Q
stringclasses
2 values
A
stringlengths
165
112k
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Cnosso.\n### Descrizione: Cnosso (in greco antico: Κνωσός?, Knōsós, greco miceneo ko-no-so, minoico ku-ni-su) è il più importante sito archeologico dell'età del bronzo di Creta.\nSorge nella parte centrale dell'isola di Creta, a 6 km dal mare e a 5 km da Heraklion, sul fiume Katsaba (antico Kairatos).\nFu un importante centro della civiltà minoica (la civiltà cretese dell'età del bronzo). Il palazzo di Cnosso è legato ad antichi miti della Grecia classica, come Minosse e il labirinto costruito da Dedalo, e quello di Teseo e il Minotauro. Questa leggenda racconta che Minosse, re di Creta, abbia fatto costruire un labirinto per chiuderci dentro il Minotauro nato dall'unione di sua moglie con un toro. Questo essere mostruoso aveva la testa di toro e il corpo di uomo. Ogni anno bisognava dare 7 fanciulli e 7 fanciulle in pasto al Minotauro nel labirinto.\n\nStoria del palazzo.\nAbitato già nel neolitico, divenne un florido centro della civiltà minoica verso il 2000 a.C., epoca della costruzione del grande palazzo che, privo di mura difensive, era simbolo dell'egemonia cretese sul mar Egeo. In questo periodo gli abitanti di Cnosso cominciarono ad avere rapporti commerciali con la civiltà egizia dalla quale appresero le tecniche per realizzare gli straordinari affreschi rinvenuti. Verso il 1700 a.C. un cataclisma, forse un terremoto provocato dall'eruzione del vulcano dell'isola di Thera (l'odierna Santorini), distrusse tutti i palazzi dell'isola, incluso quello di Cnosso.\nDurante il periodo neopalaziale (1700 a.C.-1400 a.C.) il palazzo venne ricostruito ancora più sontuoso di quello di epoca palaziale, ancora una volta privo di mura difensive, cosa che testimonia la totale assenza di invasioni da parte di altri popoli. Verso il 1450 a.C. Cnosso fu devastata dai micenei, popolazione proveniente dal Peloponneso, come testimoniano i testi in lineare B rinvenuti nel palazzo, finché verso la metà del XIV secolo a.C. la città decadde completamente. Vi sono infine fonti che indicano la presenza di artigiani cretesi nelle città micenee dove veniva apprezzata la loro alta conoscenza nel campo dell'oreficeria.\n\nEtà ellenistica e romana.\nDopo la fine della civiltà minoica, Cnosso si ripopolò a partire dal 1000 a.C. Secondo Strabone da qui partirono i colonizzatori di Brindisi. Nel quarto e terzo secolo a.C. Cnosso fu impegnata in diverse guerre per il predominio sull'isola contro altre città come Litto e Polyrrenia, che videro l'intervento esterno di leghe greche e di Filippo V di Macedonia, cui Cnosso si oppose con altri nella guerra di Creta. L'intervento romano permise a Cnosso di diventare per qualche decennio la città più importante dell'isola, ma con la conquista romana del 67 a.C. le venne preferita Gortys come capitale della nuova provincia di Creta e Cirene. Vicino al palazzo sorse una colonia romana, Iulia Nobilis. Negli anni venti dell'800 l'isola venne conquistata dagli arabi e la popolazione si spostò a Candia, che in origine era forse uno degli scali portuali di Cnosso.\n\nStoria degli scavi archeologici a Cnosso.\nDa molti anni era noto che in quest'area si dovesse trovare una città di nome Cnosso. Infatti gli abitanti della regione, coltivando i loro campi, trovavano spesso degli oggetti antichi.\nIl primo a intraprendere gli scavi fu Minos Kalokairinos, un antiquario, commerciante di Iraklion, che nel 1878 scoprì due dei magazzini del palazzo. I turchi, padroni del terreno, lo costrinsero a fermare le ricerche. Fallirono pure i tentativi di Heinrich Schliemann nel comprare la collina di 'Kefala' a causa delle eccessive pretese dei turchi. Questi ultimi, infatti, volevano vendere al ricercatore molti più olivi di quanti non ce ne fossero sulla collina, pretendendo una somma ingente che però il tedesco respinse con indignazione.\nLa fortuna aiutò invece Sir Arthur Evans, archeologo e in quel periodo direttore dell'Ashmolean Museum di Oxford, che incominciò scavi sistematici nel 1900, seguito dal suo assistente, l'archeologo inglese Duncan Mackenzie, che teneva anche il diario di scavo, dopo la proclamazione dell'autonomia dell'isola. Verso la fine del 1903 quasi tutto il palazzo era scoperto e la ricerca procedette nei dintorni. Evans continuò così fino al 1931, con un'interruzione durante la prima guerra mondiale. Più tardi pubblicò la sua opera 'The Palace of Minos at Knossos', in quattro volumi.\nFin dall'inizio i monumenti scoperti avevano bisogno di restauro. Così certe parti del palazzo sono state ricostruite secondo l'interpretazione di Evans e in questi lavori fu usato cemento armato in abbondanza. Le parti che corrispondevano a costruzioni in legno furono all'inizio dipinte in giallo (oggi il colore giallo è sostituito). Inoltre, copie dei meravigliosi affreschi trovati durante gli scavi sono state collocate ai posti originali. Questo metodo di restauro è stato criticato da molti a causa dell'utilizzo di materiali estranei all'architettura minoica. Altri scienziati hanno contestato certi risultati di Evans. A parte tutto ciò, la intuizione, l'immaginazione creativa e la profonda conoscenza scientifica di Evans sono sempre state ammirate. In grandissima parte si deve a lui la scoperta dello splendore del mondo minoico, che fino alla sua epoca si rifletteva solo nella mitologia greca. Dopo la sua morte, gli scavi di Cnosso, che continuano fino a oggi, sono stati intrapresi dalla Scuola Britannica di Atene.\n\nIl palazzo.\nCome gli altri palazzi di Creta, anche quello di Cnosso costituiva il centro politico, religioso ed economico dell'impero marittimo minoico e possedeva inoltre un carattere sacro. Il palazzo ricopriva una superficie di 22000 m², era a più piani e a pianta molto complessa e intricata. Pare potesse ospitare fino a 12 000 persone e conteneva 1 300 stanze, sale per il culto e per i ricevimenti, gli alloggi del re, della regina e dei funzionari dell'amministrazione. Fu edificato sopra le rovine di un più antico palazzo, costruito attorno al 2000 a.C. e distrutto probabilmente da un grande terremoto intorno al 1628 a.C., dovuto alla catastrofica eruzione vulcanica di Thera, l'odierna isola di Santorini.Il 'secondo palazzo' fu costruito all'inizio del XVI secolo a.C. Il palazzo di Cnosso era costruito intorno a un cortile in terra battuta dove si esibivano dei ginnasti che volteggiavano sui tori, animale sacro per i cretesi, sfidando la morte come i gladiatori del Colosseo. Il palazzo era così grande e la trama era così complessa che viene menzionato come labirinto nel mito del Minotauro e del filo di Arianna. Infatti nel mito si dice che il palazzo era stato progettato dall'architetto ateniese Dedalo aiutato dal figlio Icaro (mito di Dedalo e Icaro). Vi è inoltre un riferimento anche morfologico lessicale che riconduce al famigerato labirinto: il simbolo del palazzo era l'ascia bipenne, in greco antico: λάβρυς?, labrys, da cui, con il suffisso -into, a indicare il luogo, labyrinthos.\nParticolare del palazzo sono i famosi bagni degli appartamenti della regina che, secondo studi approfonditi, sarebbero i più avanzati di tutta l'antichità, con canalizzazioni sotterranee, fogne, canali di scarico, acqua calda sempre disponibile... un miracolo della tecnica cretese.\nInfine si pensa che il palazzo di Cnosso sia stato ubicato proprio in quella posizione perché nei pressi del monte Ida, il luogo dove era vissuto Zeus e probabilmente anche Poseidone.\n\nGli affreschi di Cnosso.\nA Cnosso vi era una profonda cultura degli affreschi. I cretesi dipingevano sulle pareti del palazzo di Cnosso opere eccezionali con la classica visione di profilo tipica dell'arte egizia. Il motivo di questa particolare tecnica rappresentativa è la causa dei continui scambi commerciali e culturali tra la civiltà cretese e quella egizia. Al museo archeologico di Candia sono conservati notevoli affreschi ancora ben conservati che rappresentano scene di giochi con i tori (taurocatapsia), processioni, ecc.\nI muri erano ricoperti da intonaci affrescati con soggetti marini, combattimenti con tori e motivi geometrici. Per la prima volta le immagini non erano usate per rappresentare concetti e simboli come nell'arte egizia, ma per abbellire i luoghi di vita. Il rapporto dei cretesi con la natura, specie quella marina, è testimoniato dalla pittura e dall'arte scultorea. La religione cretese infatti attribuiva caratteri divini ad alcuni animali, come il toro e il serpente, che costituivano perciò il soggetto privilegiato delle pitture.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Coalemo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Coalemus è il dio della stupidità, citato una volta da Aristofane, e trovato anche nelle Vita di Plutarco. E indicato come un demone, più che uno spirito di divinità minore.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Codro.\n### Descrizione: Codro (Atene, 1091 a.C., Sparta, 1070 a.C.) o, meno frequentemente, Kodro (in greco antico: Κόδρος?, Kòdros), è stato, secondo la leggenda, l'ultimo re di Atene.\n\nNella mitologia.\nLa fine della monarchia fu determinata, sempre secondo il mito, da una guerra contro Sparta: l'oracolo di Delfi aveva infatti profetizzato al re che gli ateniesi avrebbero vinto se il loro sovrano fosse stato ucciso. La notizia giunse presto alle orecchie degli spartani, i quali, naturalmente, fecero attenzione a non fargli del male.\nIl re, tuttavia, travestito da vecchio, provocò alcuni soldati spartani andati a fare legna, che lo uccisero. Gli Ateniesi svelarono l'inganno andando a chiedere la restituzione del corpo del loro re al campo degli Spartani, che così seppero chi fosse il vecchio ucciso con tale noncuranza e persero la guerra.Aristotele, nella Politica (V 10, 1310b 34-40) propone la vicenda di Codro come exemplum di sacrificio personale per il bene della patria.\nSconfisse Alete re di Corinto.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Colchide.\n### Descrizione: Nell'antica geografia, la Colchide (georgiano e laz: კოლხეთი, k'olxeti; greco antico: Κολχίς, Kolchís) era un antico stato georgiano, regno e regione situato nella Georgia occidentale (regione del Caucaso), che giocò un ruolo importante nella formazione etnica e culturale del popolo georgiano e dei suoi sottogruppi. Il regno della Colchide come primo stato georgiano contribuì in modo significativo allo sviluppo dello stato georgiano medievale dopo la sua unificazione con il regno georgiano orientale di Iberia-Kartli. Il termine colchici viene usato come nome collettivo per significare le tribù georgiane che popolavano la costa orientale del Mar Nero.Secondo le fonti greche, il limite occidentale della Colchide era a Trebisonda, nell'odierna Turchia. A nord comprendeva l'attuale Sukhumi, in Abcasia. La maggior parte dell'antica Colchide fa attualmente parte della Georgia.\nSi ritiene che la popolazione della Colchide parlasse una delle lingue caucasiche, in quanto il suo territorio è oggi occupato da parlanti di due lingue di questa famiglia strettamente imparentate tra loro: il Megrelio e il Laz.\nLa sua geografia è principalmente ascritta a ciò che è adesso la parte occidentale della Georgia. La Colchide era nella mitologia greca il regno di Eete e la patria di sua figlia Medea nonché la destinazione degli Argonauti, essendo anche la possibile patria delle Amazzoni. Questa antica regione è rappresentata grosso modo dalle attuali province georgiane di Abcasia, Mingrelia, Svanezia, Racha, Imerezia, Guria, Agiaria, dai rajon russi di Soči e Tuapsinskij e dalle città turche di Rize, Trebisonda e Artvin (Lazistan, Tao-Klarjeti). I colchici si erano stabiliti nel Caucaso nella media età del bronzo.\n\nGeografia e toponimi.\nIl regno di Colchide, esistente dal VI al I secolo a.C., viene considerato come il primo stato georgiano, mentre il termine colchico venne utilizzato come un termine collettivo per indicare le prime antiche tribù georgiane che popolarono la costa orientale del Mar Nero.Secondo l'esperto di studi caucasici Cyril Toumanoff:.\n\nTuttavia, era già esistito un precedente stato colchico. Si trattava di un'unione tribale georgiana formatasi nel XIII secolo a.C. sulla costa del Mar Nero, che diede vita al Regno di Qulha nella Georgia occidentale, già chiamato 'Colchide' dai Greci. Questo regno fu una prima formazione statale degli antichi georgiani. Secondo la maggior parte degli autori classici, il territorio della Colchide confinava a sud-ovest con il Ponto, a ovest con il Mar Nero fino al fiume Corax (probabilmente l'attuale Bzybi, Abcasia, Georgia), a nord con la catena montuosa del Caucaso, che la separava dalla Sarmazia asiatica, a est dall'Iberia e i Monti Moschici (adesso Caucaso minore), e a sud con l'Armenia. C'è qualche piccola differenza tra gli autori riguardo all'estensione della regione verso occidente: perciò Strabone fa iniziare la Colchide a Trebisonda, mentre Tolomeo, d'altra parte, estende il Ponto fino al fiume Rioni. Pitsunda era l'ultima città nel nord della Colchide.\nIl nome di Colchide per primo appare in Eschilo e Pindaro. Gli scrittori più antichi si riferiscono ad essa soltanto con il nome di Aea (Aia), la residenza del mitico re Eete: 'L'Aia colchica giace oltre i limiti del mare e della terra', scriveva più tardi Apollonio di Rodi. I fiumi principali erano il Fasi (adesso Rioni) che, molto probabilmente, scorreva attraverso la zona centrale della regione dal Caucaso verso occidente (per sfociare nell'Eusino meridionale) e l'Anticite o Atticito; secondo alcuni scrittori era il confine meridionale della Colchide. Arriano menziona molti altri fiumi per nome, ma sembra siano stati poco più che torrenti montani, i più importanti dei quali erano: Charieis, Chobus o Cobus, Singames, Tarsuras, Hippus, Astelephus, Chrysorrhoas, molti dei quali vengono anche citati da Tolomeo e Plinio. Le città principali erano Dioscurias o Dioscuris (sotto i romani chiamata Sebastopoli, adesso Sukhumi) situata lungo la zona costiera dell'Eusino, Sarapana (adesso Shorapani), Fasi (adesso Poti), Pityus (adesso Pitsunda), Apsaros (adesso Gonio), Surium (adesso Vani), Archeopoli (adesso Nokalakevi), Macheiresis, e Cyta o Cutatisium (adesso Kutaisi), il tradizionale luogo di nascita di Medea, mentre Scilace, contrariamente ad altri scrittori, menziona Mala o Male come città natale di Medea.\n\nStoria.\nPrimi periodi.\nNell'antichità, la regione del Mar Nero orientale fu la patria della ben sviluppata cultura del bronzo nota come cultura colchica, correlata alla contigua cultura di Koban, che emerse verso la media età del bronzo. Alla fine del II millennio a.C., secoli prima dell'insediamento greco, in almeno alcune parti della Colchide, il processo di urbanizzazione sembra essere stato in una fase abbastanza avanzata. La tarda età del bronzo colchica (dal XV all'VIII secolo a.C.) vide lo sviluppo di una significativa abilità nella fusione e lavorazione dei metalli iniziata molto prima che essa venisse ad essere utilizzata con padronanza in Europa . Vennero fabbricati utensili agricoli sofisticati e i bassopiani fertili e ben irrigati con il favore di un clima mite favorirono la crescita di progredite tecniche agricole.\nLa Colchide era abitata da un certo numero di tribù imparentate ma distinte i cui insediamenti si trovavano principalmente lungo la riva del Mar Nero. Le principali erano i macheloni, heniochi, zudreti, lazi, calibi, tabal, tibareni, mossineci, macroni, moschi, marri, apsili,, soani (suani), sanigae, geloni e melanchlaeni. Queste tribù differivano così totalmente nella lingua e apparenza rispetto ai popoli circostanti che gli antichi fornivano varie teorie per spiegarne il fenomeno.\nPer esempio, Erodoto afferma che i colchici, insieme agli egiziani ed agli etiopici, fossero stati i primi a praticare la circoncisione, un costume che - egli dichiarava - gli stessi colchici ereditarono dai resti dell'esercito del faraone Senusret III (1878-1841 a.C.). Erodoto dunque li considera egiziani. Apollonio di Rodi afferma che gli egiziani della colchide conservassero come cimeli un certo numero di tavolette in legno che raffiguravano mari e strade maestre con molta accuratezza. Sebbene la teoria 'egiziana' riguardo all'origine non fosse stata adottata in modo unanime dagli antichi, essa è stata difesa – ma non con pieno successo - da alcuni scrittori moderni . All'inizio del XX secolo esisteva una piccola popolazione di razza negra nella regione, talché è possibile pensare che ci fosse stata una componente negra (che precede il commercio di schiavi arabo) nella regione del Mar Nero, le cui origini potrebbero essere plausibilmente fatte risalire a un'antica spedizione nella regione dei negri d'Africa. Tuttavia, in assenza di ogni prova archeologica conclusiva, questa asserzione resta puramente speculativa.Molte teorie moderne ipotizzano che gli antenati dei laz-mingreliani fossero nell'antichità la dominante etnica e la presenza culturale nella regione, e perciò giocassero un ruolo significativo nell'etnogenesi dei georgiani moderni.\n\nKolkha.\nNel XIII secolo a.C. venne a formarsi il Regno di Colchide come risultato del costante consolidamento delle tribù che abitavano la regione. Questa potenza, celebrata nella mitologia greca come la destinazione degli Argonauti, la patria di Medea e il regno speciale della stregoneria, era noto agli urartei come Kolkha. Essendo i popoli limitrofi in uno stato permanente di guerra, i colchici vennero ad assorbire parte del popolo dei Diauehi verso il 750 a.C. ca., ma perdendo molte province (inclusa la “città reale” di Ildemusa) a favore di Sarduris II di Urartu, in seguito alle guerre del 750-748 e 744-742 a.C. Invasa da sciti e cimmeri pressappoco tra 730 e il 720 a.C., il regno si disintegrò in vari staterelli. Verso la metà del VI secolo a.C. questi caddero sotto il dominio achemenide. Le tribù che abitavano nella Colchide meridionale (tibareni, mossineci, macroni, moschi e marri) vennero incorporate nella 19ª satrapia dell'impero persiano, mentre le tribù settentrionali si sottomisero “volontariamente” con l'obbligo di mandare alla corte persiana 100 fanciulli e 100 fanciulle ogni 5 anni. L'influenza esercitata sulla Colchide dal vasto impero achemenide, con il suo prospero commercio e i vasti legami economici e commerciali con altre regioni, accelerarono il suo sviluppo socioeconomico. Successivamente il popolo della Colchide sembra avere sovvertito l'autorità persiana formando uno stato indipendente . Secondo Ronald Suny: Questo stato georgiano occidentale era federato a quello di Kartli-Iberia, e i suoi re governavano attraverso skeptukhi (governatori reali) i quali ricevevano consulenti dal re.\n\nColonizzazione greca.\nIl progresso economico e le favorevoli condizioni geografiche e naturali della regione attrassero i greci milesi che colonizzarono la costa colchica stabilendo qui i loro uffici commerciali (a Fasi, Gyenos e Sukhumi) nel VI-V secolo a.C. Secondo un'antica espressione proverbiale greca della società di allora, il tragitto per giungere nella regione colchica era considerato 'il viaggio più lungo', il luogo più orientale mai conosciuto al mondo, laddove sorgeva il sole. Essa era situata proprio fuori dai territori conquistati da Alessandro Magno. Fasi e Sukhumi furono delle splendide città greche dominate da oligarchie mercantili, che talvolta venivano importunate dai colchici dell'entroterra, prima di essere apparentemente assimilati totalmente. Dopo la caduta dell'impero persiano, una parte significativa della Colchide, localmente nota come Egrisi, venne annessa al Regno di Iberia (Kartli) creato nel 302 a.C. ca. Tuttavia, ben presto la Colchide si rese indipendente ma si frantumò in tanti piccoli principati governati dagli sceptuchi. Essi conservarono un grado di indipendenza fino a che non vennero conquistati (circa 101 a.C.) da Mitridate VI del Ponto.\n\nSotto il Ponto.\nMitridate VI soffocò una rivolta nella regione nell'83 a.C. dando il governo della Colchide nelle mani di suo figlio Mitridate Cresto, il quale venne presto giustiziato essendo stato sospettato di complotto contro suo padre. Durante la terza guerra mitridatica, Mitridate VI mise al trono della Colchide un altro suo figlio Macare, che mantenne il suo potere, ma per un breve periodo. Con la sconfitta di Mitridate VI del Ponto nel 65 a.C., la Colchide venne occupata da Pompeo, facendo prigioniero uno dei capi locali (sceptuchi) Oltace, e insediandovi Aristarco come dinasta (65-47 a.C.). Dopo il declino e la morte di Pompeo, Farnace II, figlio di Mitridate, si avvantaggiò del fatto che Giulio Cesare si trovasse impegnato in Egitto, e perciò occupò la Colchide, l'Armenia e parte della Cappadocia, sconfiggendo successivamente Gneo Domizio Calvino, mandato da Cesare contro di lui. Il suo trionfo fu, comunque, di breve durata. Sotto Polemone I, figlio e successore di Farnace II, la Colchide faceva parte del Ponto e il Regno del Bosforo. Dopo la morte di Polemone (dopo il 2 a.C.), la sua seconda moglie Pitodorida mantenne il possesso della Colchide insieme al Ponto stesso, sebbene il Regno del Bosforo le venisse strappato. Suo figlio e successore Polemone II del Ponto fu indotto dall'imperatore Nerone ad abdicare, e quindi sia il Ponto che la Colchide vennero ad essere incorporati nella provincia di Galazia (63 d.C.) e più tardi in quella di Cappadocia (81 d.C.).\n\nSotto il governo romano.