca fu ampiamente elogiata anche in numerose riviste straniere del XIX secolo, come in alcune italiane, e anche in altre tedesche e austriache, come nella Rivista germanica di Lipsia, nella Cronaca Generale Artistica di Vienna, nella Kolnische Zeitung, nella Allgemeine Kunst Chronik, e nella Kunsthalle di Düsseldorf. Inoltre, il giornalista e critico d'arte del XIX secolo Isidoro Fernández Flórez, più conosciuto con il suo pseudonimo letterario di Fernán Flor, confutò coloro che accusavano l'opera di mancanza di carattere, ed elogiò al tempo stesso il colore e le linee impiegati da Casado del Alisal, affermando che le macchie di colore utilizzate costituiscono il «marchio di Casado», ed evidenziò inoltre l'«educazione morale d'artista» e l'«eleganza di spirito» manifestate dal pittore palentino in questa opera.Da parte sua, il cattedratico Carlos Montes Serrano, dell'Università di Valladolid, criticò negativamente in un articolo del 1993 l'ampollosità e gli eccessi in cui solevano incorrere le opere di pittura storica del XIX secolo, ma elogiò anche questa opera di Casado del Alisal, affermando che:.
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### Titolo: Angelica e Medoro si congedano dai pastori che li hanno ospitati. ### Introduzione: Angelica e Medoro si congedano dai pastori che li hanno ospitati (anche noto semplicemente come Angelica e Medoro con i pastori) è un affresco eseguito da Giambattista Tiepolo, nella “Sala dell'Orlando furioso” di Villa Valmarana 'Ai Nani'. ### Descrizione. Fa parte di una serie di quattro dipinti su muro, in cui vengono rappresentati altrettanti episodi relativi ad Angelica, la principale figura femminile del poema di Ludovico Ariosto. La scena illustra Angelica felice seduta con il suo innamorato Medoro, un umile fante saraceno da lei curato e ormai guarito. Gli innamorati stanno per lasciare l'umile capanna dei contadini loro ospiti, per andare nel regno di Angelica, in Catai. Medoro riconoscente per l'ospitalità ricevuta, lascia ai contadini un anello, un “cerchio d’oro, adorno/ di ricche gemme” che Orlando aveva donato ad Angelica come pegno del suo amore. Quando, tempo dopo, il paladino innamorato arriverà nella casa dei pastori, riconoscerà l'anello, capirà gli avvenimenti e da quel momento perderà il senno, divenendo pazzo furioso. Tiepolo raffigura in modo realistico la capanna e gli anziani contadini, vestiti con gli abiti del suo tempo.
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### Titolo: La danza della vita (Munch). ### Introduzione: La danza della vita è un dipinto del pittore norvegese Edvard Munch, realizzato tra il 1899 e il 1900 e conservato alla Nasjonalgalleriet di Oslo. ### Descrizione. La danza della vita è ambientata durante la notte di San Giovanni (23 giugno), considerata tradizionalmente in Norvegia come la notte delle streghe e festeggiata con feste e balli nei prati. Lo scenario adottato dall’artista è tipico di tutti i dipinti che costituivano il Fregio della vita: la scena è ambientata in un enorme prato verde che scende verso il mare, nel quale si riflette la luna. Il tema affrontato nel dipinto sembra intrecciarsi con le vicende biografiche di Munch, come lui stesso ricorda:. I personaggi che occupano il centro della tela personificano Tulla Larsen e Gunar Heiberg, il pittore di mediocre talento che la donna sposò dopo essere stata lasciata da Munch. La figura di Tulla appare moltiplicata tre volte, secondo lo schema che l’artista aveva già adottato nel dipinto Donna in tre fasi, dove la donna è e che viene ripreso nella danza della vita: la fanciulla in abito bianco, che occupa la parte sinistra della tela, rappresenta la fiducia verso la vita, la purezza e l’illusione amorosa; la figura femminile centrale, che