\nNonostante il fatto che tutte le maggiori fortezze lungo zona costiera fossero state occupate dai romani, il loro governo fu alquanto vago. Nel 69, il popolo del Ponto e della Colchide sotto Aniceto scatenò una grande rivolta contro i romani che risultò però infruttuosa. I bassopiani e la zona costiera subivano frequentemente invasioni delle feroci tribù montanare delle quali le più potenti erano quelle dei soani ed eniochi. Pagando un omaggio nominale a Roma, essi crearono il loro propri regni godendo di una significativa indipendenza. Il Cristianesimo iniziò a diffondersi all'inizio del I secolo. I resoconti tradizionali raccontano l'evento con Sant'Andrea, San Simone lo Zelota e San Matata. Tuttavia, le credenze religiose ellenistiche, pagane locali e mitraiche si sarebbero diffuse fino al IV secolo. Nel decennio compreso fra il 130 e il 140, i regni dei macheloni, eniochi, egrisi, apsilia, abasgia e sanigia avevano occupato il distretto da sud a nord. I goti, che dimoravano in Crimea, saccheggiarono la Colchide nel 253, ma vennero comunque respinti con l'aiuto della guarnigione romana di Pitsunda. Dal III-IV secolo, la maggior parte dei regni e principati venne ad essere soggiogato dai re lazici, dopodiché la regione cominciò ad essere generalmente riferita come Lazica (Egrisi).\n\nRegnanti.\nPoco si conosce dei regnanti della Colchide;.\n\nEete, il celebre potente re della Colchide raccontato nelle leggende greche. Alcuni storici hanno avanzato l'ipotesi che fosse stato veramente un personaggio storico, sebbene non vi sia nessuna prova al riguardo.\nKuji, un principe (eristavi) di Egrisi sotto l'autorità di Farnavaz I di Iberia (ca 302-237 a.C.) (secondo gli annali georgiani medievali).\nAristarco (65-47 a.C.), un dinasta sotto l'autorità di Pompeo.\nAkes (Basileus Aku) (fine del IV secolo a.C.), re della Colchide; il suo nome è stato trovato su una moneta da lui fatta coniare.\nSaulaces, 're' nel II secolo a.C. (secondo alcune fonti antiche).\nMitridate Cresto (morto nell'83 a.C.), sotto l'autorità del Ponto.\nMacare (morto nel 65 a.C.), sotto l'autorità del Ponto.N.B. - Durante il suo regno, i capi locali, gli scettuchi, continuarono ad esercitare un qualche potere. Uno di loro, Oltace, viene menzionato da fonti romane come prigioniero di Pompeo nel 65 a.C.\n\nLa Colchide nella mitologia greca.\nSecondo la mitologia greca, la Colchide era una terra favolosamente ricca, situata alla periferia misteriosa del mondo eroico. Qui, nel boschetto sacro al dio della guerra Ares, il re Eete teneva appeso il vello d'oro fino a quando Giasone e gli Argonauti non giunsero nel suo regno con l'intenzione di impadronirsene. Ad aiutare Giasone nella conquista del vello d'oro fu Medea, figlia di Eeta e dunque principessa della Colchide, protagonista anche di una tragedia di Euripide dal titolo, appunto, di Medea. La Colchide era anche la terra dove il personaggio mitologico Prometeo fu punito, per avere rivelato all'umanità il segreto del fuoco; fu incatenato quindi a una montagna, mentre un'aquila veniva a mangiargli ogni giorno il fegato. Anche le Amazzoni si diceva fossero di origine scita della Colchide. Secondo la mitologia greca i principali personaggi della Colchide, oltre a Eete, furono Idia, Pasifae, Circe, Medea, Calciope e Absirto.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Colias croceus.\n### Descrizione: La crocea o limoncella (Colias croceus (Geoffroy in Fourcroy, 1785)) è un lepidottero diurno appartenente alla famiglia Pieridae, diffuso in Eurasia e Nordafrica.\n\nDescrizione.\nBiologia.\nDistribuzione e habitat.\nTassonomia.\nGalleria d'immagini.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Collana di Armonia.\n### Descrizione: La Collana di Armonia era un oggetto leggendario della mitologia greca. Secondo la leggenda portò grandi disgrazie a tutte le sue proprietare od indossatrici, che principalmente erano regine e principesse delle dinastie tebane.\n\nOrigine dell'oggetto.\nEfesto, il fabbro degli dei dell'Olimpo, scoprì Afrodite durante un rapporto sessuale con Ares ed infuriatosi giurò di vendicarsi per l'infedeltà della moglie maledicendo ogni lignaggio di figli risultante dall'affare.\nAfrodite partorì Armonia che una volta cresciuta fu promessa in sposa a Cadmo re di Tebe ed Efesto donò a Cadmo un peplo ed una collana da lui forgiata (e maledetta) come regalo di nozze e quella maledizione avrebbe afflitto chiunque l'avesse indossata.\n\nAspetto e proprietà.\nAnche se non esiste una descrizione concreta della collana, questa è in genere descritta nella forma di due serpenti e con le bocche aperte per fare il fermaglio, e realizzata in oro splendidamente lavorato ed intarsiato con vari gioielli.\nLa collana magica, indicata semplicemente come Collana di Armonia, permetteva a qualsiasi donna la indossasse di rimanere sempre giovane e bella, divenendo così nei miti greci un oggetto molto ambito tra le donne della casa reale di Tebe.\n\nProprietari e maledizioni.\nArmonia e Cadmo furono entrambi trasformati in serpenti (o draghi in alcune versioni del mito) ma la realtà sulla loro fine è discutibile perché si dice che entrambi siano ascesi al paradiso dei Campi Elisi dopo la loro trasformazione.\n\nSemele.\nLa collana passò poi a loro figlia Semele che la indossò il giorno stesso in cui Hera le fece visita e per effetto della maledizione, Semele insinuò che suo marito non fosse Zeus per poi chiedere che il dio dimostrasse la sua identità esibendosi in tutta la sua gloria come il signore del cielo.\nSemele fu distrutta per il suo gesto.\n\nGiocasta ed Edipo.\nDiverse generazioni dopo, la regina Giocasta indossò la collana ed ottenne di conservare la sua giovinezza e bellezza e così, dopo la morte del marito Laio, finì per sposare inconsapevolmente il proprio figlio Edipo. Quando la verità fu scoperta, lei si suicidò, Edipo si strappò gli occhi ed i discendenti e le relazioni di Edipo soffrirono varie tragedie personali che furono descritte nelle 'Tre opere tebane' Edipo re, Edipo a Colono ed Antigone di Sofocle.\n\nPolinice ed Erifile.\nPolinice quindi ereditò la collana e la diede ad Erifile come mezzo di persuasione nei confronti del marito Anfiarao restio ad intraprendere la spedizione contro Tebe. Ciò portò alla morte di Erifile, Alcmeone, Fegeo e dei figli di quest'ultimo.\nAttraverso Alcmeone, figlio di Erifile, la collana passò nelle mani della figlia di Fegeo (Alfesibea) e poi ai figli Pronoo ed Agenore ed infine ai figli di Alcmeone, Acarnano ed Anfotero che, per prevenire ulteriori disastri tra gli uomini, consegnarono la collana al Tempio di Atena Pronaia di Delfi.\n\nIl tiranno Phayllus.\nIl tiranno Phayllus, uno dei capi della Focide nella terza guerra sacra (356 a.C. - 346 a.C.), rubò la collana dal tempio e la offrì alla sua amante che, dopo averla indossata per un po', suo figlio fu preso dalla follia e diede fuoco alla casa dove morì tra le fiamme insieme a tutti i suoi tesori mondani.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Colluto.\n### Descrizione: Colluto (Licopoli, ... – ...; fl. fine V secolo) è stato un poeta egiziano.\n\nBiografia.\nColluto era originario di Licopoli (l'attuale città di Asyūṭ), all'epoca sede vescovile della provincia romana della Tebaide Prima nella diocesi civile di Egitto. Essa faceva parte del patriarcato di Alessandria ed era suffraganea dell'arcidiocesi di Antinoe. Riguardo all'epoca, come detto dalla Suda, visse all'epoca dell'imperatore Anastasio I (491-518) e si situa nella tendenza di rielaborazione dell'epica mitologica in senso classicistico, nella linea di Quinto Smirneo e Trifiodoro.\n\nOpere.\nSecondo il lessico Suda, Colluto fu autore di due poemi, Storie di Calidone in sei libri e Storie Persiane, anche se a noi resta solo un epillio in 394 esametri, la ῾Αρπαγὴ τῆς ῾Ελένης (Harpaghè tês Helénes, «Il ratto di Elena»), in cui si racconta il rapimento di Elena da parte di Paride che scatenò la guerra di Troia.\nIl tema del rapimento di Elena era già stato trattato nei Canti Ciprii, generalmente attribuiti in epoca pre-ellenistica a Omero, ma la critica più recente tende a porre alla base della rielaborazione di Colluto un epillio di analogo argomento risalente all'età alessandrina. Dopo una breve invocazione alle Ninfe, il poeta descrive nei particolari le nozze di Peleo e Teti, il giudizio di Paride e la partenza del principe troiano per Sparta, dove incontra e seduce Elena che, partendo, si congeda dalla figlioletta Ermione, con il cui lamento l'epillio si conclude.\nL'opera di Colluto, ritrovata dal cardinale Bessarione, fu edita per la prima volta da Aldo Manuzio nel 1521 insieme a quella di Quinto Smirneo e Trifiodoro e tradotta in versi da Corradino dall'Aglio, che la pubblicò a Venezia nel 1741.\nIl giudizio dei critici su Colluto è sempre stato unanime e la sua mediocrità non è mai stata messa in discussione, anche se in alcuni riferimenti egli mostra una discreta erudizione mitologica risalente alla lettura dei poeti ellenistici. Nella sua Storia della letteratura greca, comunque, Albin Lesky afferma che il suo poema avrebbe potuto perdersi senza rimpianti; Gottfried Hermann, tuttavia, nei suoi Opuscula, racconta di aver risposto, a chi gli chiedeva perché perdesse tempo a emendare Colluto, che i filologi, come i medici, non devono rifiutare la loro attenzione a nessuno che ne abbia bisogno.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Colonne d'Ercole.\n### Descrizione: Le Colonne d'Ercole (Eracle per gli antichi Greci) nella letteratura classica occidentale indicano il limite estremo del mondo conosciuto. Oltre che un concetto geografico, esprimono metaforicamente anche il concetto di 'limite della conoscenza'. Geograficamente e tradizionalmente, visto che la loro esistenza è presunta, esse vengono collocate, una in corrispondenza della Rocca di Gibilterra, un promontorio che sorge nell'omonima città, e l'altra sulla montagna Jebel Musa, che si affaccia sullo stretto di Gibilterra, oppure sul Monte Hacho, una piccola collina che sorge nella città di Ceuta (la collocazione di questa seconda colonna è incerta).\nI nomi tradizionali, che troviamo nel racconto del mito, dei monti alla cui pendici sorgerebbero le Colonne sono Calpe (il monte sul versante europeo dello stretto di Gibilterra) e Abila (il monte sul versante africano). Più che un luogo geografico il monito posto dal mitologico Ercole identifica la frontiera del mondo civilizzato e, come tale, non può fare altro che seguire il progredire delle scoperte geografiche e l'avanzare delle rotte navali. È in questo ambito che si inserisce una ipotesi oggetto di studio secondo la quale la collocazione delle Colonne, con l'espandersi della civiltà greca, sia mutata, passando dal canale di Sicilia allo stretto di Gibilterra appunto.\n\nIl mito di Ercole.\nEsiste più di una versione del mito di Ercole. Secondo una di queste, Ercole ricevette da Euristeo l’ordine di catturare le mandrie di Gerione, terribile mostro a tre teste, con tre busti e sei braccia, figlio di Crisaore e dell’oceanina Calliroe. Gerione era il re dell'Isola dell'Eritea, situata nell'Oceano occidentale e che si estendeva fino ai confini di Tartesso. Gli armenti che Ercole avrebbe dovuto catturare erano sorvegliati da un pastore di nome Eurizione. Ercole attraversò la Libia e l'isola di Tartesso e infine giunse alle pendici dei monti Calpe e Abila, due ostacoli naturali che nel mondo antico delineavano i confini del mondo occidentale che gli uomini non dovevano in alcun modo oltrepassare.\nSulle rive dello stretto di Gibilterra (sul quale si affacciavano i due monti), Ercole fece erigere due colonne, le quali erano sormontate da una statua che raffigurava un uomo. Essa era rivolta a est (ossia verso la direzione dalla quale provenivano i navigatori) e recava nella mano destra una chiave, quasi ad indicare l'intenzione di aprire una porta, mentre nella sinistra teneva una tavoletta che recava l’iscrizione non plus ultra, 'non più oltre'. Con questa frase Ercole intendeva definire il limite del mondo civilizzato, sottolineando il divieto per i mortali di spingersi oltre, in direzione dell’Oceano.\nSecondo un'altra versione del mito, le Colonne in realtà erano i resti dei monti Calpe a Gibilterra e Abila a Ceuta (i quali tra l'altro nel mito erano considerati all’origine della separazione tra Europa e Africa) distrutti da Ercole in un momento di ira.Le Colonne nelle fonti classiche.\nPer Omero e per gli antichi greci tali Colonne si ponevano a Est, all'ingresso del Ponto Eusino, il mar Nero. Omero stesso lo definisce uno spazio senza confini e secondo Strabone i greci ai tempi di Omero immaginavano il Ponto Eusino come un altro oceano.\nNell'Odissea non vi è l'equazione Colonne = Gibilterra, poiché il mondo greco allora orbitava tra il Mediterraneo orientale e il mar Nero: è solo del 637 a.C. che compare per la prima volta la terra iberica nelle storie greche. Questo è uno dei fatti che hanno portato Sergio Frau e successivamente l'Accademia dei Lincei Italiani a prima ipotizzare e poi spostare la collocazione delle antiche colonne d'Ercole al canale di Sicilia.\nErodoto (484-425 a.C.) descrive due luoghi diversi per le Colonne. A est, nel Bosforo, quelle più antiche; a ovest, dopo Cartagine, quelle libiche, riflettendo in tal modo l'ampliarsi degli orizzonti ellenici.\nNeanche Platone, nel suo dialogo Timeo, parla però ancora di coste iberiche: cita sì il monte Atlante, ma in riferimento agli Iperborei (popolo posto a Nord dell'Ellade). A causa del monopolio cartaginese sul bacino occidentale del Mediterraneo la prima spedizione ellenica al di là di Gibilterra di cui si ha effettiva notizia è del 330 a.C., dopo, quindi, la morte di Platone (347 a.C.).\nCon la nascita del mondo romano Ercole raggiunge le coste mediterranee ponentine, e anche Gerione, che nel mito greco ha casa nel Ponto Eusino, con i romani diventa finalmente re di Tartesso. È qui che probabilmente nasce il mito romano delle Colonne d'Ercole poste nello stretto di Gibilterra che è rimasto sino ai giorni nostri, in quanto l'ampliamento dei confini e del mondo conosciuto ha spostato i confini. Inoltre sappiamo che il termine Tartesso per i greci probabilmente non era uno stato ma il confine del mondo occidentale, per cui pare plausibile pensare che già all'epoca dei romani si perse o si cambiò volontariamente la collocazione delle Colonne d'Ercole e i miti legati a esse.\nLe dislocazioni delle Colonne nel Mediterraneo Occidentale.\nNel libro “Tartesso in Sardegna” (ed. 2018), lo studioso Giuseppe Mura ha riportato, tra le altre, una puntuale analisi delle antiche fonti greche che affrontano il tema della dislocazione delle Colonne, evidenziando come i 'pilastri' che segnavano il passaggio per mare dell'eroe di Argo, Eracle, furono molteplici: indicavano il limite estremo del mondo conosciuto ed esprimevano concetti legati alle conoscenze geografiche. Tanto è vero che esse fanno la loro comparsa solo quando i Greci iniziano la loro vera espansione in Occidente (VIII secolo a.C.), iniziando così quel processo che condurrà alla formazione dell'entità politico-economica che i latini chiameranno Magna Grecia.\nL'avanzare delle prime esplorazioni greche verso Occidente (praticate in particolare dagli Eubei e dai Focei) comportava sempre lo spostamento del limite conosciuto (i “confini della terra' di Omero ed Esiodo) in precedenza, così, specie se il luogo si prestava alla collocazione di nuove “Colonne” (passaggi stretti per mare tra promontori, isole o quant'altro), queste erano regolarmente attribuite al loro personaggio più rappresentativo: Eracle.\nA detta del poeta greco Licofrone (IV sec. a.C.) esisteva anche la 'porta di Tartesso', situata nei pressi della sera (l'occidente dei Greci) e che indicava simbolicamente il confine all'ardimento esplorativo umano.\nLa più antica descrizione delle Colonne, in termini paesaggistici, è invece attribuibile al poeta greco Pindaro (VI-V sec. a.C.): “Lieve non è tragittare nel mare inviolabile delle Colonne d'Eracle, che l'eroe dio piantò testimoni dell'ultimo varco. E domava le fiere enormi del mare, i reflussi esplorava delle lagune egli solo, dove toccò la meta d’illeso ritorno e rivelò la terra. Anima mia, verso quale promontorio straniero tramonti il tuo corso.” Il poeta lirico qui descrive Colonne che, oltre ad essere testimoni dell'ultimo varco nel 'mare inviolabile', conducono in un luogo caratterizzato da 'lagune e un promontorio'.\nQuanto alle antiche dislocazioni delle Colonne nel bacino del Mediterraneo occidentale, ecco, in proposito, le testimonianze di importanti autori antichi:.\n\nPseudo Scilace (VI-V sec. a.C.): descrive Colonne distanti tra loro circa un giorno di navigazione e posizionate una in Libia (che terminava in territorio cartaginese, odierna Tunisia) e una nelle isole Gadire ubicate 'davanti all'Europa'. Colonne strane, queste, la prima dislocata chiaramente, la seconda molto meno. Nel periodo interessato Gadir era identificata con Cadice, ma non è pensabile che Scilace intendesse collocare un pilastro a Cartagine e l'altro al di là dello Stretto di Gibilterra. In realtà il termine Gadir, in lingua fenicia, indicava genericamente un luogo munito di fortificazioni. Il conflitto tra Greci e Cartaginesi nel Mediterraneo occidentale incentivò la costruzione delle opere di difesa, contribuendo così a moltiplicare a dismisura i siti aventi questo nome, come confermano sia le fonti che la toponomastica antica. Ora, le 'isole Gadire' citate dello Pseudo Scilace che ospitano la seconda Colonna sono situate 'davanti all'Europa' e distano un giorno di navigazione dalla prima (territorio cartaginese), pertanto tutte le isole del Mediterraneo occidentale affacciate alla costa africana si candidano per ospitarla (in primis, la Sardegna e le sue isole meridionali che peraltro, coi 7000 nuraghi distribuiti su tutto il territorio sardo, potevano ragionevolmente reggere l'appellativo di isole gadire, cioè fortificate).\nAristotele (IV sec. a.C.): “[...] facendosi strada con uno stretto passaggio alle cosiddette Colonne d’Eracle, l'Oceano penetra nel mare interno come in un porto e, allargandosi poco a poco, si estende abbracciando grandi golfi [...] che costituiscono le cosiddette Sirti, delle quali l'una è denominata Grande e l'altra Piccola. Dall'altra parte non forma più golfi simili a essi e forma invece tre mari, ossia il Mar di Sardegna, il Mare di Galazia e l'Adriatico e, subito appresso, situato in senso obliquo, il Mare di Sicilia”. Queste Colonne quindi separano due mari: da una parte si trovano i golfi delle Sirti (che bagnano le coste della Libia), e 'dall'altra parte' i mari che formano il Mediterraneo occidentale (mare di Sardegna, mare di Galazia o di Gallia e, tramite lo stretto di Messina, l’Adriatico e infine il mare di Sicilia). A proposito della Libia scrive inoltre: “La Libia è quella regione che si estende dall’istmo Arabico (o dal Nilo) fino alle Colonne d’Eracle”. Ne deriva insomma che le colonne descritte da Aristotele risulterebbero dislocate presso il canale di Sicilia. Aristotele, oltre alle Colonne che conducono alle Sirti, ne propone un'altra coppia quando descrive il Mediterraneo come un mare tutto interconnesso e interessato da correnti, fiumi e profondità diverse: “Al di là delle Colonne d'Eracle il mare è poco profondo e calmo a causa della melma perché giace in un infossamento”.\nTimeo di Tauromenio (IV-III sec. a.C.): “La Sardegna si trova presso le Colonne d'Eracle”. Egli, quindi, con questa affermazione perentoria, introduce direttamente l'isola dei Nuraghi tra i luoghi interessati dai “Pilastri” dell'eroe.Le testimonianze più antiche che certificano l’esistenza di molteplici Colonne d’Eracle conducono a luoghi del Mediterraneo Occidentale descritti diversamente dallo Stretto di Gibilterra: Gibilterra è presente nel pensiero prevalente moderno quale luogo di identificazione delle Colonne, ma tale identificazione è in realtà da far risalire solo alla tarda tradizione greca (e latina) e non alle antiche fonti che narravano di navigazioni attraverso le Colonne dell’eroe.\nGiorgio Saba ha pubblicato un lavoro che identifica le Colonne d'Ercole con il Faraglione Antiche Colonne di Carloforte nell'attuale Sardegna .\n\nOltre le Colonne.\nOltre le Colonne, oltre il mondo conosciuto, c'è sempre la speranza di trovare terre migliori, più ricche:.\n\nPlatone vi colloca Atlantide, mitica isola ricca di argento e di metalli, potenza navale conquistatrice che novemila anni prima dell'epoca di Solone, dopo avere fallito l'invasione di Atene, sprofondò in un giorno e una notte.\nDante invece pone a cinque mesi di navigazione oltre le Colonne il monte del Purgatorio, che Ulisse riesce a vedere prima che lui e i suoi compagni vengano travolti da un turbine divino (Canto XXVI).\nsulla base della congettura dantesca alcuni, come lo scrittore Paolo Granzotto, hanno ipotizzato che Ulisse abbia navigato effettivamente oltre Gibilterra e abbia raggiunto le isole britanniche, terre effettivamente ricche di metalli preziosi agli occhi dei greci di Omero.\nAltri, invece, come il giornalista Sergio Frau, ridimensionando le potenzialità della tecnica navale greca, riconoscono le Colonne nello stretto di Sicilia, e Atlantide e Tartesso in Sardegna, anch'essa terra molto ricca. Tra l'altro a Nora (area archeologica nel comune di Pula in provincia di Cagliari) è stata ritrovata una stele che riporta la più antica epigrafe che citi Tartesso.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Cometo (figlia di Pterelao).\n### Descrizione: Cometo (in greco antico: Κομαιθώ?, Komaithó) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Pterelao re di Tafo.\n\nMitologia.\nCometo si innamorò perdutamente di Anfitrione che aveva cinto d'assedio la città di cui il padre era re e per aiutarlo nell'impresa strappò al padre il capello d'oro che gli conferiva l'immortalità, provocandone così il decesso.\nAnfitrione conquistò la città: avendo poi appreso ciò che era accaduto, condannò a morte Cometo. .
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Complesso di Edipo.\n### Descrizione: Il complesso di Edipo è un concetto originariamente sviluppato nell'ambito della teoria psicoanalitica da Sigmund Freud, che ispirò anche Carl Gustav Jung (fu lui a descrivere il concetto e a coniare il termine 'complesso'), per spiegare la maturazione del bambino attraverso l'identificazione col genitore del proprio sesso e il desiderio nei confronti del genitore del sesso opposto.\nSi basa sul mito greco di Edipo, che, a sua insaputa, uccise suo padre Laio e, altrettanto inconsapevolmente, sposò la propria madre Giocasta.\n\nGeneralità.\nNella concezione classica freudiana, il complesso edipico indica un insieme di desideri sessuali ambivalenti che il bambino prova nei confronti delle figure genitoriali. Relativamente alle fasi dello sviluppo psicosessuale, esso insorge durante la fase fallica (3 anni) e il suo superamento introduce al periodo di latenza (6 anni).\nSi tratta di un atteggiamento ambivalente di desiderio di morte e sostituzione nei confronti del genitore dello stesso sesso e di desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore di sesso opposto. Questi sentimenti sono non solo ambivalenti ma anche vissuti negativamente (in maniera opposta), cioè i ruoli dei due genitori (amato e odiato) si scambiano alternandosi.\nL'impostazione di tale problematica ha segnato, fin dagli albori del movimento psicoanalitico, il dissidio Freud-Jung e poi la scissione degli psicoanalisti di orientamento junghiano dall'Associazione Internazionale di Psicoanalisi.\n\nLa questione edipica mostra una natura complessa anche in relazione all'approfondimento del mito greco: secondo il mito, infatti, Edipo non conosceva i suoi veri genitori, essendo stato a questi sottratto ancora infante. L'uccisione del padre e il rapporto con la madre sono stati perciò involontari e causati, paradossalmente, dal loro desiderio di sfuggire al destino così come lo avevano sentito annunciare dall'oracolo. Si potrebbe parlare, in questo senso, piuttosto di complesso, o sindrome, di Laio e/o di Giocasta (i genitori di Edipo), il che riconduce alcune scuole psicologiche ad esplicitare le questioni psicodinamiche di carenza, gelosia e invidia affettive da parte delle figure genitoriali o accudenti; in questo senso il complesso di Edipo sarebbe nient'altro che un modo per invertire le reali responsabilità delle dinamiche inconsce nelle relazioni intra-familiari.\n\nPrimi accenni alla tematica incestuosa-edipica.\nIl primo accenno alla figura di Edipo nell'opera freudiana risale a una lettera scritta da Freud nel 1897 al dottor Fliess, suo amico più intimo in quel periodo. Si tratta solo di un accenno, che però non ebbe seguito immediato; solo lentamente, infatti, questa tematica andrà acquistando la sua centralità in psicoanalisi.\n\nIl trauma sessuale.\nAscoltando i discorsi, le fantasie e i sogni dei suoi pazienti, Freud aveva maturato l'ipotesi che essi manifestassero quei sintomi a causa d'un trauma sessuale risalente alla prima infanzia (teoria della seduzione), e che avevano rimosso a causa di un inconscio meccanismo di difesa. Fu proprio questa prima ipotesi freudiana a scatenare l'indignazione dei benpensanti contro la psicoanalisi, per il fatto stesso che essa implicava non solo il postulato del bimbo come perverso polimorfo, dotato d'una propria sessualità infantile, ma anche l'abuso sessuale di cui l'infanzia è oggetto.\n\nDal trauma (teoria della seduzione) al desiderio (fantasie di seduzione).\nIn seguito, Freud si ricredette a proposito del trauma sessuale, arrivando a sostenere che si trattava quasi sempre solo di fantasie di seduzione. Cominciò così ad elaborare l'impalcatura teorica che è il centro del pensiero psicoanalitico: il desiderio incestuoso, il tabù dell'incesto e la susseguente vicenda edipica. In questa fase Freud giunse a identificare la censura del desiderio incestuoso originario come la causa prima di ogni forma di nevrosi.\nIn seguito, nei quattro saggi pubblicati come Totem e tabù, Freud ipotizzò anche che l'evoluzione del desiderio incestuoso nella vita individuale, prima sperimentato e poi rimosso (il cosiddetto romanzo familiare) fosse al tempo stesso l'evoluzione stessa della civiltà, che avrebbe avuto nella sua origine una uguale rimozione e sublimazione di quell'originario desiderio incestuoso.\nFreud, che imperturbabile procedeva nelle sue ricerche scientifiche coadiuvato in queste da altri pochi pionieri in maggioranza medici, nel suo primo viaggio dall'Europa in America commentò tuttavia in proposito che si accingeva a portare la peste anche oltreatlantico. Ebbe però modo di ricredersi poiché, come ebbe a dire in seguito, la portata radicale del suo messaggio era stata alquanto annacquata dalla psicologia americana.\n\nLo 'scandalo Masson'.\nDurante i primi anni del 1980 Jeffrey Moussaieff Masson, all'epoca fresco direttore dei Freud Archives, «basandosi principalmente sull'esame di documenti riservati ai quali solo lui aveva accesso (soprattutto certe lettere tra Freud e Fliess fino ad allora non pubblicate), sostenne che l'abbandono della teoria della seduzione - cioè l'ammissione di Freud di essersi sbagliato quando originariamente aveva creduto che la genesi della nevrosi nell'adulto dovesse essere ricercata in una reale seduzione sessuale del bambino da parte di un genitore - fu un grave errore, fatale per lo sviluppo e la fecondità della psicoanalisi. Freud - secondo Masson - avrebbe abbandonato questa teoria in realtà non con un atto di coraggio, avendo riconosciuto l'errore e mosso dall'interesse per lo sviluppo della disciplina, ma 'per codardia', perché gli era difficile sostenerla di fronte al mondo accademico di allora, e soprattutto per una difesa inconscia, rivolta a proteggere se stesso, le sue stesse storie di seduzioni, gli errori suoi e dell'amico Fliess. L'abbandono della teoria della seduzione, confessato da Freud nel 1897 in una lettera a Fliess, e reso pubblico solo nel 1905, viene considerato invece dalla tradizione psicoanalitica come un evento che segna la data di nascita stessa della psicoanalisi, il momento in cui questa giovane scienza incominciò a riconoscere l'importanza delle fantasie, e in genere della vita psichica inconscia, e non semplicemente della realtà esterna.\nSecondo Masson sarebbe vero esattamente il contrario: l'abbandono della teoria della seduzione segnerebbe invece la fine della psicoanalisi, non la sua nascita, perché dando enfasi al mondo della fantasia, anziché a quello della realtà, inevitabilmente avrebbe impresso una svolta alla storia della psicoanalisi per aver fatto distogliere l'attenzione dalla realtà della vita del paziente e dagli eventi traumatici che in definitiva sono i veri responsabili dei problemi psichici. Queste posizioni furono esposte da Masson [...] nel libro Assalto alla verità. La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione, che rappresentò l'apice del cosiddetto 'scandalo Masson'.».\n\nL'Edipo e il dissidio Freud-Jung.\nGli stessi protagonisti più conosciuti della storia della psicoanalisi non sono stati risparmiati dal vivere ciò che essi andavano studiando: l'Edipo come mito attuale.\nL'Edipo è stata la causa del dissidio Freud-Jung tra il 1912 e il 1914, e ciò significa due cose:.\n\nJung nel 1912 pubblica un testo eretico dal punto di vista dell'interpretazione freudiana dell'Edipo. Il libro aveva come titolo La libido. Simboli e trasformazioni. In esso lo psichiatra e psicoanalista svizzero, designato successore di Freud alla guida del movimento psicoanalitico internazionale, ritiene che il desiderio incestuoso che sta alla base della vicenda edipica non vada inteso letteralmente e quindi sessualmente. Come egli dice, il desiderio di congiungersi alla madre è il desiderio dell'individuo di ritornare alle proprie radici per rinascere rigenerato a nuova vita e quindi è un desiderio di trasformazione. Il desiderio incestuoso da questo punto di vista acquista quasi il significato di un battesimo, di un'iniziazione alla vita spirituale oltre il concretismo di cui l'interpretazione meramente sessuale della vicenda è essa stessa sintomo e che blocca l'individuo nella vicenda ripetitiva dell'Edipo che fa invece la nevrosi. «L'io è invero il 'luogo del timore', come dice Freud nel Das Ich und das Es ('Wo Es war soll Ich werden', 'Dove è l'inconscio deve diventare Io'); ma solo fino a quando esso non è tornato al 'Padre' e alla 'Madre'. Freud naufraga sulla questione di Nicodemo: 'Può un uomo rientrare nel grembo materno e rinascere?'».\nJung stesso nel trattare le interpretazioni dell'Edipo vive in lui un momento dell'Edipo, in quanto Freud è vissuto da Jung come un padre buono, eroico, stimato, di cui si è onorati di essere il privilegiato tra i fratelli psicoanalisti. Con la pubblicazione di questo libro Jung, in qualche maniera ribellandosi al padre-Freud, lo uccide ai suoi occhi e la relazione tra i due eminenti medici fa venire alla mente il racconto, mitologico anch'esso, della genesi del mondo come raccontata nell'Antico Testamento nel Libro di Daniele allorché la spada di Michele Arcangelo si interpose tra la creatura ambiziosa ma anche presuntuosa e il Creatore. Parimenti una nuova concezione del mondo appena nata in seno alla psicoanalisi come comunità scientifica viene scacciata dalla famiglia psicoanalitica con tutta la sofferenza che ciò ha comportato non solo per il figlio-Jung ma anche per il padre-Freud. Freud infatti non era da meno nella sua stima per Jung e su lui aveva riposto tutte le speranze che nutriva per il futuro della sua creatura, la psicoanalisi, anche perché l'annoverare l''ariano' Jung fra i suoi membri smentiva l'accusa di essere una 'setta ebraica'.\n\nDopo Freud.\nIn forma alquanto simile, due autori come Ernst Bloch (1885-1977) e James Hillman (1926-2011) hanno proposto d'evitare il «complesso materno» di Edipo auspicando una fusione fra le caratteristiche filiali (Puer) e quelle paterne (Senex), «una trasformazione del conflitto tra estremi in unione di uguali» che estrometterebbe la figura genitoriale femminile. Nonostante l'apparenza rivoluzionaria della prospettiva, l'identità (omousia) di Bloch tra Figlio e Padre ereditata dalla teologia cristiana, così come la conjunctio oppositorum di Puer-et-Senex in Hillman, anch'egli esplicito debitore della dottrina trinitaria (coerentemente con questa visione, diversi autori hanno identificato in Gesù una figura che rappresenta i valori opposti a quelli rappresentati da Edipo, ossia il massimo grado di sintonia tra padre e figlio), sembra dimenticare l'aspetto fondamentale del triangolo edipico, dove il ruolo del terzo che spezza la simbiosi bimbo-madre è dovuto proprio allo svezzamento della genitrice che impone al piccolo la meta del «desiderio del desiderio» di lei. Detto altrimenti, non c'è imitatio patris che non si fondi sulle esigenze, aspettative e richieste materne, Giocasta, Grande Madre o Maria che sia.\nInoltre, Bloch e Hillman parlano di oltrepassamento e trascendimento della consueta identità antropobiologica per la risoluzione dei conflitti intergenerazionali e intersessuali, ma non per un loro radicale superamento, bensì per l'approdo al compimento della ierogamia sizigiale.\nKaren Horney sostiene che la struttura dinamica dell'attaccamento infantile ai genitori così come si rileva retrospettivamente nell'analisi dei neurotici adulti, sia «completamente diversa da ciò che Freud concepisce come complesso di Edipo. Essi sono una manifestazione precoce di conflitti neurotici, piuttosto che un fenomeno primario sessuale. (...) Nell'attaccamento, creato principalmente dall'ansia, l'elemento sessuale non è essenziale. (...) Nell'attrazione incestuosa il fine è l'amore, ma nell'attaccamento provocato dall'ansia il fine principale è la sicurezza. (...) In ambedue i gruppi l'attaccamento ai genitori non è uno speciale fenomeno biologico, ma una reazione alle provocazioni esterne».\n\nPsicanalisi e filosofi francesi.\nNella psicanalisi di Jacques Lacan, l'Edipo diventa piuttosto la vicenda dell'accesso all'ordine linguistico del discorso che permette di godere del piacere derivante dal sentirsi appartenenti alla socialità umana, sganciandosi dal tema del piacere sessuale in senso stretto, ovvero della sessualità del bambino.\nNella loro opera L'Anti-Edipo - capitalismo e schizofrenia, del 1972, il filosofo francese Gilles Deleuze e lo psicoanalista Félix Guattari hanno proposto una severa critica della concezione freudiana del desiderio, concepito come mancanza anziché come produzione sociale. In questa ottica, il complesso di Edipo è considerato un'elaborazione interpretativa propria della psicoanalisi, utile per costringere la sessualità del bambino entro il tessuto di relazione proprio della famiglia autoritaria borghese e tradizionale, schizofrenizzando, attraverso l'ambivalenza edipica, il desiderio originariamente univoco e affermativo del bambino, che investe tutto il campo storico-sociale e non esclusivamente il padre e la madre.\n\nIl tabù dell'incesto quale legge universale.\nNel 1949 appare il testo Le strutture elementari della parentela di Claude Lévi-Strauss, etnologo che insieme al linguista Ferdinand de Saussure viene considerato l'iniziatore del metodo di pensiero strutturalista.\nIn esso, dopo ampie ricerche sul campo tra popolazioni da lui considerate ancora allo stato primitivo, l'autore esprime le conclusioni a cui era giunto, secondo le quali tutte le culture pongono un divieto al desiderio incestuoso e pertanto il tabù dell'incesto si configura come una legge universale che è la legge di base senza la quale non potrebbe nascere la cultura come altro dalla natura.\n\nL'Edipo in Lacan.\nOggigiorno, ormai la critica del desiderio incestuoso e dell'Edipo - portata soprattutto dagli junghiani ai freudiani sui limiti di una interpretazione concretistica e quindi meramente sessuale, cioè riduttiva, come si dice nel gergo psicoanalitico - non ha più molta attualità, visto che con Jacques Lacan la lezione junghiana è stata in parte recepita e l'Edipo è inteso come la porta attraverso la quale il singolo individuo accede alla socialità, e perciò al processo di umanizzazione progressiva.\nL'Edipo diviene un processo di iniziazione alla vita sociale e quindi alla vita propriamente umana.\nCon più di cento anni di storia della psicoanalisi alle spalle, siamo quindi molto distanti ormai da una lettura dell'Edipo rozzamente sessuale come poteva essere ai primordi della psicoanalisi. L'Edipo è in breve un momento necessario del processo progressivo della conoscenza, che si appropria del mondo, sì, ma questa appropriazione si realizza mediandola tramite la parola.\nOvviamente Lacan nel suo programma di 'ritorno a Freud' non segue Jung più di tanto e intendiamo riferirci alla natura della funzione simbolica, per cui l'impianto tragico che vede l'uomo crocefisso senza alcuna possibilità di resurrezione in una dialettica infinita tra natura e cultura che aveva fatto parlare Freud di 'disagio della civiltà' permane quale prezzo che il singolo in prima persona deve pagare come costo della civiltà.\n\nCritica dell'Edipo in Deleuze-Guattari.\nTale complesso fu rivisto (nell'Anti-Edipo, 1972) dal filosofo Gilles Deleuze e dallo psicoanalista Félix Guattari i quali contestarono che esso fosse un concetto cardine della psicoanalisi infantile, privilegiando più gli aspetti cognitivi, relazionali e in generale le valenze affettive nel rapporto con i genitori.\nLa critica dell'Edipo svolta dai due autori è una critica a una psicoanalisi che ai loro occhi ha smarrito la dimensione sociale e della storia.\nCome essi dicono, la psicoanalisi era divenuta una storia noiosa, da nuovi preti che ripetono le nuove litanie ad ogni interpretazione: mamma, papà, bambino.\nPer questo leggono la svolta junghiana come un'apertura della psicoanalisi alla storia e alla dimensione sociale anche se non seguono Jung in quello che ai loro occhi è uno sviluppo idealistico della psicoanalisi. Come loro dicono: Jung crede di superare la sessualità.\nLa critica che essi muovono al movimento psicoanalitico è che ritengono in questo che la psicoanalisi non conosca altro che la famiglia edipica e che non riesca ad andare oltre la famiglia edipica. La loro critica all'Edipo in realtà è anche e soprattutto una critica alla famiglia come istituzione che si regge proprio sull'Edipo.\nL'Anti-Edipo vorrebbe essere una critica radicale degli investimenti libidici edipici che ripetono e perpetuano la modalità edipica di investire libidicamente il campo del sociale e della storia.\nIn questa critica non salvano nemmeno l'esperienza dell'antipsichiatria con le sue comunità terapeutiche, che per questi autori somigliano semplicemente a famiglie un po' più allargate. Se si pensa che proprio la famiglia come istituzione era stata forse il maggiore obiettivo di critica del movimento di medici e pazienti detto dell'antipsichiatria che tacciavano l'istituzione famiglia come ammorbatrice della psiche sana dei bambini, come origine di patologie psichiche, risulta chiaro come l'obiettivo dei due filosofi nel condurre la critica a Edipo è proprio non tanto la famiglia in sé o il famigliarismo in cui inseriscono altre varianti di famiglia quanto la radice del famigliarismo: Edipo. E la psicoanalisi è proprio criticata dai due pensatori francesi perché accusata di fare il gioco di questa istituzione che ormai sta inevitabilmente raggiungendo l'esaurimento della sua funzione storica e lo fa puntellando l'Edipo lì dove invece l'Edipo dimostra di non reggere più: nei nevrotici ma soprattutto in coloro che più coraggiosi non volendone più sapere dell'Edipo si dirigono senza le sicurezze di punti saldi di riferimento, verso qualcosa che può rappresentare un'apertura della mente, e in alcuni casi lo è, ma anche una possibile chiusura definitiva nel buio impenetrabile della psicosi. Proprio per questa loro conclusione sono stati accusati di avere un'idea romantica della follia e altri ancora hanno visto dietro la loro critica nietzschiana della mediazione come rappresentazione e spettacolo altro dalla vita, di apologia irresponsabile dell'immediatezza.\nSono stati definiti infine antipsicoanalisti più che antipsichiatri, ma hanno replicato che il loro pensiero è tutt'altro in quanto anzi ritengono che l'analisi dell'inconscio sia una pratica rivoluzionaria irrinunciabile dopo che la semplice conquista del potere statale ha dimostrato come la rivoluzione esclusivamente politica possa trasformarsi in una nuova forma di fascismo.\nIl significato dell'Anti-Edipo è a ogni modo una denuncia contro qualcosa che non va, a loro parere, nella psicoanalisi; riferendosi al pensiero di Lacan che era uno dei loro referenti teorici il quale si lamentava che nessuno lo aiutava concludono: noi abbiamo voluto aiutare la psicoanalisi a liberarsi dall'Edipo.\n\nOltre l'interdipendenza che sostanzia l'Edipo: l'intersoggettività radicale.\nQuesto è in sintesi il programma psicoanalitico che la psicoanalista Silvia Montefoschi di formazione junghiana ma i cui debiti alla dialettica hegeliana servo-padrone non sono pochi, svolge a partire da 'L'uno e l'altro. Interdipendenza e intersoggettività nel rapporto psicoanalitico' del 1977.\nIn questo libro la teorizzazione dell'infrazione simbolica del tabù dell'incesto come la via di conoscenza che conduce oltre l'Edipo prende il suo avvio e abbandonato nei lavori successivi il tradizionale paesaggio psicoanalitico della relazione duale analista-analizzato si avventura nei territori del sociale e della storia aprendo la riflessione psicoanalitica alla stessa storia biologica e materiale dell'umanità sino alla sua origine nel big bang.\nIn questa rilettura psicoanalitica della storia dell'universo tutto, la chiave interpretativa, dell'incesto e del suo tabù che generano l'Edipo, scaturita proprio dalla nuova scienza psicoanalitica, trova conferma non solo come legge universale dell'universo umano bensì dell'universo tutto ivi incluso del mondo atomico e molecolare sino ad arrivare all'atto iniziale da cui tutto è scaturito: il big bang.\nConseguente a questa lettura del percorso dell'essere nella storia, è la proposta, scaturita dalla viva esperienza psicoanalitica dell'inconscio universale della stessa psicoanalista e di tutti coloro che con lei hanno condiviso la coriflessione sui messaggi provenienti dall'inconscio, dell'intersoggettità radicale quale 'rivoluzione radicale del reale' che chiude definitivamente la storia dell'universo come la storia delle ripetute infrazioni del tabù dell'incesto che ha fatto la storia della materia, quella biologica e infine quella umana e della civiltà.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Complesso di Elettra.\n### Descrizione: In psicoanalisi, il complesso di Elettra è una sorta di analogo femminile del complesso di Edipo. Secondo la definizione di Carl Gustav Jung, tale complesso si definisce come il desiderio della bambina di possedere il padre e della competizione con la propria madre per il possesso del genitore.\n\nOrigine del nome.\nIl nome viene dal personaggio mitologico di Elettra, figlia di Agamennone e Clitemnestra. Quest'ultima aveva fatto uccidere il suo sposo dal proprio amante Egisto e, quando Elettra scoprì di chi fosse la responsabilità della morte di suo padre, si vendicò facendo uccidere la madre dal proprio fratello Oreste.\n\nCaratteristiche.\nIl complesso di Elettra è descritto come fase di passaggio dello sviluppo psicosessuale. Quest'ultimo consiste, a sua volta, di cinque fasi successive: orale, anale, fallica, latente e genitale, a seconda delle varie zone erogene della bambina dalle quali origina la libido. Tale fenomeno si presenta tra i tre e i sei anni di età, durante la fase fallica.\nLa teoria era stata già proposta da Sigmund Freud nella sua definizione del complesso di Edipo: il bambino, di qualsiasi sesso, intorno ai tre anni si accorge che i genitori intrattengono rapporti sessuali dai quali si sente escluso; ma mentre il bambino entra in competizione con il proprio padre per ottenere l'attenzione di sua madre, la bambina, non avendo il pene, più che entrare in conflitto aperto con il padre, non soffre del complesso di castrazione, cioè la paura di perdere il pene, ma della frustrazione legata al fatto di non averlo. Tra le varie reazioni che la bambina può avere vi è quella di scegliere il padre come obiettivo sessuale; scelta calcolata in quanto mirata ad appropriarsi del pene che le manca e che comunque non esclude la pulsione sessuale naturale verso la propria madre, anche se durante la fase acuta del complesso quest'ultima è vista sia come rivale per il possesso del pene paterno, sia come responsabile per averla creata senza pene.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Conosci te stesso.\n### Descrizione: L'esortazione «conosci te stesso» (in greco antico γνῶθι σαυτόν, gnōthi sautón, o anche γνῶθι σεαυτόν, gnōthi seautón) è una massima religiosa greco antica iscritta nel tempio di Apollo a Delfi.La locuzione latina corrispondente è nosce te ipsum. È anche utilizzata in latino la versione temet nosce.\n\nOrigine.\nSulla base dell'opera di Porfirio Sul «conosci te stesso» essa viene fatta risalire a quattro possibili, differenti origini:.\n\ncreata da Femonoe (già Pizia, sacerdotessa di Delfi) o da Fenotea;.\ncreata da uno dei sette savi: Talete, Chilone o Biante;.\npronunciata dall'oracolo delfico (quindi attribuita ad Apollo stesso) in risposta a un quesito di Chilone;.\nriportata sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi quando questo venne ricostruito in pietra dopo essere stato distrutto.Altri riferimenti:.\n\nDiogene Laerzio (I, 40) riferisce che Antistene la attribuì a Talete.\nPer Demetrio Falereo (Müllach, fr. 3) l'autore è Chilone.\nCitata anche in Pittaco Sentenze, 16.\nSocrate domanda a Eutidemo se l'ha vista nel tempio di Apollo a Delfi (Senofonte, Detti memorabili, IV, 2, 24).\n\nSignificato.\nGli studiosi, anche se con alcune differenze, concordano sul fatto che con questa sentenza Apollo intimasse agli uomini di «riconoscere la propria limitatezza e finitezza».\nNel Prometeo incatenato di Eschilo, con analoga sentenza Oceano consiglia Prometeo:.\n\nEd è proprio a partire da questa opera che lo scoliaste indica la sentenza delfica nella forma greca a noi più nota: γνῶθι σεαυτόν (gnōthi seautón) commentando così: «conosci te stesso ed abbi la consapevolezza di essere inferiore a Zeus».\nL'invito a 'stare al proprio posto', a non 'sconfinare' in ruoli che non gli sono propri, a conoscere i propri limiti è quello mosso da Apollo a Diomede (V, 440-2) e ad Achille (X, 8-10) nell'Iliade; in quanto, come rammenta Apollo allo stesso Posidone, gli uomini non sono altro che «dei miseri mortali che, come le foglie, ora fioriscono in pieno splendore, mangiando i frutti del campo, ora languiscono e muoiono».\nIl significato originario è incerto: per deduzione da alcune formule a noi pervenute (Nulla di troppo, Ottima è la misura, Non desiderare l'impossibile), l'intento sarebbe quello di voler ammonire l'interlocutore a conoscere i propri limiti, «conosci chi sei e non presumere di essere di più»; sarebbe stata dunque una esortazione a non cadere negli eccessi a non offendere la divinità pretendendo di essere come il dio. Del resto tutta la tradizione antica mostra come l'ideale del saggio, colui che possiede la sophrosyne (la saggezza), sia quello della moderazione.\n'Conosci te stesso' non solo era una frase incisa in greco sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, ma era anche una delle sentenze memorabili attribuite ai Sette Sapienti dell'antichità (tra cui si annovera Talete di Mileto, considerato per convenzione il primo filosofo occidentale). Così si esortava gli uomini a indagare nelle profondità della propria anima, riconoscendo però al contempo la propria condizione mortale e la limitatezza umana. Socrate ne fece la sua massima preferita, interpretandola come un chiaro invito a considerare i limiti della conoscenza umana (il celebre 'sapere di non sapere', consapevolezza necessaria prima di procedere lungo la via virtuosa del vero mediante la dialettica). Ciò si connette socraticamente all'arte maieutica: il vero maestro deve aiutare i propri allievi a trarre da sé la verità così come fanno le ostetriche, che aiutano le donne a partorire. Al contrario, non bisogna imporre la verità dogmaticamente dall'esterno.\nSecondo Giovanni Reale la comprensione del motto non può prescindere dalla conoscenza dell'elaborazione successiva di Platone e dei Neoplatonici (pur tenendo presente la maggior vicinanza di Socrate con l'originaria religione delfica). In particolare Platone, nell'Alcibiade Maggiore, sostiene che per conoscere adeguatamente noi stessi, dobbiamo guardare il divino che è in noi.\nNon a caso troviamo questo concetto in vari elementi filosofici e religiosi del periodo ellenico e romano, gli Orfici credevano che l'anima fosse di natura divina e infatti la chiamavano dáimōn, che significa divinità minore. Inoltre per gli stoici la realizzazione, chiamata oikeiosis, avveniva attraverso la percezione interna, pratica simile se non identica alla meditazione di base induista e buddhista, mentre nel neoplatonismo l'anima proveniva dall'Uno ed attraverso l'estasi tornava ad Esso. Infine nello Gnosticismo, in cui la cultura greca ebbe grande influenza, la conoscenza del Divino partiva dalla conoscenza di sé che spesso si otteneva attraverso pratiche meditative.\n\nNelle Enneadi di Plotino questo precetto delfico è al centro della trattazione della parte antropologica e psicologica e segna il percorso evolutivo e mistico diretto al congiungimento con la propria essenza divina.\nUn concetto simile si trova anche nel monito di Sant'Agostino: 'Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas' («Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede la verità»).