indossa un abito rosso, personifica, invece, la tentazione, la quale, ammaliando il suo compagno di danza, lo trascina nel vortice della passione amorosa; la donna in nero, sulla destra del quadro, è l’esclusa, simbolo anche del lutto e della morte, che osserva, con uno sguardo muto e tragico, la felicità delle altre coppie danzanti, consapevole del suo carattere illusorio ed effimero. Le due figure femminili che si trovano ai poli del dipinto incarnano, infatti, la Speranza ed il Dolore, che sono inizio e fine, secondo l’artista, di ogni relazione e sorvegliano l’andamento della danza. La figura maschile in primo piano, nella quale si cela l’alter ego dell’artista, appare come imprigionata nella veste rossa dell’abito della compagna, anche se i due protagonisti sembrano tenersi a distanza più che fondersi nella danza, aspetto che viene ribadito anche dalla netta linea di contorno che isola ogni figura dalle altre. Il clima festoso, che solitamente accompagna una notte estiva, viene interpretato da Munch come una danza sconcertante: gli sguardi delle coppie, impegnate in un ballo vorticoso che si sviluppa su tutta la superficie del quadro, sono fissi, come allucinati. Proprio questa mancanza di espressione dei volti, che costituisce un tratto caratteristico dello stile dell’artista, contribuisce a rendere l’atmosfera disorientante, come appunta il pittore stesso in uno dei suo diari:. Lo sfondo del dipinto è, infatti, occupato da una serie di coppie danzanti che si abbandonano al piacere di una notte estiva, ammaliate dal magnetismo erotico della colonna lunare, simbolo del sesso, che distingue nettamente il confine dell’orizzonte. Sul lato destro del quadro risalta, inoltre, la faccia di uomo rivolto verso l’osservatore, che appare come irrigidito nell’estasi e i cui lineamenti ricordano le grottesche figure rappresentate da Ensor. Per Munch, l’amore non vince sulla malattia, sulla follia o sulla morte, rappresenta, invece, la forza più distruttiva di tutte ed è incarnato dalla donna. La danza della vita mette in scena la parabola della vita e della morte, che accompagna la vita di ognuno.
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### Titolo: Morte di Giacinto (Giambattista Tiepolo). ### Introduzione: Morte di Giacinto è un dipinto a olio su tela realizzato nel 1752-53 da Giambattista Tiepolo e conservato a Madrid nel Museo Thyssen-Bornemisza. ### Descrizione. Il dipinto viene ricordato per la particolarità di raffigurare in primo piano a destra una racchetta da volano con le palline e centralmente è possibile intravederne una rete.Apollo e Giacinto è una favola raccontata da Ovidio. Apollo figlio di Zeus si era innamorato del giovane mortale Giacinto e con lui giocava al lancio del disco, ma giocando Apollo aveva mal lanciato l’oggetto che cadendo era rimbalzato sulla tempia del giovane Giacinto, il quale essendo mortale, subì il colpo morendo all’istante, a nulla valse l’uso di erbe medicinali sulla ferita, il povero giovane non aveva il dono dell’immortalità. Già nel Cinquecento Giovanni Andrea dell'Anguillara aveva tradotto le Metamorfosi Anqiuillara inserendo la pallacorda gioco che evolvendosi divenne il gioco del tennis, quale sport praticato dagli dei, di questi Apollo un ottimo giocatore che fu però, involontariamente, causa di morte del proprio amante. Cecco del Caravaggio dipinse una racchetta nel suo La morte di Giacinto agli inizi del XVII secolo, proponendo un Caravaggio/Orfeo raccontando così il coinvolgimento del suo mentore Caravaggio nell'omicidio avvenuto durante una partita di pallacorda Ranuccio Tomassoni.. Serve considerare che le prime palline del tennis e di pallacorda, erano di cuoio e molto pesanti, possibili cause di gravi infortuni se scagliate con forza.