\nIl processo conoscitivo, sostiene infatti Agostino, non può che nascere all'inizio dalla sensazione, nella quale il corpo è passivo, ma poi interviene l'anima che giudica le cose sulla base di criteri che vanno oltre gli oggetti corporei.\nEgli osserva come ad esempio i concetti matematico-geometrici che applichiamo agli oggetti corporei abbiano le caratteristiche spirituali della necessità, dell'immutabilità, e della perfezione, mentre gli oggetti in sé sono contingenti. Per esempio nessuna simmetria, nessun concetto perfetto si potrebbe riconoscere nei corpi se l'intelligenza non conoscesse già in anticipo questi criteri di perfezione. Da dove deriva questa perfezione? La risposta è che al di sopra della nostra mente c'è una somma Verità, una ratio superior, ossia più elevata del mondo sensibile, dove le idee restano immutate nel tempo e ci permettono di descrivere la realtà degli oggetti contingenti.\nSi può notare come Agostino assimili quei concetti perfettissimi alle Idee di Platone, ma diversamente da quest'ultimo egli le concepisce come i pensieri di Dio che noi intuiamo non in virtù della platonica reminiscenza, ma per illuminazione operata direttamente da Dio.\n\nCultura di massa.\nNella trilogia cinematografica di Matrix l'Oracolo ha una targa in legno che riporta la scritta «temet nosce», che serve da monito e da guida ai potenziali Eletti, come Neo, al fine di capire e comprendere essi stessi e assurgere così a un livello superiore di coscienza e autocoscienza.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Contesa del Tripode.\n### Descrizione: La contesa del tripode è un episodio della mitologia greca che vede protagonisti Eracle e Apollo, che si contendono il tripode dell'oracolo di Delfi.\n\nIl mito.\nDopo le dodici fatiche, Eracle si cimentò in altre imprese. Tra queste, in preda alla follia e alla malattia, si recò presso il Santuario di Apollo a Delfi, dove c'era il famoso oracolo, e, vistosi rifiutare il responso da parte della Pizia, cercò di impossessarsi del tripode, emblema del santuario e oggetto rituale sopra il quale la sacerdotessa dava i responsi del dio. Ne nacque una contesa con Apollo, nella quale risultò vincitore il dio, cosicché il tripode rimase nel santuario di Delfi. Tale racconto mitico potrebbe aver tratto ispirazione dal tentativo di ingerenza dei popoli che nel VII secolo a.C. volevano estendere la loro influenza sul santuario.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Corebo (Eneide).\n### Descrizione: Corebo è un giovane guerriero nell'Eneide. Viene menzionato anche da Quinto Smirneo nell'opera Posthomerica, e dallo Pseudo-Euripide nel Reso.\n\nMito.\nFiglio del re Migdone di Frigia e di Anassimene, innamorato di Cassandra, viene ucciso da Peneleo durante la notte della caduta di Troia, nel tentativo di difendere la sacerdotessa amata.\n\n(Virgilio, Eneide, libro II, traduzione di Luca Canali).\n\nCollegamenti esterni.\n\nCorebo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\n(EN) Coroebus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Coribanti.\n### Descrizione: I coribanti (in greco antico: Κορύβαντες?, Korýbantes) erano i sacerdoti di Cibele, una divinità anatolica solitamente identificata con Rea.\n\nGenealogia.\nDiverse e contrastanti sono le tradizioni legate alle loro origini: le sei versioni più verosimili e accettate sono:.\n\nfigli di Saoco e della ninfa Combe;.\nfigli di Crono;.\nfigli di Helios e di Atena;.\nfigli di Zeus e della musa Calliope;.\nfigli di Apollo e della musa Talia;.\nin alternativa, figli di Apollo e della ninfa Retia.\n\nMitologia.\nSecondo la leggenda essi onoravano la loro divinità con danze sfrenate e orgiastiche, durante le quali spesso si autoinfliggevano delle ferite.\nSuonando tamburi, cimbali e flauti creavano musica basata sul ritmo ossessivo per curare l'epilessia e per sconfiggere la malinconia di Zeus.\nInoltre onoravano il pino in onore di Attis (figlio della dea).\nFurono spesso identificati con i Cureti e i Grandi Dei di Samotracia.\n\nNomi e numero.\nI Coribanti erano solitamente sette. Nonno di Panopoli fornisce i loro nomi, che sono per questo autore gli stessi dei Cureti, ovvero Melisseo, Damneo, Ideo, Primneo, Mimante, Acmone, Ocitoo.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Corinto (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Corinto era un re ed eponimo della città di Corinto.\n\nIl mito.\nCorinto era l'eroe dell'omonima città, e nelle sue parti si era diffusa la credenza delle sue origini divine, dove si presumeva che fosse figlio del padre degli dei, Zeus. Questa credenza dei Corinzi era mal vista dagli altri greci, tanto che arrivarono a creare il proverbio 'Corinto, figlio di Zeus', che indicava un qualcosa di ripetitivo e monotono.\nIl suo padre mortale era Maratone, con cui viaggiò per poi tornare e diventare re di Corinto, e secondo una versione del mito fu ucciso dai propri sudditi. Il suo successore fu Sisifo, della stirpe di Deucalione, che lo vendicò.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Corito (figlio di Paride).\n### Descrizione: Corito (in greco antico: Κόρυθος?, Kórythos) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Paride e della ninfa Enone. I suoi fratellastri erano i figli di Paride e Elena: Bugono, Agano, Ideo ed Elena II.\n\nMitologia.\nDopo il rapimento di Elena di Sparta da parte di Paride, Enone, delusa dal comportamento dell'amato, mandò Corito a combattere tra i Greci nella guerra contro Troia e questi, una volta giuntovi, fu notato da Elena.\nEra talmente bello che riuscì a conquistarle il cuore, ma fu scoperto dal suo stesso padre, che lo uccise.\nSecondo Partenio, invece, Corito sarebbe un figlio degli stessi Paride ed Elena.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Cornucopia.\n### Descrizione: La cornucòpia, letteralmente corno dell'abbondanza, dal latino cornu («corno») e copia («abbondanza»), è un simbolo mitologico di cibo e abbondanza. Si trova in mano ai Lari e alla dea Fortuna.\n\nStoria.\nSecondo la mitologia greca è il corno perduto dal fiume Acheloo nella lotta con Ercole per Deianira e riempito dalle Naiadi di fiori e di frutta, come simbolo dell'abbondanza, alludendo con ciò alla fertilità della valle dove scorreva l'Acheloo e all'imbrigliamento del fiume stesso per opera di qualche principe velato sotto il nome del semidio.\nSecondo un'altra versione del mito, il corno apparterrebbe ad Amaltea, la capra che accolse e nutrì Zeus nella sua infanzia a Creta. Come ringraziamento il padre degli Dei benedisse le sue corna conferendo loro poteri magici.\nIn forma di corno traboccante frutta e fiori è spesso presente nei dipinti in braccio alla figura simbolica dell'abbondanza. È anche uno dei tradizionali attributi della fortuna.\n\nVoci correlate.\nAbbondanza (divinità).\nAmaltea (mitologia).\nCornucopia (araldica).\nCorno portafortuna.\n\nAltri progetti.\nWikizionario contiene il lemma di dizionario «cornucopia».\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla cornucopia.\n\nCollegamenti esterni.\nCornucopia, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato l'8 febbraio 2016.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Corono.\n### Descrizione: Corono (in greco antico: Κόρωνος?) è un personaggio della mitologia greca, fu un re dei Lapiti ed uno degli Argonauti.\n\nGenealogia.\nFiglio di Ceneo e padre di Andremone e di Leonteo e della figlia Liside.\n\nMitologia.\nOriginario della Tessaglia, Corono il lapita partecipò all'impresa della riconquista del vello d'oro rispondendo all'appello di Giasone.\nRientrato nel suo regno fu coinvolto nella guerra che lui stesso intraprese per una questione di confine contro i Dori di Estiotide e governati dal re Egimio.\nSulle primi Lapiti del monte Olimpo al suo comando ebbero la meglio ma quando gli avversari proposero ad Eracle un terzo del loro regno in cambio del suo aiuto, questi accettò l'alleanza e vinse.\nCorono morì in battaglia.\n\nSignificati.\nCorono significa corvo, cornacchia, Infatti molti uomini famosi secondo il mito si trasformavano dopo la morte in corono, ovvero in corvi.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Corrispondenza tra divinità greche e romane.\n### Descrizione: Le corrispondenze tra divinità greche e romane sono il segno più visibile di un continuum religioso e culturale tra le popolazioni che hanno orbitato intorno al Mar Mediterraneo e che si sono spinte verso il nord dell'Europa.\nSulla scorta di questa tesi, i diversi Pantheon e culti religiosi si sono differenziati nel corso del tempo e in base alle caratteristiche culturali di ogni popolo; sono stati influenzati dalle invasioni di popoli nomadi provenienti dall'Est e dalla diffusione del cristianesimo; sono stati esportati oltreoceano, riconoscibili nel folclore americano d'origine anglosassone.\nNella religione romana esistevano 'spiriti protettori' del benessere familiare e sociale a cui si rivolgevano riti privati in famiglia. Questi 'spiriti protettori' erano i Mani, spiriti benevoli degli antenati ai quali rivolgersi nelle feste delle Parentalia, quando il popolo si recava alle tombe per onorarli; i Penati, che garantivano il benessere della famiglia, ricordati in ogni casa con delle statuette votive, poste in una nicchia, spesso vicino al focolare domestico; i Lari, protettori della proprietà famigliare, collocati e venerati in una nicchia sul muro esterno della casa. Accanto ad essi c'erano tutte le divinità romane. Infatti il Pantheon (cioè l'insieme delle divinità) di Roma era molto popolato. Capo di tutti era Giove; seguiva sua moglie Giunone, Minerva, Marte, Apollo e tanti altri. Queste divinità furono riprese da quelle della religione greca e poi rivisitate, cambiando loro nome e qualche caratteristica fisica. Infatti il capo degli dei Giove, corrisponde nel Pantheon greco a Zeus, Giunone ad Era, Marte ad Ares, Minerva ad Atena, e così via. Solo alcuni di questi presentano lo stesso nome in entrambe le religioni: ad esempio Apollo, dio della luce, ed Eolo, dio del vento.\nLe corrispondenze tra divinità greche e romane spiccano immediatamente all'occhio essenzialmente per la stretta vicinanza temporale tra le due culture, ma anche per l'importanza egemonica che i due popoli hanno avuto nel mondo antico.\nLa tabella sottostante riporta alcune corrispondenze:.\n\nVoci correlate.\nDictionary of Greek and Roman Biography and Mythology.\n\nCollegamenti esterni.\nCarlos Parada, Greek Mythology Link, su maicar.com.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Corteo bacchico.\n### Descrizione: Il corteo bacchico si formava durante il baccanale, una festività romana - ma di origine greca - che si celebrava a sfondo propiziatorio, alla semina e alla raccolta delle messi. Divenne poi una festa orgiastica, al tempo della vendemmia.\n\nDescrizione.\nIl baccanale era un culto misterico, ossia riservato a soli iniziati: cioè i sileni e le baccanti o menadi, che cadevano in preda a frenesia estatica e si sentivano invasate dal dio. Con il nome Sileno si indicava un satiro anziano e barbuto. Si narrava che il saggio Sileno, dopo aver educato Dioniso giovinetto, si era abbandonato al vizio del bere, per cui veniva sempre rappresentato ubriaco.\nRappresentare in pittura la scena del corteo bacchico o tiaso bacchico, con il vecchio Sileno in groppa a un asino e con Bacco (o Sileno) ubriaco e trasportato a braccia da satiri, con la presenza di leonesse o di leopardi, con menadi che danzano e suonano tamburelli e piatti, tornò di moda nel Rinascimento. La rappresentazione di Bacco o di Sileno che con il ventre gonfio incede a fatica, sostenuto da due o da quattro satiri, era presente in altorilievi, in dipinti parietali, anche in cammei di epoca romana. Marcantonio Raimondi, nella sua incisione Baccanale, probabilmente misse insieme figure che vide in diverse raffigurazioni d'epoca romana. A questa sua incisione sono riferibili successive rappresentazioni del corteo bacchico. Secondo l'estro del pittore, alla raffigurazione del corteo bacchico furono aggiunti amorini e satirelli, paesaggi con vigneti, botti coppe e boccali, caproni e anche il carro con Bacco e Arianna.\n\nRappresentazioni del corteo bacchico.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Coti (mitologia).\n### Descrizione: Coti (in greco antico Κότυς Kòtys) era una dea adorata nella Tracia, che veniva celebrata con feste religiose note come Cotizie. Era particolarmente adorata tra gli Edoni. I greci consideravano Coti un aspetto di Persefone.\n\nEtimologia.\nIl nome Coti secondo alcune fonti avrebbe il significato di 'guerra, macellazione' simile al norreno Höðr, che significa 'guerra, macellazione'.\n\nCulto.\nI seguaci di Coti erano conosciuti come βάπται bàptai, che significa 'bagnanti', perché la loro cerimonia di purificazione pre-culto comportava un elaborato rituale di balneazione.\nCoti era spesso adorata durante le cerimonie notturne, che erano spesso associate a orge e ad un comportamento osceno.Il suo culto era molto simile al culto della dea Bendis.\nCoti era adorata anche a Corinto.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Cotto (mitologia).\n### Descrizione: Cotto nella mitologia greca era uno dei tre giganti Centimani o Ecatonchiri, figli di Urano e Gea.\nPartecipò, insieme a Briareo e Gige, gli altri due Ecatonchiri, alla Titanomachia, dopo che Zeus liberò lui e i suoi fratelli dalla prigionia nel Tartaro.\nFu messo in seguito insieme agli altri due giganti a guardia dei Titani, rinchiusi in un'enorme fortezza nel Tartaro con delle grandi porte di metallo create da Poseidone.\n\nCollegamenti esterni.\n\n(EN) Cotto, su Theoi Project.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Cranao.\n### Descrizione: Cranao (in greco antico: Κραναός?) è un personaggio della mitologia greca, successe a Cecrope divenendo il secondo mitologico re di Atene.\nCranao era un autoctono 'figlio del suolo' e sposò Pedias che era figlia di Mynes e proveniva dalla Laconia. Fu padre di Cranae, Menaechme ed Attide, quest'ultima morì giovane e Cranao diede il suo nome all'Attica.\nSecondo Esichio di Alessandria Cranao fu anche il padre di Raro (Ῥᾶρος) e risulta che Anfizione abbia sposato una delle sue figlie.\n\nMitologia.\nDurante il suo regno (1506-1497 a.C. circa) dovrebbe essere avvenuto il Diluvio universale citato da Deucalione e secondo alcune fonti lo stesso Deucalione fuggì da Licorea ad Atene con i figli Elleno ed Anfizione. Deucalione morì poco dopo e si pensa che sia stato sepolto vicino ad Atene.\nCranao fu deposto da Anfizione che regnò al suo posto divenendo il terzo re.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Creonte (figlio di Liceto).\n### Descrizione: Creonte (in greco antico: Κρέων?, Kréōn) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Liceto e re di Corinto e padre di Glauce e Ippote.\nNelle Fabulae, Igino lo chiama figlio di Meneceo erroneamente, in quanto il Creonte a cui si riferisce è invece il re di Tebe.\n\nMitologia.\nCreonte interviene nella vicenda di Giasone e Medea, decidendo di dare la propria figlia Glauce in sposa a Giasone in modo che questi ripudiasse Medea. Quest'ultima volle allora vendicarsi, così fece un sortilegio su alcuni vestiti e gioielli, che inviò come regalo alla promessa sposa. Questi, una volta indossati dalla vittima, cominciarono a bruciare, facendo morire sia Glauce sia il padre Creonte, accorso per aiutarla.Secondo una tragedia perduta di Euripide, riassunta nella Biblioteca di Apollodoro, Alcmeone affidò a Creonte la cura dei due figli avuti dalla veggente Manto, Anfiloco e Tisifone. Quest'ultima crescendo divenne così carina che per gelosia la moglie di Creonte la fece vendere come schiava. Tisifone fu successivamente acquistata da suo padre Alcmeone, che non riconoscendola non comprese la verità, fino a quando un giorno si recò a Corinto per riavere i suoi figli e lì scoprì tutto.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Creontiade.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Creontiade (in greco antico: Κρεοντιάδης) era il nome di uno dei figli di Eracle e di Megara, figlia di Creonte, il re di Tebe.\n\nIl mito.\nEracle durante la sua pazzia uccise Creontiade, i suoi fratelli e alcuni dei suoi cugini.\n\nPareri secondari.\nSolo alcuni autori parlano dei suoi fratelli indicando anche i loro nomi: Terimaco e Deicoonte, ma altri invece affermano che da Megara Eracle ebbe sette figli e nessuno con il nome di Creontiade. Pausania nei suoi libri parla della tomba dei figli di Megara, visibile a Tebe.\n\nCulto.\nIn onore dei figli morti di Megara vi furono delle feste celebrate ogni anno, dove si effettuavano sacrifici.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Cresfonte.\n### Descrizione: Cresfonte (in greco antico: Κρεσφόντης?, Kresphóntēs) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide e re di Messene.\n\nGenealogia.\nFiglio di Aristomaco, sposò Merope e fu padre di Telefonte, più un secondo figlio non nominato ed un terzo di nome Epito.\nNella tragedia di Euripide intitolata Cresfonte, il nome del figlio innominato è lo stesso del padre (Cresfonte).\n\nMitologia.\nDopo aver conquistato il Peloponneso, Cresfonte il fratello Temeno ed due figli di Aristodemo (Procle ed Euristene), costruirono tre altari dedicati a Zeus e cercarono un accordo per dividersi in tre parti la regione appena conquistata.\nCresfonte desiderava la Messenia, la parte più ricca e poiché per decidere chi fosse il primo a scegliere stabilirono un sistema di estrazione a sorte, decisero di gettare ognuno un sasso in un'anfora colma d'acqua cosicché quando ognuno di loro avesse ripescato proprio sasso, si sarebbe stabilito chi fosse il primo a scegliere.\nL'astuzia di Cresfonte, fu quella di gettare una zolla di terra anziché un sasso e la zolla sciogliendosi subito nell'acqua non poté in nessun modo essere ripescata. Questo stratagemma gli diede il diritto di scegliere la parte che desiderava.\nPoiché il suo governo era principalmente diretto a favore del popolo, i ricchi si ribellarono e lo uccisero assieme a tutti suoi figli eccetto Epito.\nApollodoro scrive che il suo uccisore fu Polifonte (un altro Eraclide) e che questi, prima sposò la vedova di Cresfonte (Merope) e poi fu ucciso da Epito.\nIgino cambia il nome di Epito con Telefonte.\nAlla morte di Cresfonte, suo successore fu Polifonte.\n\nTragedia di Euripide.\n\nNella tragedia di Euripide, intitolata Cresfonte esiste un figlio omonimo del padre (Cresfonte) che durante la ricerca del padre viene accolto dalla madre Merope che lo spaccia per l'assassino del marito.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Creta (Grecia).\n### Descrizione: Creta (AFI: /ˈkrɛta/; in passato anche Creti /ˈkrɛti/; in greco Κρήτη?, Krī́tī, AFI: [ˈkɾiti]; in greco antico: Κρήτη?, Krḗtē, AFI: [krέːtεː]) è un'isola greca, la maggiore e più popolosa del Paese e la quinta per estensione (8 261 km²) tra quelle del Mediterraneo dopo la Sicilia, la Sardegna, Cipro e la Corsica. Assieme agli isolotti contigui costituisce la periferia di Creta (in greco: Περιφέρεια Κρήτης, Periféreia Krī́tīs), una delle province greche, e la diocesi decentralizzata di Creta (in greco: Αποκεντρωμένη Διοίκηση Κρήτης, Αpokentrōménī Dioíkīsī Krī́tīs), una delle prefetture greche, due distinte seppur coestensive autorità con 623 065 abitanti e capoluogo Candia.\nTra il III e il II millennio a.C. l'isola fu il fulcro della civiltà minoica, una delle più antiche civiltà avanzate d'Europa, che aveva in Cnosso, Cidonia e Festo i suoi centri principali. Nel corso dei secoli fu conquistata e abitata da micenei, greci, romani, bizantini, musulmani andalusi, veneziani e con una breve parentesi di dominio dei genovesi (1267-1290) e turchi ottomani fino alla definitiva unificazione con lo stato greco nel 1913.\nCreta è tra le principali mete turistiche della Grecia per via dei numerosi siti archeologici e naturalistici e per il particolare patrimonio culturale di cui dispone, espresso attraverso specificità linguistiche, letterarie, musicali e gastronomiche.\n\nGeografia fisica.\nCreta dista circa 95 km dalla Grecia continentale e costituisce il limite meridionale del mar Egeo e quello settentrionale del mar Libico. Su tutti i lati è circondata da un gran numero di isole minori e isolotti, tra cui Gozzo, il punto più meridionale dell'Europa fisica. Il suo nome proviene dalla presenza di una grandissima quantità di creta (o argilla, materiale con cui gli abitanti costruivano utensili e vasi). Ha una forma stretta e lunga; il suo terreno è in massima parte montuoso e le pianure costituiscono una percentuale modesta del suo territorio. Fra queste la più importante è la piana di Messarà, posta nella zona centro-meridionale.\nTra i massicci montuosi i più importanti vi sono:.\n\nil massiccio del Monte Ida, che culmina a 2.456 metri;.\nil massiccio dei Lefka Ori (i monti bianchi), che raggiungono un'altitudine di 2.454 metri;.\nDikti Oros, la cui cima più elevata raggiunge i 2.146 metri.Le coste sono in genere molto frastagliate, ma esistono profonde differenze tra la costa settentrionale e quella meridionale.\nLa prima è più densamente popolata a causa delle catene costiere che scendono più dolcemente verso il mare.\nLa seconda, invece, è perlopiù ripida e scoscesa e ha un clima molto più secco, ed è stata sempre poco popolata.\n\nIsole minori.\nNumerose sono le isole e gli isolotti che si trovano a breve distanza da ambedue le coste. Alla costa settentrionale appartiene l'isola di Dia (municipalità di Gouves). Alla costa meridionale appartengono le isole di Gozzo, Mikronissi e Chrysi.\n\nStoria.\nOrigini.\nLa prima civiltà mediterranea risale all'età del bronzo 3000 a.C., e venne definita 'minoica', termine derivato da Minosse e coniato dall'archeologo britannico Arthur Evans, che riportò alla luce la città di Cnosso a Creta.\n\nLa vantaggiosa posizione geografica dell'isola favorì il sorgere di un fiorente impero marittimo che dal Mar Egeo controllava una rete commerciale che raggiungeva l'Egitto, la Siria, le regioni a nord del mar Nero e l'Occidente.\nLa civiltà cretese presenta una scrittura geroglifica cuneiforme denominata 'lineare A', che, a differenza della scrittura 'lineare B' micenea, non è stata ancora decifrata; una testimonianza di questa scrittura è la tavoletta di Festo.\nIl centro economico e politico di Creta erano i palazzi. Possiamo benissimo capire che la popolazione non era propensa alla guerra, poiché le città non erano protette da mura.\nGli affreschi ritrovati nei palazzi (come nel caso di Cnosso) ci mostrano scene di cerimonie religiose, processioni, gare tra atleti (la più famosa era quella del salto del toro chiamata taurocatapsia) a cui anche le donne potevano partecipare come anche in veste di sacerdotesse e nelle processioni e decorazioni con elementi naturalistici. Si pensava che inizialmente si fosse sviluppato un culto della vegetazione. Molti sono infatti i santuari naturali come le grotte, fonti e monti, poiché in origine le cerimonie religiose si svolgevano all'aperto, a contatto con la natura. Solo in seguito alcuni locali vennero dedicati al culto anche all'interno dei palazzi. Sulle divinità minoiche si sa poco: l'unica figura ritrovata è femminile ed è ritratta in tante piccole statuette. In lei gli studiosi riconoscono la grande dea madre che incarna la fertilità; è accompagnata spesso da serpenti, leoni e uccelli.\n\nLa decadenza dei Cretesi.\nA Thera, oggi Santorini, attorno al 1620-1610 a.C. esplose un vulcano. Seguì una catena di terremoti di cui risentì anche Creta, da quel momento in poi iniziò la sua decadenza, di cui non sono state trovate le ragioni. Nel 1400 a.C. circa Creta non seppe resistere all'invasione dei Micenei, un popolo bellicoso della città di Micene, posta nel Peloponneso: il grande palazzo di Cnosso venne nuovamente distrutto e non fu più ricostruito.\nIl declino progredì e accelerò nell'XI secolo a.C., quando i Dori occuparono interamente l'isola di Creta. Da allora Creta non si distinse più dalle altre città della Grecia; quando altrove fiorivano le polis, lì vigevano ordinamenti arcaici (leggi di Gortina) e Creta fu importante solo come emporio di mercenari. La costituzione di Gortina, a carattere aristocratico come quella spartana di cui quella cretese fu forse il modello, prevedeva un governo collegiale di dieci cosmi, magistrati appartenenti alla nobiltà corrispondenti ai cinque efori spartani i quali governavano la città con l'assistenza della gherusia, un consiglio di anziani scelti fra gli ex cosmi. Con il dissolvimento dell'impero macedone di Alessandro Magno (IV secolo a.C.) i Cretesi riuscirono a conservare una certa indipendenza e l'economia si volse alla pratica della pirateria.\n\nPeriodo romano e bizantino.\nL'esercizio della pirateria portò Creta in urto con i Romani. Quinto Cecilio Metello Cretico la conquistò nel corso di una campagna contro i pirati dal 69 a.C. al 67 a.C.\nNel 34 a.C., a seguito della Donazione di Alessandria, l'isola venne ceduta da Marco Antonio a Cleopatra d'Egitto; fu in seguito conquistata da Ottaviano, dopo la battaglia di Azio contro la flotta egizia. Con la riforma augustea del 27 a.C. venne incorporata nella provincia di Creta e Cirene e con la riforma dioclezianea fu nuovamente separata e fece parte della Diocesi delle Mesie . Con la spartizione definitiva dell'impero alla fine IV secolo d.C. Creta entrò a fare parte dell'Impero bizantino.\n\nDominazione araba.\nSubì la dominazione araba dall'826 al 961, anno in cui fu riconquistata dal generale bizantino Niceforo Foca, destinato in seguito a salire sul trono imperiale.\n\nPeriodo veneziano: Candia.\nIn seguito agli eventi della quarta crociata fu occupata dai Veneziani che la tennero dal 1204 al 1669 e presero a chiamare l'isola come la sua capitale, Candia.\nEretta a ducato su modello della madrepatria nel 1212, venne divisa in feudi raccolti in sei regioni, ciascuna assegnata a coloni di uno dei sestieri di Venezia. Il governo autonomo dell'isola venne inoltre organizzato su modello di quello veneziano, attraverso un sistema di assemblee.\nOggetto di numerose e sanguinose rivolte, sia da parte della locale popolazione greca sia dei nobili veneziani ivi residenti (1274, 1277, 1283-1299, 1332-1333, 1341-1348), l'ultima ribellione, quella del 1363-1366, portò a una feroce repressione da parte di Venezia, la quale privò Creta della sua autonomia e dei suoi privilegi e la pose sotto il diretto governo della Repubblica, inviandovi stabilmente dei governatori, i provveditori.\nFiorente centro di commerci, divenne il principale possedimento coloniale della Serenissima e suo ultimo baluardo nella secolare lotta contro i turchi.\n\nPeriodo ottomano: Girit.\nGli Ottomani sbarcarono sull'isola nel 1645 conquistando La Canea e cinsero d'assedio Candia (o Iraklio, capoluogo dell'isola) che capitolò il 27 settembre 1669, dopo la strenua difesa di Francesco Morosini, durata ben 23 anni, durante i quali la città si ridusse a un cumulo di macerie (tra i veneziani i morti furono circa 30 000, tra i turchi 80 000) coinvolgendo nobiltà e volontari da tutta l'Europa. Nel 1715 capitolava anche la fortezza di Spinalonga, ultimo baluardo della presenza della Serenissima sull'isola.\nDal 1832 al 1840 Creta fu sotto la dominazione egiziana. Nel 1867 una insurrezione fu domata solo parzialmente dall'intervento severo e crudele di Omar Pascià. In questo ambito è rimasto famoso l'episodio della battaglia di Arkadi, un monastero a sud di Retimo nel quale si erano asserragliati numerosi capi della rivolta. Il 9 novembre 1866 esso fu espugnato, a caro prezzo, dalle truppe turche e tutti i capi della insurrezione restarono uccisi. Nel 1897, a sostegno di una nuova insurrezione, prontamente soffocata dal sultano, scoppiò la guerra greco-turca, a cui seguì l'intervento internazionale, in particolare un contingente di Carabinieri italiani permise la formazione di un Reggimento di Gendarmeria per mantenere l'ordine pubblico, in seguito al quale Creta ottenne uno statuto autonomo, nell'ambito dell'impero ottomano; fu nominato alto commissario il principe Giorgio di Grecia. Nel 1913, dopo la fine delle guerre balcaniche, Creta fu assegnata alla Grecia con il trattato di Londra.\n\nLa seconda guerra mondiale.\nIl 20 maggio del 1941 le truppe tedesche occupavano Creta con un fulmineo sbarco aereo navale 'Operazione Mercurio' costringendo le truppe britanniche a una precipitosa ritirata. Questo capitolo della seconda guerra mondiale è passato alla storia come battaglia di Creta. L'intervento costituiva il completamento dell'occupazione della penisola balcanica e della Grecia realizzato dalle truppe tedesche che avevano invaso la Grecia dopo il fallimento dell'invasione italiana dell'Epiro e aveva spinto i britannici a intervenire per aprire un fronte balcanico. L'operazione fu affidata soprattutto ai soldati delle truppe paracadutiste guidate dal generale Kurt Student.\nNonostante le alte perdite subite essi riuscirono ad avere ragione delle truppe del Commonwealth - britannici, australiani e neozelandesi - anche se queste avevano nel frattempo ricevuto rinforzi dall'Egitto, mentre a est sbarcava un corpo di spedizione italiano proveniente dal Dodecaneso. Il 1º giugno 1941 l'isola era completamente in mano all'Asse. Rimase presidiata da Tedeschi e Italiani fino all'8 settembre 1943. In seguito all'armistizio dell'Italia e alla cattura della guarnigione da parte germanica l'isola rimase presidiata dai Tedeschi sino al maggio del 1945.\n\nMonumenti e luoghi d'interesse.\nAgía Triáda.\nMonastero di Arkadi.\nGortina.\nGournia.\nMuseo archeologico di Candia.\nKáto Zákros, palazzo minoico.\nCnosso.\nLato.\nMália, palazzo minoico.\nFesto (Phaistós), palazzo minoico.\nFourní (Phourni), necropoli.\nSpinalonga, fortezza veneziana.\nTylisos.\nVathypetro.\nMonastero di Preveli.\nForesta di palme a Vai.\nGole di Samariá.\nMonte Ida.\nLaguna di Balos.\nspiaggia rosa di Elafonīsi.\n\nCultura.\nCucina.\nUn piatto tipico dell'isola è il dakos, una fetta di pane guarnita con pomodori, feta ed erbe locali.\n\nMusica.\nLa lira cretese è lo strumento più diffuso e suonato nell'isola.\n\nPolitica.\nSuddivisione amministrativa.\nLa periferia di Creta è ripartita in 24 comuni (dhimi) distribuiti in quattro unità periferiche aventi per capoluogo Candia, La Canea, San Nicolò e Retimo; l'intero territorio corrisponde a una delle sette diocesi istituite con il programma Callicrate, nonché alla chiesa ortodossa di Creta, retta in status di semi-autonomia da un arcivescovo ma posta sotto la giurisdizione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.\n\nUnità periferiche.\nComuni.\nA seguito della riforma in vigore dal 1º gennaio 2011 Creta è divisa nei seguenti comuni:.\n\nAgios Vasileios.\nAmari.\nAnogeia.\nApokoronas.\nArchanes-Asterousia.\nCandia.\nChersonissos.\nFesto.\nGozzo.\nGortina.\nIerapetra.\nKantanos-Selino.\nKissamos.\nLa Canea.\nMalevizi.\nMinoa Pediada.\nMylopotamos.\nOropedio Lasithiou.\nPlatanias.\nRetimo.\nSan Nicolò.\nSfakia.\nSitia.\nViannos.\n\nPrefetture.\nNel vecchio sistema di suddivisione amministrativa, Creta era divisa in 4 prefetture che corrispondono alle attuali unità periferiche.\n\nEconomia.\nL'economia di Creta è prevalentemente basata su servizi e turismo. Tuttavia l'agricoltura svolge un ruolo importante e Creta è una delle poche isole greche che possono sostenersi indipendentemente senza turismo. L'economia ha cominciato a cambiare visibilmente negli anni settanta, dato che il turismo ha acquisito importanza. Sebbene agricoltura e allevamento di bestiame siano ancora importanti, a causa del clima e del terreno dell'isola, si è registrato un calo della produzione e un'espansione dei servizi (soprattutto nel turismo). Tutti e tre i settori dell'economia cretese (agricoltura, trasformazione-imballaggio, servizi) sono direttamente connessi e interdipendenti. L'isola ha un reddito pro capite molto superiore alla media greca, mentre la disoccupazione è di circa il 4%, un sesto di quello del paese in generale. Come in molte regioni della Grecia la viticoltura e gli oliveti sono significativi; vengono coltivati anche aranci e citroni. Fino a poco tempo fa sono state limitate le importazioni di banane in Grecia, pertanto le banane sono state coltivate sull'isola, prevalentemente nelle serre. I prodotti lattiero-caseari sono importanti per l'economia locale e ci sono una serie di formaggi locali come mizithra, anthotyros e kefalotyri.\n\nInfrastrutture e trasporti.\nAeroporti.\nSull'isola vi sono sei aeroporti di cui tre con traffico commerciale:.\n\nSport.\nCalcio.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Creusa (figlia di Priamo).\n### Descrizione: Creusa è una figura della mitologia greca. Era figlia di Priamo e di Ecuba e sposò Enea, dando alla luce Ascanio. Mentre fuggiva insieme al marito da Troia, si perse. Enea tornò sui propri passi a cercarla, ma incontrò solo la sua ombra, che lo spinse a proseguire il viaggio, iniziato per volere degli dei.\n\nIl mito.\nCreusa, detta Euridice nella tradizione più antica, era figlia di Priamo e di Ecuba, nonché sorella di Ettore, Paride, Laodice, Cassandra e Polissena. In gioventù, ebbe come nutrice una donna di nome Caieta, da cui in seguito prese il nome la città di Gaeta.In seguito, Creusa sposò Enea, figlio di Anchise, da cui ebbe un figlio, Ascanio, e forse una figlia, Etia.Creusa si smarrì la notte della caduta di Troia. Enea riempì di richiami le strade alla ricerca della moglie, finché scorse il suo fantasma. L'eroe tacque per l'orrore, i capelli irti sul capo. Creusa parlò ribadendo che gli dèi avevano voluto che ella non seguisse il marito nei suoi viaggi ma fosse assunta in cielo per servire Cibele, la Grande Madre. In un estremo, toccante addio, l'ombra della donna ripose in Enea il suo amore per il figlioletto Ascanio. Enea protese gemendo le braccia per abbracciare Creusa, ma il fantasma si dissolse come un soffio di vento.\n\nAltre versioni.\nNella tradizione romana tramandataci da Ennio, ebbe due figlie da Enea, come si ricava dal frammento da cui è tratto Il sogno di Ilia.\n\nAlbero genealogico.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Criaso.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Criaso era il nome di uno dei figli di Argo e Evadne.\n\nNella mitologia.\nDi lui racconta Apollodoro, che rimane fra le varie versioni la più importante, racconta di sua madre la figlia del dio mare Strimone e dei suoi fratelli: Ecbaso, Pira e Peranto (o Epidauro).\nSposò Melanto e fu il padre di Forbante, Ereutalione e Cleobea.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Criosfinge.\n### Descrizione: La criosfinge è un essere mitico molto presente nella scultura egizia. Si tratta di un leone con testa di ariete, talvolta portante un copricapo. Nell'Antico Egitto essa simboleggiava la possanza fisica e l'energia fecondatrice del dio Amon-Ra, in quanto riuniva la forza del leone e l'ardore delle capre.\nIl nome 'criosfinge' venne coniato da Erodoto dopo che questi ebbe visto le sfingi a testa di capra egiziane.\nSono criosfingi le statue che si trovano in fila davanti al tempio di Luxor (l'antica Tebe), e nei dromos dei templi dedicati ad Amon presenti a Karnak e a Napata.\n\nCuriosità.\nLa figura della criosfinge è stata utilizzata per l'interno dell'album degli Iced Earth Something Wicked This Way Comes.\nAndrosfinge, Ieracosfinge e Criosfinge sono anche i nomi di tre carte di Yu-Gi-Oh! (rispettivamente EP1-002, TLM-012, TLM-013).\n\nVoci correlate.\nIeracosfinge (Erodoto dette il nome anche a quest'altra figura).\nAndrosfinge.\nSfinge.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Criosfinge.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Crisaore.\n### Descrizione: Crisaore (in greco antico: Χρυσάωρ?, Chrysáōr) è un personaggio della mitologia greca figlio di Medusa o (a seconda del mito) nato dal suo sangue.\nCrisaore si unì all'oceanina Calliroe da cui nacquero il gigante con tre teste Gerione e la madre di mostri Echidna.\n\nMitologia.\nEra un gigante armato di una spada d'oro, da cui il nome Crisaore che in greco significa 'spada d'oro'.\nEsistono due miti differenti sulla sua origine.\n\nNella prima versione, egli nacque da un'avventura amorosa di Poseidone con la Gorgone Medusa sotto gli occhi della casta Atena (secondo alcune fonti, addirittura nel tempio della dea); quest'ultima, inorridita dallo spettacolo, maledisse la ragazza, rendendola il terribile mostro noto per il potere pietrificatore del suo sguardo e i capelli serpentini.\nIn base alla seconda versione, invece, Crisaore nacque assieme a Pegaso dal sangue di Medusa quando Perseo la uccise mozzandole la testa.Durante la sua vita Crisaore uccise numerosi uomini che avevano compiuto azioni molto malvagie, seguendo una condotta di vita impeccabile; per tal motivo Poseidone andava fiero di lui, tanto che lo fece portatore anche della sua arma sacra.\n\nNella cultura di massa.\nCrisaore compare nella serie di romanzi Eroi dell'Olimpo di Rick Riordan, dove, contrariamente al mito, è un crudele pirata, nemico minore dei protagonisti.\nNell'anime e manga I Cavalieri dello zodiaco vi è un personaggio chiamato Crisaore, che brandisce una lancia d'oro.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Crise.\n### Descrizione: Crise (in greco antico: Χρύσης?, Chrýsēs) è un personaggio della mitologia greca, sacerdote di Apollo.\n\nGenealogia.\nSecondo Eustazio di Tessalonica, il padre di Crise fu Ardi (Ardys). Crise è il padre di Criseide (presumibilmente sono originari della città di Crisa), ed è fratello di Brise, a sua volta padre di Briseide.\n\nMitologia.\nSacerdote troiano del dio Apollo, all'inizio del libro dell'Iliade giunge presso le navi degli Achei che hanno rapito sua figlia Criseide per chiederne la restituzione «con molto prezzo».Rivoltosi agli Atridi Agamennone e Menelao, riceve dal primo un adirato rifiuto alla sua richiesta di riscatto; di conseguenza, allontanatosi, invoca la vendetta di Apollo, il quale, infuriato per il sacrilegio, con una pestilenza fa strage di guerrieri achei dopo aver ucciso una grande quantità di «giumenti e presti veltri».
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Criseide.\n### Descrizione: Criseide è il patronimico usato da Omero nell'Iliade per denominare la fanciulla Astinome. Criseide fa parte della mitologia greca, è figlia di Crise sacerdote d'Apollo.\nCugina di secondo grado di Ettore, Paride e tutti i loro fratelli e sorelle.\nNel primo libro dell'Iliade, Criseide è schiava di Agamennone, che se ne è impadronito quale preda di guerra e rifiuta di restituirla al padre Crise. Apollo, di cui Crise è sacerdote, scatena così una pestilenza tra l'esercito greco, per fermare la battaglia. Agamennone è costretto a rinunciare a lei; in cambio però pretende di avere Briseide, schiava di Achille, atto che offende il guerriero a tal punto da indurlo a rifiutarsi di proseguire la guerra contro Troia.\nSecondo una tarda leggenda greca, narrata nelle Fabulae di Igino, la fanciulla ebbe da Agamennone un figlio, che chiamò Crise (come suo padre).\nEbbe anche una breve relazione amorosa con l'eroe Achille, prima della sua morte.\nAlcuni affermano che Crise l'avesse mandata a Lirnesso perché fosse più sicura, oppure affinché partecipasse ai festeggiamenti in onore di Artemide.\nNella letteratura medievale, Criseide si sviluppa nel personaggio di Cressida, protagonista della celebre opera shakespeariana.\n\nIn letteratura.\nLe vicende di Criseide vengono narrate in diverse opere:.\n\nNell'Iliade di Omero si narra di Criseide schiava di Atride (Agamennone figlio di Atreo).\nNelle Fabulae, Igino riprende i temi dell'Iliade e in due di esse ('Crise' e 'Il riscatto di Ettore') parla di Criseide.\nNel Crise di Pacuvio si narra di Crise, appunto, figlio di Criseide ed Agamennone e nipote di Crise il vecchio.\nNel Filostrato di Giovanni Boccaccio, dell'amore di Criseide e Troilo, l'ultimo figlio di Priamo, e della morte di quest'ultimo. Di quest'opera esiste anche una versione in prosa di Loys de Beauvau intitolata 'Romanzo di Troilo'.\nAnche Geoffrey Chaucer dedica il poema Troilo e Criseide allo sfortunato amore.Nel poema settecentesco Inarime di Camillo Eucherio Quinzio (o de Quintiis) compare una Criseide, ma si tratta della ninfa che fonde l'oro nelle sorgenti d'acqua.\n\nNell'arte.\nLuigi Ademollo, Ulisse riporta la figlia Criseide al sacerdote Crise, incisione su carta, XVII-XIX secolo.\nFelice Giani, Crise che con doni prega Agamennone di rilasciargli la figlia Criseide, affresco, inizio del XIX secolo.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Crisippo (mitologia).\n### Descrizione: Crisippo (in greco antico Χρύσιππος, Chrýsippos) è un personaggio della mitologia greca, secondo il mito tebano, fu il figlio di Pelope e della ninfa Astioche.\n\nMitologia.\nCostui abitava nella reggia del padre quando, esule da Tebe durante il regno di Anfione e Zeto, venne invitato come ospite da Laio e questi non appena lo vide, fu preso da una violenta passione e fece di Crisippo il suo amante.Ippodamia però, la matrigna di Crisippo e moglie legittima di Pelope, non volendo correre rischi verso l'eredità del regno destinata ai suoi figli, s'insinuò una notte nella stanza dove i due amanti dormivano e uccise Crisippo per accusare poi del delitto Laio che gli giaceva accanto.Ispirandosi a questa leggenda, Euripide compose una tragedia, intitolata Crisippo, nella quale rivide il racconto originario e, a imitazione dell'altra e più famosa leggenda riguardante Giove e Ganimede, narra che Crisippo viene rapito da Laio, condotto a Tebe e nella reggia tebana finisce vittima dell'incontenibile brama del suo rapitore; dopo di che, il giovane per la vergogna si toglie la vita.\nNel finale, al padre Pelope, sconvolto dal dolore, non resta altro che maledire Laio, augurandogli di non aver mai figli o, se ne avesse avuti, rimanere ucciso da colui che aveva generato.\nUn'ulteriore versione della leggenda più antica, appartenente alla mitologia di Micene, coinvolgeva invece nella morte di Crisippo la brama di potere dei due fratelli Atreo e Tieste, i quali, temendo che Pelope avesse intenzione di privilegiarlo nella successione, lo uccisero, istigati da Ippodamia, loro madre nonché matrigna del giovane Crisippo.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Crisomallo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Crisomallo era il nome di un ariete dal vello d'oro, dotato di poteri magici. Era stato generato da Poseidone e Teofane.\n\nIl mito.\nAtamante fu prima sposo di Nefele ed in seguito di Ino. Dalla prima moglie ebbe due figli: Frisso ed Elle, ma la seconda moglie non vedeva di buon occhio i due ragazzi e decise, con uno stratagemma, di condannarli a morte. Infatti con il sacrificio di Frisso sarebbe terminata, a suo dire, la carestia che colpiva il popolo. Ermes, il messaggero degli dei, aveva già donato il magico Crisomallo a Nefele. Quando la donna seppe del pericolo che minacciava i suoi figli subito lo inviò a salvarli. L'ariete, che comprendeva il linguaggio umano e sapeva volare, subito li raggiunse e li portò in salvo. Il suo vello d'oro sarà poi oggetto di disputa e l'inizio dell'impresa che Giasone compirà con gli Argonauti.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Croco (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Croco (in greco antico: Κρόκος, Krókos) era il nome di un giovane ricordato per il suo amore infelice con una ninfa.\n\nIl mito.\nCroco era innamorato di una ninfa chiamata Smilace, ma non era corrisposto, gli dei allora tramutarono Croco in una pianta e in seguito anche la ninfa. Secondo altre fonti i due morirono insieme amandosi.\nSecondo un'altra versione del mito, riportata da Galeno, Croco era un giovane di grande bellezza amato da Ermes, che lo uccise accidentalmente giocando al lancio del disco. Profondamente turbato e tormentato dalla colpa, il dio trasforma il giovane nel fiore omonimo insieme con la ninfa Clori. La storia è talmente simile a quella di Giacinto da aver fatto ipotizzare ad alcuni studiosi che essa ne sia una variazione o che, più semplicemente, Galeno abbia confuso i due miti.\n\nInterpretazione e realtà storica.\nLa pianta in cui la donna venne trasformata era usata a quei tempi nei culti dionisiaci.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Crotone (mitologia).\n### Descrizione: Crotone (in greco antico: Κρότων?, Króton; in latino Croto), figlio di Eaco, nella mitologia greca era il nome dell'eroe famoso per avere dato il nome alla città omonima situata nell'Italia meridionale.\n\nIl mito.\nEracle, di ritorno da una delle sue fatiche (quella che lo vide occupato contro Gerione), si riposò a casa di tale Crotone. La mandria di cui il semidio era incaricato di occuparsi fu rubata da un ladro; subito Eracle, insieme a Crotone, andò a stanarlo nel luogo dove abitava, ma nella seguente colluttazione oltre al ladro morì Crotone, ucciso proprio dal figlio di Zeus. Eracle pianse la morte del caro amico. Senza indugio, provvedette alla costruzione di un reale monumento funebre, supplicando gli Dei di far sì che su quella tomba sorgesse una delle città più fiorenti dell'antica Magna Grecia.\nSecondo una leggenda, l'oracolo di Apollo a Delfi ordinò ad Archia di Corinto di fondare Siracusa, mentre a Miscello di Ripe di fondare una nuova città nel territorio compreso fra Capo Lacinio e Punta Alice. Dopo aver attraversato il mare ed esplorato quelle terre, Miscello di Ripe pensò che sarebbe stato meglio fermarsi a Sybaris, già florida e accogliente anziché affrontare i pericoli e le difficoltà nella fondazione di una nuova città. Il dio adirato gli ordinò di rispettare il responso dell'oracolo. Secondo Ovidio sarebbe stato invece Eracle ad ordinare a Miscello di Ripe di recarsi sulle rive del fiume Esaro.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Cubismo orfico.\n### Descrizione: Il cubismo orfico (od orfismo) è un movimento pittorico sviluppatosi in Francia nei primi anni del 1910.\n\nStoria.\nIl movimento deve il suo nome allo scrittore e critico francese Guillaume Apollinaire, che lo aveva scelto per definire il gruppo di artisti chiamati Section d'Or, su suggerimento di Jacques Villon. Tra loro vi erano anche i suoi fratelli, Raymond Duchamp-Villon e Marcel Duchamp, e, inoltre, Roger de La Fresnaye, Fernand Léger, Marie Laurencin. Questa compagnia aveva l'obiettivo di rappresentare dei quadri che avessero rigorosi rapporti geometrici tenendo comunque conto della vitalità del colore presente in essi. Section d'Or fu anche il titolo della rivista che crearono e del Salon col quale esordirono a Parigi nel 1912.\nQuesti artisti erano soliti riunirsi nella casa parigina di Jacques Duchamp, sita nel sobborgo di Puteaux. Tutti avevano sviluppato una visione del cubismo diversa da quella del cosiddetto gruppo di Montmartre (rappresentato principalmente da Picasso e Braque): le composizioni incominciarono ad essere completamente create dal pittore e non tratte dalla realtà, il colore tornò parte essenziale del dipinto, non più finalizzato alla mera scomposizione dei volumi. Questo rimando all'orfismo vuole sottolineare la spiritualità espressa attraverso il colore e la sua suggestione.\nI pittori František Kupka e Robert Delaunay, furono tra i maggiori esponenti dell'arte astratta e dell'orfismo.\n\nInfluenze.\nIl cubismo orfico influenzerà il movimento futurista, soprattutto per quel che riguarda il movimento, la velocità, e le nuove tecniche pittoriche basate sulla simulazione della cronofotografia (in quegli stessi anni Giacomo Balla stava facendo sperimentazioni fondamentali in tal senso).\nIn realtà il Futurismo compare prima nel 1909 con il dinamismo simultaneo, è il Cubismo orfico a sviluppare le idee futuriste, ma dopo il 1909.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Culti ateniesi.\n### Descrizione: Ogni città della Grecia antica possedeva specificità culturali che gli consentivano di rafforzare la propria identità. Questi adattamenti sono facilitati dall'assenza di dogmi scritti e dall'attaccamento del clero al potere politico. Sono generalmente caratterizzati dall'esistenza di una divinità tutelare e da una storia romanzata e poi sacralizzata. Ad Atene troviamo questi elementi in un mito fondativo.\n\nMito fondativo.\nLa città fu fondata secondo il mito da Cecrope, un serpente nativo della terra d'Attica e primo re del luogo. Per Erodoto, gli dei dell'Olimpo non erano assenti a questa fondazione. Infatti, Atena e Poseidone si disputarono la protezione della città e, per sedurre gli abitanti, offrirono rispettivamente la prima un olivo e dei cavalli. Il regalo della dea era quello che seduceva di più i nativi. Cecrope scelse l'ulivo, che fu la base dell'agricoltura in Attica nei tempi antichi; in cambio, la città prese il nome della sua nuova dea protettrice, scegliendo come emblema il gufo (comunemente l'animale che rappresenta Atena), con la promessa di non praticare sacrifici umani e adorare Zeus come re degli dei. L'Eretteo, tempio dell'Acropoli, fu costruito in memoria di questo evento sul luogo in cui sarebbe stata fatta la scelta del sovrano. Oltre Cecrope Erittonio, un altro leggendario re di Atene, è considerato il fondatore della festa delle Panatenee e l'inventore del carro, ispirato da Atena. Fu in suo onore che l'Eretteo fu costruito.\nInfine, il leggendario re Teseo che è il capo del sinecismo ateniese, dopo aver rilasciato la sua città cretese al giogo imposto dal Minotauro, il ricordo del sinecismo è stato guardato dai sinecisti (συνοικίαι / sunoikíai), celebrando ogni anno il sedicesimo giorno del mese delle Ecatombi.\n\nReligione civica.\nTeofrasto scrisse che le antiche prescrizioni del culto ateniese erano state copiate sul regolamento delle cerimonie dei Coribanti cretesi. La religione occupa un posto preponderante nella vita dei greci, tutti gli eventi sono legati alla volontà divina. Per l'ateniese si aggiunge a questo forte rispetto greco per i culti e i miti particolare devozione alla loro dea protettrice a causa dell'attribuzione ad Athena dell'invenzione dell'olio di oliva, essenza dell'agricoltura per gli abitanti dell’Attica, così come i successi militari della città dall'assimilazione della dea della Vittoria Nike ad Athena. L'importanza data a quest'ultima all'interno del Pantheon, pertanto, aumentò solo con l'aumento della dominazione militare ateniese che viene tradotta con un vero e proprio imperialismo. La ricchezza di questa egemonia, tra cui il tributo della Lega di Delo è stato utilizzato per costruire i magnifici templi dell'Acropoli, l'obiettivo era di ringraziare la dea benefattrice per impressionare altre città. L'influenza culturale ateniese beneficiava anche della nuova fortuna della città, il teatro diventava gratuito per i cittadini. Questo intrattenimento, il più popolare, era collegato al dio Dioniso, il cui culto festivo sembrava essere il più stimato nell'antica Grecia. Questa divinità era quindi il principale contrappeso a un dominio dello spazio religioso ateniese da parte dell'unica dea Atena. Per capire l'importanza della religione nella società ateniese, dobbiamo sapere che al suo apice erano riportati più di 100 giorni non lavorativi per onorare le divinità, tra cui Dioniso e Atena.\nLa religione Ateniese si distingue non solo per la sua forte concentrazione su queste due divinità, ma anche per la sua funzione di integrazione. Le panatenee, le più grandi feste di Atene, esclusivamente in onore di Atena, erano quindi un'occasione per riunire tutti gli abitanti della città tra cui i meteci (stranieri), le donne e i bambini che sfilavano in coda alla processione andando al tempio dell’Eretteo con il peplo, una lunga tunica appositamente tessuta da cento ragazze ateniesi per coprire la statua lignea di Atena Polia (protettrice). La partecipazione di tutti a questo rito centrale della religione ateniese era il vero simbolo del carattere dell'unità sociale di questa religione, e quindi consentiva d’essere considerarla come 'civica'.\nLa religione non costituisce un cemento della società ateniese unicamente attraverso questa celebrazione, come dimostrano le Tesmoforie, celebrazioni riservate alle donne, durante le quali la preda veniva sacrificata a Demetra. Questa religione civica faceva parte di un contesto più ampio rappresentato dalle liturgie, compiti di interesse generale finanziati da un ricco cittadino, alcuni dei quali erano religiosi come l'organizzazione di spettacoli teatrali gratuiti.\n\nAdattamenti democratici.\nIl nuovo regime di democrazia ateniese, creato da Clistene, arricchisce la religione ufficiale di un nuovo culto, basato sui miti preesistenti e che legittima la riorganizzazione spaziale dell'Attica. Rafforza quindi l'aspetto civico della religione ateniese. Così, le entità politiche su cui si muovono le nuove istituzioni democratiche, le 10 tribù, che ricevono la protezione di un eroe eponimo, che sono queste:.\n\nEretteide.\nEgeide.\nPandionide.\nLeontide.\nAcamantide.\nEneide.\nCecropide.\nIppotoontide.\nAiantide.\nAntiochideLe celebrazioni si svolgono sull'agorà in onore di questi protettori locali, tuttavia la credenza è debole, questa nuova adorazione non incontra alcun fervore popolare. Soprattutto, funge da simbolo della coesione ateniese, come dimostra l'esistenza del monumento agli eroi eponimi, composto da 10 statue di bronzo che rappresentano tutti questi eroi e situato di fronte al Bouleuterion, vale a dire, al centro di Atene: questa piattaforma serviva per esporre i decreti e le leggi dell'Ecclesia.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Culti e templi dell'antica Siracusa.\n### Descrizione: I culti e templi dell'antica Siracusa risalgono all'epoca preistorica, greca e romana della città.\nSiracusa (in greco antico: Συϱάϰουσαι?, Syrakousai) durante l'epoca greca fu il principale centro culturale e religioso della Sicilia. Grazie ai contatti con i diversi popoli del Mediterraneo la polis si arricchì di culti e dèi venerati presso i templi.\nNella città si trovano i resti archeologici del più antico tempio siciliano edificato in stile dorico e dedicato al dio del sole Apollo. Nel parco archeologico della Neapolis, inoltre, sorge una delle più vaste aree votive dell'antichità: l'Ara di Ierone.\nUna peculiarità siracusana è quella di avere incorporato interamente uno dei suoi templi più importanti, il tempio di Atena, facendolo divenire una chiesa cristiana (cattedrale della Natività di Maria Santissima); ancora oggi è possibile ammirarne le imponenti colonne, collocate in entrambi i lati delle navate dell'edificio. Un altro antichissimo tempio, consacrato a Demetra e Kore, è stato incorporato nell'area del santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa.\n\nContesto storico.\nSiracusa e le ninfe.\nSiracusa è un luogo ricolmo di acqua, sia dolce che salata. Circondata dal mare, al suo interno si sviluppano numerose sorgenti, grazie alla falda freatica iblea. Sorgenti, letti di fiumi e paludi vennero consacrate dai Siracusani a divinità del mondo acquatico. Per comprendere la grande importanza dell'acqua per questa città, basti considerare che finanche il suo nome, secondo le fonti, deriverebbe da una delle sue paludi: «Syraka», il cui significato sarebbe per l'appunto «abbondanza di acqua».