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### Titolo: Le cattive madri. ### Introduzione: Le cattive madri è un dipinto del pittore italiano Giovanni Segantini, realizzato nel 1894 e conservato al Österreichische Galerie Belvedere di Vienna. ### Descrizione. Come nel poema di Illica, al di fuori della “vallea livida”, gli alberi contorti, che ricordano cordoni ombelicali e dai cui rami spuntano le teste dei bambini, chiamano le proprie madri e, attaccandosi al loro seno, le perdonano e permettono alle coppie di raggiungere il Nirvana. Nella tela Segantini, abbracciando i diversi stadi della condanna e lasciando intravedere la redenzione, riunisce queste tre fasi: a sinistra, in cui si svolge il momento più duro del castigo, le madri, impigliate negli alberi, odono le voci dei propri bambini, le cui teste, rompendo il ghiaccio, spuntano dal terreno attaccate alla radice dell’albero; in primo piano, in cui è collocata la scena dotata di maggior rilievo e di grande potere visivo, si osserva la testa di un bambino che, uscendo dal ramo, si attacca al seno della madre tormentata; sullo sfondo, è rappresentata la coppia redenta che inizia il proprio percorso verso il Nirvana e che rende meno drammatica la solitudine della figura collocata in primo piano. Il tormento delle madri prende forma nel paesaggio naturale, raffigurato dall’artista con estremo naturalismo, in cui gli alberi contorti e i ghiacci sembrano evocare fantasmi ed i corpi femminili fluttuano a mezz’aria, calati in un’atmosfera che ricorda il Purgatorio dantesco, come Segantini stesso riporta:. Ogni elemento del paesaggio è intriso di un forte simbolismo: gli alberi spogli e piegati e le folate di vento gelido che avvolgono l’intera valle sembrano, infatti, personificare gli strumenti di tortura adoperati per castigare le madri, i vuoti presenti sul dipinto sono bilanciati dalla potenza emotiva e visiva esercitata dalla madre impigliata all’albero ed, inoltre, la betulla intricata, avvicinabile per i tratti alla pittura giapponese, si trasforma da albero della vita ad albero della redenzione.
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### Titolo: Sacrificio d'Ifigenia (Giambattista Tiepolo). ### Introduzione: Il Sacrificio d'Ifigenia è un affresco realizzato nel 1759 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza. Occupa la parete centrale della Sala di Ifigenia, il locale costituente l'atrio della residenza. ### Descrizione. Le fonti letterarie di riferimento per l'affresco sono l'Ifigenia in Aulide di Euripide e Le Metamorfosi ovidiane: al centro della scena, la giovane Ifigenia denudata, sta per essere immolata da Calcante, che tende il coltello verso il suo collo, mentre un inserviente è pronto a ricevere il capo su un piatto; a sinistra invece appaiono su una nube degli amorini con una cerva - inviata da Artemide -, che sostituirà la fanciulla come vittima sacrificale, tra lo stupore dell'esercito acheo; sulla destra, infine, Agamennone disperato, si copre gli occhi col mantello per non guardare il sacrificio della figlia, non rendendosi pertanto ancora conto, unico tra tutti, dell'intervento divino. La scena riprende un famoso quadro del pittore greco Timante.
@Scribis @Italiano. Il tuo compito è descrivere un dipinto.
### Titolo: Flotta greca in Aulide. ### Introduzione: Flotta greca in Aulide è uno degli affreschi realizzati nel 1757 da Giambattista Tiepolo per la Villa Valmarana 'Ai Nani', a Vicenza. ### Descrizione. Situato nel corpo principale della villa, il dipinto occupa una delle porzioni nella Sala di Ifigenia ed è pertanto in relazione col Sacrificio d'Ifigenia, che si trova sulla parete al centro. Vi sono rappresentati alcuni soldati achei che assistono al sacrificio della figlia di Agamennone, voluto da Diana, che però all'ultimo momento salverà la fanciulla. Le loro navi sono visibili sullo sfondo.