\nLe sue sorgenti divennero ben presto sede delle ninfe: creature femminili protettrici della natura e degli esseri umani. Siracusa legò particolarmente il suo nome a due ninfe: Aretusa e Ciane; entrambe furono tumultuosamente tramutate in acqua pura: la prima divenne la fonte che sgorga nell'isola consacrata ad Artemide, Ortigia, mentre la seconda formò la fonte consacrata a Kore, sua divina compagna. Il fatto che entrambe le fonti furono sede di culto - i pesci della fonte Aretusa erano sacri e nelle acque della fonte ciane si compivano sacrifici - acuisce la sacralità rappresentata dall'elemento acquatico: l'acqua come simbolo di vita, di purificazione, di rinascita.\nPer i Siracusani la fonte Aretusa recava in sé le acque sacre del fiume Alfeo proveniente dall'Elide (Ibico, Scoli a Teocrito, I, 117), poiché il suo eponimo, il dio fluviale Alfeo, figlio del Titano Oceano, si era perdutamente invaghito di una ninfa seguace di Artemide, Aretusa; questa per sfuggirgli invocò la sua dea che colta da pietà la mutò in fonte. Alfeo ridiventò a sua volta fiume ed entrambi sprofondarono sottoterra nel solco aperto da Artemide, riaffiorando in superficie nell'isola sacra di Artedime, Ortigia. In verità si narra che un tempo la bramosia di Alfeo fosse rivolta alla stessa Artemide, in Siracusa infatti si venerava l'Artemide Alfeiola, solo in seguito la sua figura sarebbe stata sostituita da quella della ninfa.\nLa ninfa Ciane ebbe un popolare culto a Siracusa, probabilmente trasportato dall'Eubea - poiché in origine Siracusa è stata coinvolta dalla presenza euboica - e la fonte Ciane potrebbe essere un ricordo euboico delle argonautiche rupi o isole-roccia Cianee (vd. anche la figura di Cianippo che indica sia un re di Argo e sia il padre di Ciane in un'altra versione meno nota del mito). Il culto per Ciane è legato al letto del fiume Ciane, sito appena fuori dalla porta sud di Siracusa, e alla sua omonima fonte. Ciane, in greco antico: Κυανῆ?, Cyăne, significa «azzurro», narra il mito che fosse compagna della dea Kore, detta Persefone, figlia di Demetra e signora della primavera.\n\nLe ninfe e l’oracolo di Maie ad Akrai.\nIl legame tra Ciane, Kore, Aretusa e Demetra.\nNarra Ovidio che Kore venne rapita presso le campagne fiorite di Enna dal dio Plutone, re dell'Ade, e che Ciane, sua amica, tentò di salvarla cercando di trattenere il carro del dio, ma questi giunto alle porte di Siracusa, con il suo tridente trasformò Ciane in una fonte e si immerse in essa, scomparendo sott'acqua con Kore e aprendo da lì un varco per il suo tenebroso regno. La madre Demetra giunta presso la fonte incontrò Aretusa la quale le disse di aver visto in quelle acque galleggiare Persefone, divenuta ormai regine dell'Ade. Demetra colta dall'ira devastò allora le campagne della Sicilia.\n\nErcole arrivato a Siracusa si recò presso la fonte e in onore di Persefone vi sacrificò uno dei suoi tori più belli, ordinando e insegnando ai Siracusani come fare i sacrifici ogni anno per commemorare il rapimento di Kore, la figlia della dea della Terra e il gesto eroico di Ciane, divinità della natura. Si istituirono così, per volere di Ercole, le panegiris.\n\nIl tempio di Ciane.\nDiodoro Siculo dà testimonianza di un tempio dedicato a Ciane nei pressi del tempio di Zeus Olimpico: lo storico di Agira afferma che Dionisio I e il suo esercito, nel 396 a.C., per sorprendere i Cartaginesi durante uno degli assedi perpetrati durante le guerre greco-puniche, si accampò presso il tempio di Ciane.I resti calcarei di questo tempio, o santuario, sono stati riconosciuti dall'archeologo Francesco Saverio Cavallari in un sito poco distante dal fiume Ciane, nei pressi delle sue sorgenti, tra Cozzo Pantano e Cozzo Scandurra, nel quale sono stati rinvenuti elementi architettonici e votivi d'epoca arcaica. Alcuni di essi, come dei grandi recipienti trovati allineati lungo la parete, ricordano esattamente il culto delle ninfe, alludendo alla descrizione omerica dell'antro delle Naiadi presso Itaca:.\n\nVicino a questo sito è stata rinvenuta una testa di una divinità, identificata come tale grazie alla presenza in cima al capo del Polos; ornamento che conferiva sacralità alle figure femminili, essa è stata scolpita in stile dedalico agli inizi del VI secolo a.C. con il calcare del Plemmirio (sito siracusano prossimo al Ciane e all'Anapo), ed è divenuta celebre poiché vi si è identificata, data la vicinanza con il presunto santuario, il volto della ninfa Ciane.\n\nGli Olimpi.\nAfrodite.\nL'Afrodite Callipigia di Siracusa.\nAfrodite è venerata sotto diversi nomi, ma soprattutto tramite la leggenda delle sorelle Kallipige. Cicerone parla dell'esistenza di un tempio in Ortigia.\n\nIl culto dell'Afrodite siracusana in Adriatico.\nApollo.\nAd Apollo era dedicato il primo tempio greco della Sicilia in Ortigia. Inoltre Cicerone, parla di una statua di Apollo Temenite presso l'omonimo colle. Plutarco parla delle feste Carnee, dedicate ad Apollo Carneio.\n\nPanoramica del tempio di Apollo.\n\nAres.\nLa polis come sacro terreno di Ares.\nIl tebano Pindaro definisce Siracusa «tempio» del dio della guerra Ares (traducibile anche come «sacrario» e «sacro terreno» di Ares), tuttavia il culto per questo bellicoso dio non sembra aver messo salde radici in Sicilia né tanto meno a Siracusa; è pur vero che esso compare nelle monete dei siracusani, ma solo dopo il 212 a.C., ovvero dopo l'avvenuta conquista della polis da parte dei Romani. La frase dunque che fa di Siracusa un luogo sacro al dio della guerra è attribuibile esclusivamente al ruolo egemone ricoperto dalla città sul campo di battaglia; innumerevoli sono infatti i conflitti intrapresi dai Siracusani in epoca antica.\nL'epoca in cui scrive Pindaro è quella del tiranno Ierone I, periodo in cui la polis di Siracusa doveva apparire in perenne stato di guerra: Ierone, ereditando l'apparato bellico introdotto da Gelone, fece largo uso di mercenari; situazione che sarà accentuata sotto Dionisio I, che farà dell'esercito siracusano il primo per numero di mercenari, facendolo divenire il più variegato del mondo greco (a Siracusa giungevano guerrieri dalla Gallia, dall'Italia, dall'Iberia, dall'Africa e dalla Grecia). Ritornando al periodo di Pindaro, il 476 a.C. è anche l'anno in cui la polis aretusea dichiarò guerra alle città ioniche di Nasso e Katane, conquistandole e deportandone gli abitanti. Nel frattempo, 474 a.C., le sue navi giunte nel mar Tirreno si scontrarono con quelle etrusche, riportando la vittoria nelle acque di Cuma e facendo di Pitecusa un altro possedimento siracusano, chiudendo in questo modo le porte del Tirreno ad Atene. Si alimentava così la rivalità egemonica degli Ateniesi nei confronti dei Siracusani che avrebbe infine portato al celebre scontro tra le due poleis. Il Tebano fu testimone di tutto ciò e scrisse di Siracusa osservando gli eventi da Aitna, nuova fondazione ieroniana di dori Siracusani e peloponnesiaci alle falde dell'Etna. In altri scritti pindarici è la guida della polis Ierone I, «padre eponimo di riti venerandi, fondatore di Etna», che viene velatamente comparato a un dio, allo stesso Zeus Etneo, figlio di Crono, il cui culto fu dal Siracusano stabilito ad Aitna/Etna.\n\nApprofondendo quindi il contesto storico appare più che giustificata l'espressione di Pindaro che vede in Siracusa un luogo caro alla più bellicosa delle divinità olimpiche.La polis di Siracusa giocò inoltre un ruolo primario, se pur indirettamente, nella diffusione in alcune aree dell'isola del culto di Ares, poiché fu essa ad assoldare i Mamertini, mercenari italici della Campania devoti al dio della guerra (essi si dicevano suoi discendenti), i quali ribellatisi ai Siracusani si stabilirono presso Messana, portando con sé la devozione per Ares, città nella quale compaiono a seguito della loro presenza le monete di Ares giovanile con alloro sul capo.\n\nArtemide.\nLa dea Artemide ha un forte riscontro nell'isola di Ortigia dove sorgeva un suo tempio e uno dei culti più importanti in Sicilia. Inoltre la rappresentazione della dea in alcune monete, la fa associare alla protezione della città. Probo e Diomede parlano di una festa ad essa dedicata poiché la dea liberò la città da un morbo che avrebbe colpito il bestiame; per questo motivo alla festa partecipavano i pastori. Durante l'assedio romano, Livio e Plutarco parlano della celebrazione di una festa in onore di Artemide che avrebbe potuto liberare la città dall'assedio.\n\nArtemide e Aretusa.\nAtena.\nCome testimoniano Cicerone e le tante raffigurazioni della dea sulle monete della polis, Atena era molto amata dai Siracusani; essa era considerata la protettrice dei navigatori e la sua saggezza guidava alla vittoria le armate delle poleis. In cima all'Athenaion di Siracusa un grosso scudo dorato aveva proprio il compito di indicare ai naviganti la costa, come fosse stato un enorme faro luccicante. E l'incisore Eukleidas, operante a Siracusa nel tempo in cui detennero il potere Ermocrate e Dionisio I, ebbe il compito di raffigurare la dea Atena sui conii emessi dalla polis attorniata da delfini; noto simbolo di Siracusa, per celebrare la vittoria sulle armate di Atene, ottenuta con il favore della dea.Marco Claudio Marcello conquistata la città propiziò doni ad Atene di Lindo, mentre il pretore Verre spoliò il tempio siracusano da ogni oggetto prezioso. Probabilmente furono i Dinomenidi, tramite il primo tiranno di Siracusa, Gelone, a importare nella polis il culto per questa dea. Il suo tempio sorse sulle fondamenta di uno più antico e affiancato ad un altrettanto antico e raro tempio ionico, conosciuto come l'Artemision di Siracusa. L'Athenaion che Cicerone descrive sontuosamente, edificato sul lato di levante dell'isola di Ortigia, venne verso il IV secolo d.C. consacrato a Cristo in quanto divenuto nuovo tempio del Cristianesimo e dedicato alla Madonna.\nSe pur si è concordi nell'identificazione del tempio, sono sorti alcuni dubbi riguardo alla frase di Ateneo, il quale nel descrivere lo scudo dorato dell'Athenaion dice che esso era l'ultima cosa che i marinai vedevano prima che Siracusa scomparisse alle loro spalle; si è quindi ipotizzato che il luogo ideale dove si verificasse ciò non fosse l'area sacra posta al centro dell'isola ma un punto più aperto vicino al mare, come il lato di ponente della stessa isola.\n\nDemetra e Kore.\nIl culto e il mito per le divinità ctonie a Siracusa.\nIl culto di Demetra e Kore, come visto, si intreccia a Siracusa profondamente con quello della ninfa Ciane e in maniera significativa anche con la figura della ninfa Aretusa. Narra il mito siciliano che dopo la scomparsa della figlia, prima che Aretusa la informasse del suo destino, Demetra la cercò per tutta l'isola, salendo fin sulla cima dell'Etna, adoperando la lava del vulcano per accendere grosse fiaccole che potessero aiutarla nella ricerca. Non potendo riavere Kore al suo fianco, la Madre-Terra si rifiutò di risalire in cielo e ciò comportò lo sconvolgimento della natura: il suo lutto segnò l'inizio della carestia per le campagne siciliane e quelle di tutto il mondo:.\n\nSi sostiene che fu Gelone di Gela, ierofante di Demetra e Kore - ierofantia ereditata dai Dinomenidi - a diffondere il culto per le divinità ctonie a Siracusa e da qui nel resto della Sicilia. Ma non tutti concordano con questa affermazione. Stando alle antiche fonti, per volere del tiranno geloo venne eretto nel 480 a.C. il tempio di Siracusa consacrato a Demetra e Kore, sorto per celebrare la vittoria sui Cartaginesi sconfitti ad Imera. Gelone, ierofante degli «dei ctoni», certamente ricoprì un ruolo molto importante nel propagandare il culto di Demetra e Kore, ma più verosimilmente i Greci raccolsero questa eredità culturale dalle popolazioni autoctone dell'isola che già in tempi preistorici veneravano divinità della terra, dell'agricoltura, con altri nomi; un caso celebre è rappresentato dalla dea Iblea, identificata sia con una Grande Madre, la divinità che rappresenta la maternità, la creazione, e sia con Afrodite-Persefone, dea della rigenerazione della natura, della fertilità, il cui culto, dato l'epiteto della dea (se di epiteto si tratta), doveva avere avuto origine presso il sito geografico di Ibla; località siciliana egemone ignota, ma che non può trovarsi troppo distante da Siracusa, dato che le antiche fonti collocano la sua area di influenza nei dintorni della polis aretusea.Da sottolineare inoltre come il mito greco-siciliano che coinvolge Siracusa ricalchi, e in certo senso mescoli, in maniera notevole i miti mesopotamici della dea sumerica Inanna (Discesa di Inanna negli Inferi) e della dea babilonese Ištar (Discesa di Ištar negli Inferi); si tratta infatti in tutti e tre i casi di dee che scendono negli inferi, costrette a rimanervi, e la loro risalita in superficie rappresenta la rigenerazione della Terra. Mentre la figura di Demetra corrisponde nel mito mesopotamico a quella maschile del dio babilonese Dumuzi, che come Demetra può avere al suo fianco la dea infera per 6 mesi l'anno e in questo arco di tempo, in cui Kore/Inanna/Ištar resuscita, la natura si risveglia e subentra la primavera e l'estate.\n\nIl culto nelle colonie siracusane.\nLa Sicilia è strettamente legata al mito di Demetra, la dea della vita e della morte, e Kore, la dea alla quale per volere di Zeus venne concessa in dote l'intera isola. Due luoghi in particolar modo compaiono nel mito e nel culto: Enna, luogo in cui Kore venne rapita e indiscusso centro del mito, e Siracusa, luogo dal quale la medesima dea raggiunse il regno di Ade e principale luogo propagandistico del culto. Interessante notare che queste due città sono tra l'altro storicamente legate, al punto tale che secondo la fonte di Stefano di Bisanzio, Henna, sorta al centro della Sicilia, venne fondata dai Siracusani nel 664 a.C.; la coppia divina rinsalda questo antico rapporto.Il riscontro del culto delle due dee ctonie nelle colonie siracusane è molto importante per stabilirne la presenza anche nella madre-patria poiché, specialmente nei primi tempi, Siracusa era ben presente sotto tutti gli aspetti nelle sue fondazioni, per cui esse riflettono in maniera veritiera l'immagine socio-culturale della polis. Ad esempio nella colonia posta a sud, Eloro, che rappresentava il confine sacro della chora aretusea verso la costa, è stato portato alla luce un santuario di Demetra e Kore risalente al tardo VI secolo a.C., ed esso era direttamente collegato con Siracusa tramite una strada che si suppone fosse processionale. Il VI secolo a.C. è anche la datazione espressa per il busto di Kore rinvenuto nella colonia di Siracusa posta sulle cime più alte dei monti Iblei, Casmene (nei pressi dell'odierna Buscemi), sul monte Casale. Qui l'archeologo Paolo Orsi rinvenne un altro santuario consacrato a Demetra e Kore. Tracce eloquenti del culto delle due dee si sono trovate anche nella colonia posta più a ovest di Siracusa, Camarina, definita apoikia in quanto autosufficiente, anche se in questo luogo il culto sembra avere più che altro caratteristiche private e non pubbliche. Infine ad Akrai (odierna Palazzolo Acreide), la prima colonia degli aretusei fondata sui monti che coronavano la polis, gli scavi hanno riportato alla luce un Thesmophorion composto da circa 25 ambienti per il culto di Demetra e Kore, risalente al III secolo a.C.; sorto in età ellentistica per volere del re siracusano Ierone II, al quale era particolarmente caro il culto delle due dee poiché consapevole del grande seguito che esso aveva tra il popolo. Akrai è inoltre importante perché sede di antichi culti indigeni, estranei al Pantheon greco: un esempio sono i cosiddetti «Santoni» di Akrai, notevole santuario nel quale è stato riconosciuto il principale centro di culto della dea anatolica Cibele; significativo il fatto che questa Magna Mater fosse stata identificata dall'Orsi e da Pace con Demetra.\n\nDemetra, Kore e Artemide.\nLa festa e i templi di Demetra e Kore.\nDopo la vittoria su Imera fece innalzare templi per le dee nel quartiere Neapolis, rafforzando il culto. Secondo Diodoro Timoleonte salpando da Corinto fu accompagnato dalle dee per sorreggerlo nell'impresa di Sicilia.\nDiodoro racconta che a Siracusa la festa era celebrata nel tempo delle seminagioni e durava dieci giorni. Ateneo e Plutarco parlano anche delle Tesmoforie di Siracusa, il che fa supporre ad un legame tra le feste. Esse infatti avvenivano entrambe a ottobre. Eraclide aggiunge che per la festa delle Tesmoforie si facevano focacce di sesamo e miele, poi portati in giro in onore delle dee. C'era anche la festa delle Anagoge o Anodos di Cora, ossia il suo ritorno in cielo dalla madre. Callippo inoltre giurò presso il tempio delle Tesmofore, cioè di Demetra e Core, poi anche Agatocle. Divenne comune giurare anche per le donne.\nLe dee figuravano in molte monete antiche come fanciulle con la fiaccola in mano.\n\nDioniso.\nLo storico Timeo parla dell'esistenza di una festa legata a questo culto, dove in un banchetto pubblico i convitati facevano a gara a chi lo bevesse prima. A dirigere la gara era proprio lo stesso principe Dioniso, che proponendo un premio al vincitore, ostentava un carattere democratico del suo regno. Inoltre Polemone di Atene parla di un'usanza presso i marinai, che in alto mare, quando non vedevano più lo scudo del tempio di Atena di siracusa, gettavano in mare un calice pieno di fiori e aromi in onore a Dioniso, ritenuto protettore dei naviganti.\n\nHermes.\nSi sa che in suo onore si celebravano delle feste, nelle quali si facevano giochi di lotta tra fanciulli in onore di Hermes Agonios. A Siracusa Dioniso innalza sull'Anapo diversi ginnasi, opera poi proseguita da Gerone II.\n\nPoseidone.\nEssendo Corinto la madrepatria dove fioriva il suo culto, esso era giunto anche a Siracusa. Secondo Plutarco, Archia da Corinto, il mitologico fondatore della città, sarebbe giunto sulle coste siciliane a causa dell'ira di Poseidone, scatenata per via della supplica di Melisso, genitore dell'argivo Atteone; il giovane morto a causa del rapimento da parte di Archia, il quale andò incontro per questo motivo all'ira funesta di Poseidone che maledisse l'intera Corinto spingendolo ad auto-esiliarsi. Mentre secoli dopo Timoleonte venuto in soccorso di Siracusa, mandò doni al dio nel tempio di Corinto. Il culto appare anche nelle monete siracusane.\n\nZeus.\nZeus era un dio importante per Siracusa, lo attesta la presenza di un monumento ad esso dedicato nella zona dei Pantanelli, di cui parla persino Cicerone. Un successivo tempio fu innalzato da Gerone II presso l'attuale foro. Il culto probabilmente proveniva da Corinto, città fondante.\nDopo la vittoria della battaglia di Imera Gelone aveva fatto costruire una statua del dio a Olimpia. Con la cacciata di Trasibulo di Siracusa, invece, si affermò anche il culto di Zeus Eleutherios, innalzando una statua colossale.\nPer le festività in onore di Zeus si immolavano 450 buoi poi estesa nella famosa Ara di Ierone.\n\nI diversi epiteti di Zeus nella polis.\nUrio.\nAltre divinità.\nAsclepio.\nIl culto per la divinità della medicina.\nDa Siracusa proviene la più antica attestazione del culto di Asclepio nel Mediterraneo (IV secolo a.C.). Numerosi storici antichi ne testimoniano il culto nella polis: Ateneo di Naucrati afferma che il tiranno Dionisio I sottrasse una trapeza d'oro dal tempio del dio, mentre per Polieno, il tiranno mise in vendita le offerte d'oro e d'argento che i Siracusani avevano donato al dio. Gli antichi Romani Cicerone, Valerio Massimo, il berbero Arnobio e il suo allievo Lattanzio raccontano del furto della barba d'oro della statua di Asclepio sempre ad opera di Dionisio I; noto per i suoi stratagemmi finanziari volti a sostenere il costo del suo numeroso esercito e oggetto di una spietata critica anti-tirannica da parte dei filosofi del suo tempo (cfr. le critiche di Platone e quelle di Lisia nei confronti del suo governo). Ma a parte i sacrilegi compiuti da Dionisio I, che sono al centro degli scritti degli storici sopracitati, le loro testimonianze sono preziose poiché attestano con certezza la presenza del culto per il dio della medicina a Siracusa.Cicerone è inoltre particolarmente prezioso perché dà modo di associare il culto siracusano per Asclepio a quello ben noto della città dell'Argolide, Epidauro, appellando con tale toponimo la statua del dio sita in Siracusa. Oltre ciò, lo storico di Arpino informa dell'esistenza di un tempio dedicato al dio in questione, quando afferma che il pretore Verre, la cui sede era Siracusa, rubò una statua di Apollo all'interno del luogo sacro votato dai Siracusani ad Asclepio.\n\nCollocazione del suo tempio.\nDiversi i luoghi ipotizzati per l'Asklepieion: presso il Ginnasio romano dove sono stati rinvenuti reperti assimilabili ad un Asklepieion e una statua raffigurante il dio; nell'area dell'anfiteatro romano, Neapolis, dove è stata riportata alla luce una testa marmorea del dio risalente ad epoca augustea; presso l'isola di Ortigia, accanto al tempio di Apollo, ipotesi più probabile, poiché Asclepio era considerato figliod ella divinità Apollo, e a supporto di ciò sono state rinvenute in zona una statua d'epoca romana della dea della salute Igea ed un'iscrizione greca dedicata ad un medico.Il dio compare inoltre sulle monete bronzee della polis.\nAltri reperti siracusani raffiguranti Asclepio.\n\nEolo.\nPlutarco parlando di Dione di Siracusa narra dei sacrifici che egli fece in favore del dio affinché arrecasse vittorie. Il dio è anche rappresentato nelle monete siracusane e il culto diffuso nelle colonie.\n\nIside e Serapide.\nL'esistenza di culti egiziani è confermata dall'esistenza di epigrafi dedicatorie, nonché da Cicerone della presenza di un tempio di Serapide. Infatti il rinvenimento di una statua di marmo con scritte in geroglifico fa supporre la presenza del tempio nell'attuale Ginnasio Romano.\n\nTiche.\nIl culto di Tiche assume una particolare importanza anche per l'esistenza di un omonimo quartiere, dove c'era un tempio della dea, come spiega Cicerone, nella descrizione dei quartieri della città. Il quartiere, considerato il più popoloso e frequentato, era dotato di un tempio alla dea Tycha, oltre ad altri edifici di culto e un ginnasio. Diodoro Siculo sottolinea come, nel 450 a.C, Ducezio si fa supplice entrando nell'agorà (l'odierno Foro) e implorando pietà al governo democratico di Siracusa. L'opinione prevalente del consiglio degli anziani era che Ducezio fosse stato vittima della sorte, e che uccidere un supplice vittima della Fortuna, avrebbe provocato la rabbia degli dei. Per questo Ducezio fu risparmiato e inviato a Corinto. Questo passaggio ci fa comprendere come Tycha fosse molto importante per i Siracusani, visto che il demos della città invocò la grazia per Ducezio, per rispetto a questa divinità.\n\nIl culto degli eroi.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Cureti.\n### Descrizione: I Cureti (in greco antico: Κουρητες, Kourêtes, ovvero 'giovani') sono un gruppo di divinità minori della mitologia greca, facente parte del corteggio di Rea, moglie di Crono. Furono più volte identificati con altre figure simili come i Coribanti o i Dattili.\n\nMito.\nIndicati come popolo dell'Etolia nel IX libro dell'Iliade di Omero, sono più spesso collegati al mito della nascita di Zeus: la madre Rea, al momento di partorirlo, per paura che anche l'ultimo dei suoi figli potesse essere inghiottito da Crono, fuggì a Creta; qui trovò i Cureti, cacciati dalla loro terra, l'Eubea, dal padre Saoco e approdati su quest'isola insieme alla madre Calcide (o Combe). Quando Rea partorisce Zeus, essi sono pronti a proteggere il bambino dalla famelicità di Crono. Le loro danze e il frastuono delle armi battute contro gli scudi riescono a nascondere i vagiti del piccolo Zeus.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dafni (Monte Athos).\n### Descrizione: Dafni (in greco Δάφνη?) è un piccolo paese del Monte Athos. Si trova nella costa meridionale della penisola tra il Monastero di Xiropotamou e il Monastero di Simonopetra. È il porto principale del Monte Santo e l'unico posto di entrata nella repubblica monastica tramite un servizio di traghetti giornaliero che parte da Uranopoli. Secondo il censimento greco del 2001 il paese contava 38 abitanti.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dafni.\n\nCollegamenti esterni.\n(EN) Dafni su macedonian-heritage.gr, su macedonian-heritage.gr.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dafni (mitologia).\n### Descrizione: Dafni (in greco antico: Δάφνις?, Dáphnis) è un personaggio della mitologia greca, figlio della ninfa Dafnide e del dio Ermes, nato in un bosco di alloro vicino alla vallata del fiume Irminio nel ragusano.\n\nMitologia.\nIn certe versioni del mito diventa l'amato pederastico di Hermes, piuttosto che suo figlio: Dafni è descritto e mostrato allora come un eromenos.\nFamoso per la sua bellezza, di lui si presero cura Apollo, Pan e Artemide e dagli stessi apprese molte cose, fra le altre a comporre poesie bucoliche.Divenne un pastore esperto e fu amato dalla ninfa Achenais, che gli fece giurare di non esserle mai infedele. La rivale di Achenais, Chimera, riuscì però a sedurre Dafni ubriaco, così che la ninfa lo punì privandolo della vista. Dafni concluse i propri giorni intonando tristi pastorali, di cui è considerato l'inventore. Cercò di uccidersi buttandosi da una rupe (la Rocca di Cefalù), ma il dio Dioniso lo salvò trasformandolo in pietra.\nUn'altra versione del mito dà alla ninfa napea il nome di Nomía, alla quale è anche attribuita la trasformazione di Dafni in statua di pietra presso Cefalù.\nSecondo il Ciaceri la leggenda di Dafni è uno di quei casi in cui un culto indigeno preesistente è stato trasformato ed adattato dalla civiltà greca. Dafni ci si presenta infatti come la personificazione della vita pastorale degli antichi Siculi (Emanuele Ciaceri, Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia).\n\nOmonimia.\nQuesto Dafni non va confuso con l'omonimo protagonista del romanzo Gli amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista tradotto da Annibale Caro.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Daita.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Daita con il fratello Tieste erano due abitanti dell'isola di Lesbo di cui si raccontano le gesta.\n\nIl mito.\nI due fratelli vengono ricordati per aver tenuto cura di un uovo, da cui nacque un uomo devoto al dio del divertimento Dioniso. Il ragazzo si chiamava Enorco ed eresse un tempio.\n\nPareri secondari.\nViene ricordato anche per essere il padre di Machereo, il sacerdote di Delfi, ma potrebbe trattarsi di omonimia.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Damaseno.\n### Descrizione: Damaseno, nella mitologia greca, era uno dei Giganti che presero parte alla Gigantomachia, costruendo una scala verso il Monte Olimpo ammucchiando una montagna dietro l'altra spinti dalla madre Gea. Essi nacquero dal sangue di Urano quando Crono lo evirò.\nFiglio di Gea e Tartaro, Damaseno ricevette l'ordine da Gea di spodestare Ares, ma questi si ribellò al suo destino poiché, nascendo come opposto del dio della guerra, crebbe pacifista. Si dedicò alla vita agricola, vivendo come un pastore.\nUn giorno sentì le grida di un suo amico in pericolo, e corse ad aiutarlo. Lo trovò attaccato da un dragone memoniano, e corse in suo aiutò uccidendo il drago. Gea e Tartaro allora lo punirono facendolo cadere nel Tartaro, profondo abisso negli Inferi. Qui, il gigante, avrebbe dovuto condurre una vita da agricoltore, la vita misera che aveva scelto. E, ogni giorno, un dragone memoniano sarebbe venuto ad attaccarlo, rinascendo dopo la morte del giorno prima.\nIn questo modo Damaseno non avrebbe mai trovato pace.\n\nInfluenza culturale.\nDamaseno appare nel libro Eroi dell'Olimpo: la casa di Ade, il quarto della serie Eroi dell'Olimpo, che a sua volta segue quella di Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo. I protagonisti, Percy Jackson e Annabeth Chase, lo incontrano sul fondo del Tartaro. Viene poi anche citato in Eroi dell'Olimpo: il sangue dell'Olimpo.\n\nVoci correlate.\nDragone memoniano.\nAde (regno).
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Damia.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Damia era il nome di una divinità dedita alla fertilità.\n\nNel mito.\nSi tratta di una divinità venerata in molte zone della Grecia e a Taranto insieme con la dea Auxesia. Entrambi questi nomi vengono anche considerati degli appellativi sia di Demetra, che di Bona e di Persefone.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Damnameneo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Damnameneo (greco antico: Δαμναμενευς, Damnameneus, ovvero 'soggiogatore dei metalli') era uno dei Dattili, le divinità associate alla dea Rea e alla lavorazione dei metalli. Tra essi rappresentava l'attrezzo del martello, mentre i suoi fratelli Acmone e Chelmi rappresentavano rispettivamente l'incudine e il coltelloCon il nome di Damneo, che presenta la stessa etimologia, è indicato da Nonno di Panopoli anche come uno dei Coribanti e dei Cureti, divinità collegate e spesso identificate con i Dattili.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Damone e Finzia.\n### Descrizione: Damone (in greco Δάμων, Damon) e Finzia (in greco Φιντίας, Phintias) sono due protagonisti di una leggenda greca che simboleggia la fiducia e la lealtà in un rapporto di vera amicizia. La storia è di Aristosseno, giuntaci tramite Giamblico nel De vita pythagorica; dopo di lui, la leggenda è stata riportata da diversi altri, fra i quali Cicerone (nel De officiis), Valerio Massimo (nei Factorum et dictorum memorabilium libri IX) e Diodoro Siculo.\n\nLeggenda.\nNel IV secolo a.C., Finzia e Damone, due cari amici e seguaci del filosofo Pitagora, si recano a Siracusa; qui, Finzia contesta il dominio tirannico di Dionisio il Giovane, e viene quindi condannato a morte (secondo altre versioni, l'accusa è falsa, orchestrata dai cortigiani di Dionisio per mettere alla prova l'amicizia dei due).\nFinzia chiede che gli sia permesso di fare ritorno per un'ultima volta a casa, per salutare la sua famiglia e disporre delle sue cose, ma Dionisio rifiuta, convinto che se gli fosse stato concesso, Finzia avrebbe colto l'occasione per fuggire. Damone si offre allora di prendere il posto di Finzia mentre questi è via: Dionisio accetta, a condizione che, se Finzia non avesse dovuto fare ritorno, Damone sarebbe stato giustiziato al suo posto.\n\nDamone accetta le condizioni, e Finzia parte; tuttavia, il tempo passa e Finzia non ritorna. Giunto il giorno dell'esecuzione, Dionisio dà il via ai preparativi per uccidere Damone, deridendolo per la sua malriposta fiducia; Damone rimane però convinto che l'amico farà ritorno, e infatti appena prima che il boia esegua il suo compito, Finzia arriva sulla scena. Scusandosi con Damone per il ritardo, Finzia spiega che la nave su cui si trovava per tornare a Siracusa era stata colta da una tempesta, e poi dei banditi l'avevano aggredito lungo la strada, ma era riuscito ad arrivare giusto in tempo.\nStupito e compiaciuto da questa prova di forte lealtà, Dionisio decide di perdonarli entrambi, e chiede anche di poter diventare a sua volta loro amico.\n\nOpere derivate.\nLa leggenda ha ispirato un buon numero di opere letterarie, teatrali e cinematografiche; già nel XVI secolo Richard Edward compose l'opera Damon and Pythias (nella quale cambiò il nome del secondo personaggio da Phintias a Pythias, forma che prese piede nei paesi anglofoni); del 1800 è Damon and Pythias: A Tragedy in 5 Acts, di John Bynum, mentre nel 1908 viene prodotto da Otis Turner il film muto Damon and Pythias, di cui lo stesso regista realizzerà un remake omonimo nel 1914. Nel 1962 viene realizzato il peplum Il tiranno di Siracusa, conosciuto anche come Damon e Pitias.\nSchiller nel 1799 scriverà la ballata Die Bürgschaft che ispirerà poi Schubert mettendola in musica e persino lo scrittore giapponese Osamu Dazai che scriverà il racconto Corri Melos.\nUna vicenda simile a quella del mito è presente nel film d'animazione della Dreamworks Sinbad - La leggenda dei sette mari.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Danai.\n### Descrizione: Danai è un termine usato come sinonimo di Greci, i quali facevano parte dei Popoli del Mare. Letteralmente significa 'la stirpe di Danao'. Secondo la leggenda Danao era il re di Libia, fratello gemello di Egitto, re dell'Egitto. Dopo varie vicissitudini scappò dal fratello verso occidente, approdando ad Argo in Grecia. Essi sono stati citati nelle lettere di Amarna del XIV secolo a.C., come eventuale riferimento alla 'Terra della Danuna' situata vicino Ugarit.È un epiteto perlopiù generico: Danai può significare 'occidentali', in contrapposizione agli 'orientali' Troiani. Nell'Iliade di Omero, gli attaccanti greci sono descritti con tre differenti nomi, spesso usati come sinonimi: Argivi (in greco antico: Ἀργεῖοι?, Argéioi), Danai (Δαναοί) e Achei (Ἀχαιοί).\nÈ frequentemente utilizzato da Virgilio nell'Eneide, nella celebre frase di Laocoonte, o ad esempio quando Didone chiede a Enea di narrargli l'origine delle insidie dei Danai («…et a prima dic, hospes, origine nobis / insidias, inquit, Danaum…» I 753-754). Il poeta latino utilizza l'epiteto con riferimento alle arti subdole degli Achei, discendenti di Danao, che aveva ordito il complotto per uccidere gli Egiziadi, suoi nipoti e generi.\n\nImpero ittita.\nI danai nella regione storica turca della Cilicia sono stati identificati come la popolazione di Adana, il termine veniva già utilizzato dal tardo impero ittita. Si ritiene che essi si siano insediati a Cipro. I sovrani di Adana facevano parte della 'Casata dei Mopsos', che deriva dalla lingua luvia 'Moxos' e dal fenicio 'Mopsos'. Solitamente venivano chiamati anche Dananiyim. Può riferirsi all'area della Mopsukrene (dal greco Mopsus che significa 'fontana' oppure 'cuore') e della Mamistra.\n\nIncursioni in Egitto.\nMar Egeo.\nTribù di Dan.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Danaidi.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, le Danaidi erano le cinquanta figlie di Danao, re di Libia, protagoniste di mitologiche vicende da cui sarebbe derivata l'origine del popolo dei Danai, cioè i Greci. Queste vicende si intrecciano con l'antagonismo fra Danao e il suo fratello gemello Egitto, re d'Egitto e padre di cinquanta figli maschi, gli Egittidi.\n\nMito.\nLe sorelle erano figlie di diverse madri, tra le quali Polisso e Pieria. Esse, rifiutandosi di sposarsi con i propri cugini, fuggirono con il padre ad Argo, ma i giovani le inseguirono e le costrinsero al matrimonio. Danao diede ad ognuna l'ordine di uccidere il proprio marito la prima notte di nozze. Tutte obbedirono eccetto Ipermnestra, che aveva sposato Linceo. In seguito Danao fece sposare le altre quarantanove figlie con principi e gente del luogo dando origine ai Danai. Linceo non tarderà a vendicare i suoi fratelli uccidendole tutte e risparmiando dalla morte la sola Ipermnestra.\nNegli inferi, le Danaidi vennero rinchiuse nella zona del Tartaro e furono condannate da Zeus a riempire d'acqua una gran botte che aveva il fondo bucato, così, quanta acqua vi versavano, tanta ne usciva. L'odierno modo di dire 'botte delle Danaidi' o 'vaso delle Danaidi' è usato in riferimento a progetti o azioni faticosi ma presumibilmente non concludibili.La leggenda delle Danaidi fu d'ispirazione per la tragedia Le Supplici di Eschilo.\n\nNomi.\nSegue un elenco di alcune delle Danaidi conosciute:.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Danao.\n### Descrizione: Danao (in greco antico: Δαναός?, Danaós) è un personaggio della mitologia greca. Fu un re della Libia e di Argo.\nIl suo mito corrisponde alle leggende della fondazione (o rifondazione) della città di Argo che fu una delle principali città della civiltà micenea nel Peloponneso.\nNell'Iliade inoltre, il nome Danai, così come quello di Achei, designa le forze greche che nella guerra di Troia erano opposte ai Troiani.\n\nGenealogia.\nFiglio di Belo e di Anchinoe, sposò Polisso e Pieria ed ebbe le amanti (o concubine) Elefantis, Europa (una regina od una figlia di Nilo), le amadriadi Atlantia e Febe, Menfi, Erse, Crino, Melia ed infine una donna senza nome e proveniente dall'Etiopia.\nDa queste donne (o da alcune di loro) Danao divenne padre di cinquanta figlie, dette le Danaidi.\n\nMitologia.\nFratello di Egitto, ebbe dal padre il regno di Libia mentre ad Egitto spettò l'Arabia ma i due litigarono e Danao, temendo i figli del fratello (detti Egittidi), seguì il consiglio di Atena di costruire una nave e di fuggire con le sue figlie, cosa che fece approdando a Rodi per poi stabilrsi a Lindo, luogo dove dedicò una statua ad Atena. Tre delle sue figlie morirono durante la permanenza a Rodi mentre le altre lo seguirono quando si spostò ad Argo.\nAd Argo vinse il re Pelasgo (noto anche come Gelanore), gli successe al trono e chiamò gli abitanti come sé stesso (Danai).\nDanao temeva ancora gli Egittidi ma quando loro giunsero ad Argo per chiedere le sue figlie in spose e per cessare l'inimicizia, sulle prime acconsentì ma dopo aver indetto una festa, diede alle sue figlie dei pugnali per uccidere gli Egittidi durante la notte successiva. Tutte obbedirono eccetto Ipermnestra che, scelta da Linceo per quella notte, lo salvò perché aveva rispettato la sua verginità.\nDanao sulle prime mise Ipermnestra in carcere ma in seguito, dopo che le altre sorelle furono purificate dagli omicidi, la unì in matrimonio con Linceo e fece sposare le altre ai vincitori di una gara atletica.\nAd Argo dedicò un tempio ad Apollo.\n\nDanao, l'acqua ed i pozzi.\nApollodoro racconta che, una volta giunto ad Argo, Danao scoprì che il paese era senz'acqua, poiché 'Poseidone aveva prosciugato persino le sorgenti per la rabbia di Inaco, che aveva testimoniato che la terra apparteneva ad Hera', e che mandò le sue figlie ad attingere acqua.\nSecondo Plinio il Vecchio, Danao potrebbe aver introdotto in Grecia l'utilizzo dei pozzi per attingere l'acqua dal sottosuolo (già diffusi in Egitto ed in altri paesi molto tempo prima). Plinio osserva anche che il termine dipsion (sete), che doveva essere stato applicato al distretto di Argo prima dell'arrivo di Danao, poteva dimostrare che gli abitanti non conoscessero alcun mezzo per rifornirsi di acqua nonostante la zona fosse ben fornita di acqua.\n\nLetteratura.\nLe vicende di Danao e Egitto sono state rappresentate da Eschilo in una sua tragedia: Le supplici.\nNell'Iliade di Omero gli Achei vengono chiamati anche Δαναοί (della tribù di Danao). Anche nell'Eneide (II, 49) di Publio Virgilio Marone i Greci tutti vengono chiamati così, come nella famosa frase: Timeo Danaos et dona ferentes ('temo i Greci anche quando portano doni').
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dardanelli.\n### Descrizione: Lo stretto dei Dardanelli (in turco Çanakkale Boğazı), anticamente chiamato Ellesponto (nella letteratura classica è noto come Hellespontus, Hellespontium Pelagus, Rectum Hellesponticum, o Fretum Hellesponticum), è uno stretto che collega il mar di Marmara all'Egeo e che, assieme allo stretto del Bosforo, fa da confine fra Europa e Asia.\n\nDescrizione.\nLa larghezza minima dello stretto è pari a 1250 metri, mentre quella massima è di 8 km; in tutto è lungo circa 62 km. La profondità media si attesta sui 60 m, la massima 100 m. Il nome Dardanelli deriva da Dardania, l'antica terra sulla sponda asiatica dello stretto che a sua volta prende il nome da Dardano, il mitico figlio di Zeus e di Elettra.\nIl nome Ellesponto, che letteralmente significa 'mare di Elle', deriva invece da un altro mito: Elle, sorella di Frisso e figlia di Atamante e Nefele, durante il viaggio verso la Colchide in groppa all'ariete dal vello d'oro giunto per trarli in salvo da un sacrificio, cadde in questo braccio di mare che da allora prese nome di Ellesponto.\nLungo le coste dei Dardanelli si trovano varie antiche città: nella parte europea si trovano Eleunte, Maidos, Sesto, Gallipoli; nella parte asiatica si trovano Troia, Dardano (odierna Çanakkale), Abido, e altre.\n\nStoria.\nIn virtù della sua rilevanza strategica, sono numerosi gli episodi storici correlati allo stretto dei Dardanelli.\nFra le prime vicende storiche che riguardano lo stretto, come si apprende da Erodoto, vi è il passaggio del re persiano Serse, figlio di Dario, e del suo enorme esercito nel 480 a.C., in occasione delle guerre persiane. L'attraversamento dello stretto avvenne grazie a due ponti di barche, sacrileghi per gli antichi Greci, poi distrutti da una tempesta e ricostruiti. In quell'occasione il tratto di mare subì l'ira del re persiano che gli inflisse la pena della fustigazione, nota appunto come flagellazione dell'Ellesponto.\nIn seguito anche Alessandro Magno attraversò lo stretto in senso opposto. Una battaglia combattuta presso i Dardanelli fu quella che nel 323 d.C. vide Crispo, figlio diciassettenne di Costantino e della prima moglie di questi, Minervina, sconfiggere e catturare Licinio. La Repubblica di Venezia si scontrò diverse volte con la flotta ottomana in particolare va menzionata la Battaglia di Gallipoli del 1416 o la Spedizione veneziana dei Dardanelli nel 1654 che sconfisse la flotta turca. Altre battaglie combattute nella zona furono la battaglia di Elli (1912) nel corso della Prima guerra balcanica e la campagna dei Dardanelli (1915-1916) nel corso della prima guerra mondiale.\nIl 20 luglio 1936 con la Convenzione di Montreux, Francia, Turchia, Bulgaria, Giappone, Grecia ed Unione Sovietica, si accordano circa il nuovo regime di navigazione degli stretti (Stretto dei Dardanelli, Mar di Marmara e il Bosforo sono tutti accomunati nella denominazione di Stretti). Il principio base affermato nella Convenzione è quello di riconoscere, nel quadro della sicurezza della Turchia e degli Stati rivieraschi del Mar Nero, la completa libertà di transito delle navi mercantili di qualsiasi bandiera in tempo di pace, mentre in tempo di guerra la libertà di passaggio e navigazione per i mercantili è limitata ai Paesi non in conflitto con la Turchia, chiaramente qualora la Turchia sia uno Stato belligerante.\nIn tal caso il transito è permesso solo di giorno, e rispettando rotte obbligate. Per quanto riguarda invece le navi da guerra, è sancito l'obbligo di informare il Governo turco otto giorni prima del transito, e solo per le navi inferiori alle 15000 tonnellate. Possono superare tale limite solo i paesi rivieraschi del Mar Nero, purché le navi passino singolarmente. Per i sottomarini è consentito il passaggio solo se di paesi rivieraschi, e solo se costruiti ed acquistati all'estero. La Convenzione non contiene alcuna disposizione che autorizzi espressamente il transito delle navi portaerei.\nIl controllo dello Stretto dei Dardanelli è stato causa scatenante e significativa della crisi all'origine della Guerra Fredda nel 1946. La Turchia, infatti, fu appoggiata dagli Stati Uniti d'America nel contrasto con l'Unione Sovietica.\n\nMitologia.\nFra i miti riguardanti i Dardanelli, oltre a quello che riguarda l'etimologia del nome dello stretto, c'è anche quello di Ero e Leandro. Più recentemente, sulle orme di quest'ultimo, ad attraversare a nuoto l'Ellesponto è stato Lord Byron.\n\nVoci correlate.\nBosforo.\nArtace (Misia).\nPonte dei Dardanelli.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Dardanelli.\n\nCollegamenti esterni.\n\nDardanelli, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.\nEllesponto, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.\nDardanelli, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.\n(EN) Dardanelles, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dardania (Asia minore).\n### Descrizione: La Dardania era una regione mitica esistente nell'Asia minore da cui si dice provenissero gli abitanti di Troia.\nSi situa nell'odierna Turchia, nella provincia di Çanakkale, sulla riva asiatica dell'Ellesponto, cioè dello stretto dei Dardanelli da cui deriva il nome. È a sud-ovest della città antica di Abido.\n\nStoria mitologica.\nSecondo Apollodoro ed Omero, Dardano, figlio di Zeus, fondò la città di Dardania nella regione dopo aver approdato dalla vicina isola di Samotracia.\n\nI Dardani.\nOmero scrive che le popolazioni locali, i Dardanoi, non avevano città e vivevano semplicemente sulle pendici del monte Ida. Apollodoro assimila queste tribù al popolo del re Teucro, ritenuto il primo re mitico della Troade. Dardano gli succederà, sposandone la figlia Batea, tant'è che il popolo assumerà il nome di 'dardani'. Anni più tardi, la città di Troia venne fondata dal pronipote di Dardanio, Ilo. Secondo alcuni autori, il primo nome di Troia fu proprio Dardano.Sovente gli autori tardi usano indistintamente i termini 'troiano'e 'dardanio' per indicare il popolo abitante la Troade. Ciononostante, sia Omero che Apollodoro li considerano due gruppi distinti, come lo sottolineano i seguenti versi del Catalogo Troiano:.\n\nStoria antica.\nErodoto menziona la Dardania come uno dei territori dell'Ellesponto conquistati dai persiani dopo la Rivolta ionica dell'anno 498 a.C.Anni più tardi, la Dardania entrò a far parte della Lega delio-attica ed appare nei registri dei tributi versati ad Atene fra gli anni 451 e 429 a.C., oltre che nel registro di valutazione dei tributi dell'anno 425 a.C. La Dardania fu quindi teatro della battaglia di Cinossema nella parte finale della Guerra del Peloponneso, che vide vincere la Lega delio-attica contro la flotta spartana nel 411 a.C.Durante la guerra dei romani contro Antioco III e lega etolica, le città di Dardania, Eleunte e Reteo inviarono ambasciate per porsi sotto la protezione di Roma. Con la Pace di Apamea dell'anno 188 a.C., i romani dichiararono Dardania città libera.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dascilo (figlio di Lico).\n### Descrizione: Dascilo (in greco antico: Δάσκυλος?, Dáskylos) è un personaggio della mitologia greca, nipote di Dascilo e pronipote di Tantalo.\n\nMitologia.\nA quell'epoca si era soliti dare il nome del proprio padre al proprio figlio e questo è il caso di Dascilo.\nDurante il loro viaggio gli Argonauti giunsero all'isola di Mariandine, luogo su cui suo padre Lico, regnava. Poco prima gli Argonauti avevano ucciso Amico, uno dei rivali del re, ed egli per ricompensarli offrì loro l'aiuto di Dascilo, che ben conosceva la Colchide, il luogo dove gli eroi erano diretti.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dattili.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, i Dattili (in greco antico: Δάκτυλοι, Dáktuloi, ovvero 'Dita') erano un gruppo di antiche divinità, associate alla dea Rea e alla metallurgia. Erano a volte identificati con i Cureti.\n\nMitologia.\nNascita.\nSecondo una versione, mentre stava partorendo Zeus, Rea presa dal dolore poggiò le sue dita a terra, premendole con tanta forza che uscirono fuori i Dattili. Cinque maschi dalla mano destra e consequenzialmente, cinque femmine dall'altra mano. In un'altra versione, i Dattili vivevano sul monte Ida molto tempo prima rispetto alla nascita di Zeus. Oppure, nella versione di Apollonio Rodio, la ninfa Anchiale li diede alla vita nella grotta del Monte Ditte. Mnasea, nel libro Sull'Asia, dice che si chiamarono in questo modo perché il loro padre era Dattilo e la madre Ide; l'autore della Foronide scrive così: «lì avevano dimora gli incantatori Idei, frigi, uomini dei monti, Chelmide, Damnameneo e il possente Acmone, destri servitori della montana Adrastea, che per primi trovarono l'arte dell'astuto Efesto tra le balze montane, lo scuro ferro, e lo posero sulla fiamma e mostrarono un'opera eccellente».\nI fratelli dattili erano bravissimi fabbri, infatti furono i primi a scoprire il ferro, in un monte a loro vicino, il Berecinzio.\nInvece le loro sorelle, stabilitesi a Samotracia, avevano maestria nell'arte della magia e iniziarono Orfeo al mistero della dea.\n\nNomi e numero.\nSecondo la tradizione più antica, testimoniata da uno scolio al primo libro di Apollonio Rodio, i Dattili erano:.\nAcmone: l'incudine.\nDamnameneo: il martello.\nChelmi: il coltelloIn un altro passaggio, lo stesso autore aggiunge Tizia e Cilleno, portando il loro numero a cinque.Anche secondo la versione di Pausania, i Dattili erano cinque, e rappresentavano le dita della mano:.\nEracle: il pollice, da non confondere con il più famoso Eracle, figlio di Zeus e Alcmena;.\nEonio (o Peonio): l'indice.\nEpimede: il medio.\nGiasio (o Iasio): l'anulare.\nAcesida (o Ida): il mignoloSi dice anche che fossero sei e cinque, destri i maschi e mancine le femmine. Ferecide racconta invece che i destri erano venti e i mancini trentadue. Erano stregoni e incantatori, e Ferecide racconta chi di loro faceva gli incantesimi era mancino, chi li scioglieva era destro.\nCome sostiene Ellanico, furono chiamati Dattili perché mentre vivevano sull'Ida incontrarono Era e le toccarono le dita.\nAltri sostengono invece che i Dattili erano i Cureti, che difesero il dio Zeus quando in tenera età si trovava a Creta e per scampare alla furia di Crono subito eressero a lui un tempio.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: De bello Troiano.\n### Descrizione: Daretis Phrygii Ilias De bello Troiano ('L'Iliade di Darete Frigio: sulla guerra troiana') è un poema epico in latino, scritto attorno al 1183 dal poeta inglese Giuseppe Iscano. Racconta la storia dei dieci anni della Guerra di Troia come era conosciuta in Europa durante il medioevo occidentale. L'antica epica greca sul soggetto, l'Iliade, era inaccessibile; al suo posto, le fonti disponibili includevano i “diari“ fittizi di Ditti Cretese e Darete Frigio.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dea Iblea.\n### Descrizione: La dea Iblea è una divinità femminile sicula attestata in Sicilia orientale e menzionata unicamente da Pausania nella sua opera Viaggio in Grecia Pare che fosse una divinità di origine sicana e in un secondo momento introdotta nel pantheon siculo.\nPausania afferma l'esistenza di un tempio, nella Ibla che egli chiama la Gereatis, dedicato a una dea Iblea venerata dai popoli barbari di Sicilia, ma poiché egli tace il nome di questa divinità, tutti i derivati odierni, come l'appellativo di «dea Ibla», rimangono pure congetture.Lo storiografo palermitano Filippo Paruta, nel suo trattato seicentesco Della Sicilia descritta con medaglie, sostiene di aver individuato una dea sicula, che egli chiama Ibla, in una moneta raffigurante la testa della divinità avvolta da un velo, in un contesto iconografico già di epoca greca (III sec. a.C.).\nInoltre, secondo diversi autori alcuni versi del Pervigilium Veneris indicano senza dubbio che nel poema celebrativo del trionfo dell'amore, della primavera e della fecondità, Venere ordina a una dea (Hybla) di fare parte della sua corte e di vestirsi di fiori, tanti quanti ricoprono la campagna etnea.\nSicuramente, dati gli studi sul materiale archeologico riscontrato nei siti siculi o greco-siculi, il popolo dei Monti Iblei aveva una particolare devozione per i culti potniaci, cioè quelli incentrati sulle divinità della terra, in particolare la Grande Madre. Infatti, proprio a Megara Hyblaea è stata rinvenuta una statua della Grande Madre che allatta due gemelli, divinità che potrebbe essere identificata con la dea Iblea nominata da Pausania. Lo confermerebbe il toponimo della città di Megara, a cui è aggiunto l'aggettivo greco 'Hyblaia', che potrebbe significare 'della dea Hybla'. Molti storici sono concordi nell'affermare che anche il nome di Hybla Heraia deriva dalla dea Hybla. Si ipotizza dunque che fosse una divinità della fertilità, protettrice dei campi e della coltivazione dei cereali, con riferimento anche alla Flora romana.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dea dei serpenti.\n### Descrizione: La Dea dei serpenti è una dea della civiltà minoica, riferibile a rituali della fecondità, figura ricorrente della scultura minoica. È spesso in maiolica, di altezze varianti dai 29,5 cm ai 38,5 cm. Sono state reperite nella camera sotterranea del tesoro del santuario centrale del palazzo di Cnosso, del medio minoico. La datazione è 1600-1580 a.C.\nLa statuetta ha il tipico abito a falde ricadenti, bloccato ai fianchi da un elemento a sella che sembrerebbe realizzato in stoffa più pesante. Uno stretto corpetto, che comprime e lascia scoperti i seni, questo elemento coi seni scoperti è tipico delle sacerdotesse, cinge anche la parte superiore delle braccia. Le mani della dea stringono due serpenti, abitanti della terra e portatori a volte di morte, mostrandoli all'osservatore.\nÈ una statuina di ceramica smaltata,questa tecnica permette di variare i temi decorativi, mentre la superficie rimane brillante e luminosa.\nSi è soliti considerarla un’immagine di divinità ctonia (dal greco chthon, “terra”) cioè legata al culto delle forze sotterranee e degli inferi.\n\nIdentificazione con la Dea Madre cretese.\nLa Dea dei serpenti è spesso vista come la Dea Madre cretese, divinità femminile venerata da almeno il 3000 a.C. fino al 1200 a.C. legata alla fertilità e alla vita, ma anche alla morte, ed identificata dagli antichi greci con Potnia theron.\nLa religione cretese vuole che la Dea Madre abbia guidato il suo popolo lontano dalla loro terra originaria per condurli altrove, ma non trovando ospitalità per il suo popolo in nessuna terra.\nLa Dea, allora, creò Creta e vi fece stabilire coloro che la veneravano.\nA Creta sono state trovate statue di dee con serpenti in mano, ma anche statue di dee con altri simboli; fra queste ricordiamo la Dea dei Papaveri e la Dea della Morte. Alcuni pensano che siano varie dee, ma prevale l'ipotesi che quelle divinità siano aspetti di un'unica Dea Madre invocata con diversi nomi e attributi a seconda della richiesta.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dea di Taranto.\n### Descrizione: Dea di Taranto è il nome convenzionale attribuito ad una statua in marmo, capolavoro della scultura greca, detta anche Divinità in trono, datata intorno al 480 a.C., che secondo gli esperti rappresenterebbe una dea greca, probabilmente Persefone, Afrodite o Era. Proveniente da Taranto, oggi appartiene all'Antikensammlung Berlin, inventariata al Nr. SK 1761, ed è esposta all'Altes Museum nella Museuminsel di Berlino. Presso il Museo archeologico nazionale di Taranto, è presente una copia realizzata tramite scansione laser nel 2016 donata dall' Altes Museum, che riconobbe la paternità dell'opera alla città di Taranto.\n\nDescrizione.\nLa statua fu rinvenuta durante la costruzione di palazzi privati in via Duca degli Abruzzi a Taranto nel 1912. Da Taranto, espatriata con documenti falsi, fu messa all’asta in Svizzera e acquistata dall’Imperatore di Germania, Guglielmo II, per la consistente cifra di un milione di marchi. Secondo le teorie di alcuni studiosi, tra cui il professore Vincenzo Casagrandi, gli scrittori Gaudio Incorpora e Pino Macrì, e l'archeologo Paolo Orsi, sarebbe stata invece rinvenuta nei primi del '900 da un contadino in una vigna del territorio di Locri, in Calabria, dove sorgeva l'antica città di Locri Epizefiri, e in seguito fu trasportata di nascosto a Taranto. Tuttavia, la magistratura locrese aprì un'inchiesta che si chiuse subito, in quanto il contadino non venne ritenuto credibile. Non esiste infatti alcuna prova tangibile o documento che attesti l'effettiva appartenenza della statua all'area della locride.[1] Sia nella poleis di Taras (l'odierna Taranto) che in quella di Locri il culto di Persefone era ampiamente diffuso in epoca greca.\nFu anche battezzata Persefone Gaia, per il sorriso caratteristico delle statue del periodo arcaico, tuttavia l'assenza di qualsiasi attributo non permette alcuna affermazione certa su quale dea vi sia raffigurata.\nIl notevole peso della dea assisa in trono non è portato dalle esili ed elaborate colonnine, ma da un enorme cubo di marmo nascosto sotto il sedile. Ci sono solo poche tracce del colore della statua sul retro del trono, mentre piccoli fori di ingresso testimoniano la presenza di orecchini e diadema, oggi scomparsi.\nLa statua è caratterizzata da un aspetto solenne, in cui la rigida postura tipica dello stile arcaico si combina con un raffinato abbigliamento e con la serenità dell'arte tardo-arcaica o severa.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dedalione.\n### Descrizione: Dedalione (in greco antico: Δαιδαλίων?, Daidalíon) è un personaggio della mitologia greca, era figlio di Espero, il nome dato al pianeta Venere quando è visibile sull'orizzonte ad ovest subito dopo il tramonto) e fratello di Ceice. Nelle leggende è tratteggiato il suo carattere violento e bellicoso.\n\nMitologia.\nFu il padre di Chione che, innamoratasi di Apollo e poi di Hermes, destò la gelosia di Artemide che la uccise trafiggendola con una freccia.\nDedalione, sconvolto, si mise a vagare senza meta ed un giorno, giunto sulla sommità di un monte tentò il suicidio gettandosi nel vuoto, ma l'intervento di Apollo lo trasformò in un falco.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Deidamia (Händel).\n### Descrizione: Deidamia è un'opera lirica in tre atti di Georg Friedrich Händel (HWV 42), su libretto di Paolo Antonio Rolli basato su un precedente libretto di Metastasio.\nI primi due atti dell'ultima opera di Händel furono composti tra il 27 ottobre e il 7 novembre 1740, il terzo dal 14 al 20 novembre.\nLa prima assoluta ebbe luogo al Lincoln's Inn Fields Theatre di Londra il 10 gennaio 1741, replicata per 3 sere soltanto. Nell'occasione il ruolo della protagonista fu interpretato dal soprano Élisabeth Duparc, detta 'La Francesina'.\nL'opera è stata riesumata negli anni cinquanta del XX secolo (nel 1953 fu eseguita in lingua tedesca ad Halle sul Saale, città natale di Händel) ed è ancora occasionalmente rappresentata.\n\nTrama.\nIl giovane Achille, che si finge una fanciulla di nome Pirra, si trova nell'isola di Sciro, dove si innamora di Deidamia, figlia del re Licomede.\nUlisse, travestito da Antiloco, e Fenice, ambasciatore greco, si recano nell'isola per smascherare l'eroe e convincerlo a partecipare alla guerra di Troia.\nDurante una caccia, Achille svela la propria identità; quando Ulisse offre in dono alle fanciulle stoffe, gioielli e armi, Achille sceglie queste ultime e lascia Deidamia per seguire i greci alla guerra.\n\nDiscografia.\nRudolph Palmer (direttore), Palmer Singers, Brewer Chamber Orchestra - Julianne Baird (Deidamia), Máire O'Brien (Nerea), D'Anna Fortunato (Achilles), Brenda Harris (Odysseus), Peter Castaldi (Phönix), John Cheek (Licomede) - Albany Records (3 CD, 2001).\nAlan Curtis (direttore), il Complesso Barocco - Simone Kermes (Deidamia), Dominique Labelle (Nerea), Anna Maria Panzarella (Achilles), Anna Bonitatibus (Odysseus), Furio Zanasi (Phönix), Antonio Abete (Licomede) - Virgin (3 CD, 2003).\n\nVoci correlate.\nAchille a Sciro.\nComposizioni di Georg Friedrich Händel.\n\nAltri progetti.\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Deidamia.\n\nCollegamenti esterni.\nLibretto in formato pdf (PDF), su haendel.it. URL consultato il 25 novembre 2006 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2012).\nTrama e recensione su haendel.it, su haendel.it. URL consultato il 25 novembre 2006 (archiviato dall'url originale il 18 novembre 2006).
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Deidamia.\n### Descrizione: Deidamia (in greco antico Δηϊδάμεια) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Licomede re di Sciro.\n\nMitologia.\nSposò Achille mentre l'eroe era alla corte del padre, dove era stato celato dalla madre Teti sotto spoglie femminili affinché non partisse per la guerra di Troia; dal loro matrimonio nacque Neottolemo (detto anche Pirro).\nLa fanciulla fu abbandonata dall'eroe incinta del bambino, a causa dell'astuto stratagemma messo a punto da Ulisse per ottenere la partecipazione di Achille al conflitto. Deidamia concesse la partenza del figlio Neottolemo una volta che i capi Achei lo reclamarono ed al termine della guerra di Troia venne data in sposa ad Eleno figlio di Priamo.\nTalune tradizioni attribuiscono la maternità di Neottolemo alla figlia di Agamennone, Ifigenia.\nDante parla di Deidamia nei versi 61-62 del canto XXVI dell'Inferno, in riferimento all'inganno col quale Ulisse e Diomede scoprirono Achille mentre si trovava a Sciro: 'Piangevisi entro l'arte per che, morta, / Deïdamìa ancor si duol d'Achille'.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Deifonte.\n### Descrizione: Deifonte (in greco antico: Δηιφόντης?, Diifóntis) è un personaggio della mitologia greca. Fu un Eraclide ed un re di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglio di Antimaco, sposò Irneto e divenne padre di Antimene, Santippo, Argeo ed Orsobia.\n\nMitologia.\nFu consigliere di Temeno e comandante del suo esercito nonché lo sposo di sua figlia Irneto ed al momento della successione per il trono di Argo, si avvalse dell'appoggio dell'esercito ed ottenne il regno, dopodiché si stabili ad Epidauro assieme alla moglie incinta.\nMa Falche e Ciso (i figli di Temeno) tramarono contro di lui e cercarono di convincere sua moglie Irneto a lasciarlo ma poiché lei non credette alle loro calunnie e si rifiutò di seguirli, i due la rapirono caricandola sul loro carro e fuggirono.\nDeifonte li inseguì con il suo carro ed uccise Ciso con una freccia ma valutò che era troppo rischioso colpire anche Falche durante la corsa poiché che cingeva Irneto per trattenerla e così preferì cercare di raggiungerli piuttosto che rischiare di colpirla. Falche però, ben deciso a trattenerla, la strinse così forte che la uccise.\nDeifonte ed i suoi figli le costruirono un Heroon ad Epidauro dando al luogo dove Irneto morì il nome di Hyrmethium.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Deipile.\n### Descrizione: Deipile (in greco antico: Δηιπύλη?, Dēipýlē) o Deifile è un personaggio della mitologia greca. Fu una principessa di Argo.\n\nGenealogia.\nFiglia di Adrasto e di Anfitea (figlia di Pronace) o Demonassa, sposò Tideo e fu madre di Diomede.\n\nMitologia.\nFu la più giovane delle tre sorelle e fu data in sposa a Tideo (che aveva una pelle di cinghiale) dopo che il padre ebbe la rivelazione di dare la mano di due delle tre figlie ad un leone e ad un cinghiale.\nDante Alighieri la cita nel canto XXII del Purgatorio.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Delfi.\n### Descrizione: Delfi (in greco antico: Δελφοί?, Delphói) è un importante sito archeologico, nonché una storica città dell'antica Grecia, sede del più importante e venerato oracolo del dio Apollo, assieme a Didima.\nSituata nella Focide sulle pendici del monte Parnaso, a circa 130 km a nord-ovest da Atene e a 600 m s.l.m. all'incrocio di antiche vie di comunicazione. Nei tempi antichi si pensava che Delfi fosse il centro del mondo, quindi era sede dell'onfalo o ombelico del mondo.\n\nStoria del santuario.\nCentro abitato già in età micenea (XI-X secolo a.C.), Delfi mostra le prime tracce di un culto legato alla dea Terra (Gea) e al serpente Pitone a partire dall'VIII secolo a.C.. Successivamente subentra al culto di Gea quello del dio Apollo, detto Pizio, ossia vincitore di Pitone. Il culto si caratterizza per la richiesta di vaticini alla sacerdotessa di Apollo, la Pizia, che emetteva i responsi al centro del santuario, seduta su un tripode, dopo essere entrata in trance respirando il vapore che fuoriusciva da una fessura della terra. La tradizione vuole che Zeus avesse indicato il luogo di fondazione del santuario nel punto in cui due aquile, fatte volare da lui, fossero atterrate insieme. Questo punto identificava Delfi come il centro del mondo. I vaticini della Pizia erano spesso ambigui e oscuri, come quello dato al re di Lidia Creso.\nIl nucleo più primitivo del santuario risale al VII secolo a.C. e fu più volte ricostruito a seguito di incendi e fenomeni naturali, come i terremoti. I Giochi pitici cominciarono ad avere luogo tra il 591 e il 586 a.C., ma già poco dopo la sua fondazione il santuario era stato sede di competizioni poetiche.\nFin dalla sua fondazione l'oracolo divenne centrale nella vita sociale e politica dei Greci, come nel caso della Grande Colonizzazione dell'VIII-VII secolo a.C., durante la quale i responsi oracolari facevano da guida per i coloni. Rivestendo una così grande importanza venne fondato un ente per la salvaguardia della neutralità dell'oracolo, chiamato Anfizionia di Delfi. Nonostante questa precauzione, molte famiglie aristocratiche greche tentarono di accaparrarsene i favori, come nel caso dell'incendio del 548 a.C. che distrusse il santuario, ricostruito a spese della famiglia ateniese degli Alcmeonidi. La stessa Anfizionia di Delfi fu spesso al centro di eventi bellici chiamati guerre sacre (in totale quattro), la prima delle quali, di dubbia storicità, ebbe luogo all'inizio del VI secolo a.C..\nA partire dalla fine del VII secolo a.C. le città greche cominciarono a depositare presso il santuario i propri tesori votivi, ospitati in apposite 'cappelle' chiamate θησαυρόι thēsauròi, costruite a spese della città depositante, spesso non senza un valore propagandistico.\nPer tutta la durata del secondo grande conflitto della storia greca, la guerra del Peloponneso, il santuario fu sotto il controllo della città di Sparta.\nDal 357 al 346 a.C. si combatté la terza guerra sacra, che vide emergere la Macedonia come potenza dominante dell'Anfizionia di Delfi, egemonia confermata durante l'ultima guerra Sacra, la quarta (340-338 a.C.), che segnò inoltre, con la battaglia di Cheronea del 338 a.C., la definitiva egemonia della Macedonia sulle città greche.\nCon la battaglia di Pidna del 168 a.C., e la conseguente caduta della Grecia nel gruppo delle province romane nel 145 a.C., Roma impiantò stabilmente la propria influenza sul santuario, che venne ripetutamente restaurato dagli imperatori Augusto, Domiziano e Adriano.\nLa diffusione del Cristianesimo minò all'origine il prestigio del santuario apollineo, fino alla sua definitiva chiusura da parte dell'imperatore Teodosio I nel 394, anche se già nel 391 erano stati aboliti i culti pagani.\n\nAbbandono e riscoperta di Delfi.\nNonostante le sue vicende fossero scritte in tutte le opere degli antichi scrittori greci, per molti secoli Delfi venne dimenticata, persino nella sua ubicazione. Nel 1410 d.C. gli ottomani avevano esteso il loro dominio sulla Focide e quindi anche su Delfi, che poi rimase per secoli quasi disabitata.\n\nSolo nel 1436, in età umanistica, Ciriaco d'Ancona ritrovò il sito di Delfi, nel corso dei suoi viaggi marittimi alla ricerca delle testimonianze dell'epoca classica. Visitò Delfi in marzo e vi rimase per sei giorni. Registrò tutti i resti archeologici visibili basandosi per l'identificazione sul testo di Pausania. Descrisse lo stadio e il teatro, nonché alcune sculture. Ha anche registrato diverse iscrizioni, la maggior parte delle quali ora sono andate perdute.\nTra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo iniziò a formarsi un insediamento sul sito dell'antica Delfi, che alla fine finì per formare il villaggio di Kastri. Sembra che uno dei primi edifici dell'età moderna costruito sul sito dell'antica Delfi sia stato il monastero della Dormizione di Maria (o della Panagia), costruito sopra l'antica palestra.\nI primi scavi archeologici vennero avviati solo dopo la conquista dell'indipendenza da parte della Grecia. Sebbene il sito dell'antica Delfi fosse stato identificato in modo sicuro sin dal viaggio di Ciriaco d'Ancona, era molto difficile avviare uno scavo sistematico, poiché l'espropriazione di un intero villaggio era quasi impossibile date le magre finanze del neonato Stato greco. Nel 1840 e nel 1860 vennero eseguiti alcuni saggi di prova. Dopo un terremoto, il villaggio rimase per alcuni anni in abbandono. Nel 1880 Bernard Haussoulier, dell'École française di Atene, promise una somma di denaro per facilitare il trasferimento degli abitanti del villaggio nel sito della moderna città di Delfi e, in cambio, ottenne una concessione decennale per scavare il sito. Si stima che il villaggio fosse composto da circa cento case e duecento abitanti. Il primo monumento riscoperto fu la Stoà degli Ateniesi.\n\nI Giochi pitici.\nI Giochi pitici erano uno dei quattro Giochi panellenici dell'antica Grecia e si disputavano ogni quattro anni al santuario di Apollo a Delfi.\nErano fatti in onore di Apollo due anni dopo ogni edizione dei Giochi Olimpici, prima dei Giochi di Nemea e dopo i Giochi Istmici. Sono stati fondati all'incirca nel VI secolo a.C. e si sono svolti dal 582 a.C. fino al 384 d.C. A differenza dei Giochi Olimpici prevedevano anche competizioni per musicisti e poeti.\nLe competizioni sportive erano le stesse che erano disputate ad Olimpia.\n\nLe Soterie delfiche.\nLe Soterie delfiche erano le feste soterie più importanti e sono le meglio conosciute di tutto il mondo greco. Vennero istituite dopo la sconfitta dei Galli e del loro capo Brenno, che nel 279 avevano osato aggredire il santuario panellenico di Apollo a Delfi. Il loro nome deriva dal fatto che erano dedicate ad Apollo, chiamato con l'epiclesi di 'Soter' (salvatore), dato che la vittoria sui Galli era ritenuta un effetto della sua protezione.\nOltre agli agoni ginnici, comprendevano anche gare musicali e teatrali. Nel 243-242, gli Etoli dettero nuovo impulso alle Soterie, cercando di portarle al medesimo livello dei giochi pitici, che venivano celebrati nello stesso santuario delfico ogni cinque anni ed erano considerati giochi panellenici. Le Soterie delfiche ebbero la massima fama nella seconda metà del sec. III e nella prima del II.\n\nMitologia.\nIl fondatore di Delfi è il mitico re Delfo figlio di Poseidone e Melanto, per giacere con lei il dio dei mari si trasformò in un delfino il cui nome ha un evidente richiamo. Tuttavia il mito proprio di Delfi e dell'oracolo proviene dall'intervento di Apollo contro il drago-serpente Pitone figlio di Gea. Apollo decise di ucciderlo in quanto aveva insidiato sua madre Latona mentre era incinta di lui. Egli viveva nel monte Parnaso e Apollo con le sue frecce lo fece fuggire a Delfi che prendeva il nome da Delfine il drago-compagna di Pitone. Apollo lo inseguì anche nel tempio. La Madre Terra, oltraggiata, chiese l'intervento di Zeus che non soltanto ordinò ad Apollo di farsi purificare a Tempe, ma istituì i giochi pitici in onore di Pitone, costringendo Apollo a presiederli per penitenza. Apollo, dopo essersi purificato andò a cercare il dio Pan, da cui ottenne i segreti dell'arte divinatoria, divenendo il protettore e creatore dell'oracolo delfico costringendo la sacerdotessa, detta pitonessa o Pitia, a servirlo. L'impresa di Apollo poi gli meritò l'appellativo di Pizio o Pitico. Secondo un'altra versione Apollo saltò su una nave sotto forma di delfino e la condusse a Crisa, porto di Delfi. Qui saltò dritto al tempio in forma di giovane consacrando i Cretesi che facevano parte dell'equipaggio come sacerdoti.Sempre da Apollo proviene il mito della fonte Castalia che era una ninfa degli alberi e viveva nel monte Parnaso, Apollo la insidiò e lei si gettò dal Parnaso venendo trasformata in fonte. La suddetta fonte poi divenne celebre come luogo di ispirazione dei poeti.\nDelfi è anche il luogo in cui vennero seppelliti i resti di Zagreo, divinità figlia di Persefone e Zeus fatta a pezzi dall'invidia dei Titani. Qui è presente anche l'onfalo sia come che come concetto legato al mito, perché la città era considerata l'ombelico del mondo. L'onfalo era la pietra fatta ingoiare da Rea a Crono nascondendo così Zeus che divenuto adulto nell'intento di liberare i fratelli ingoiati dal padre fece bere una bevanda che lo fece vomitare. Oltre ai titani Crono sputò l'onfalo che cadde a Delfi.\nFlegias, la cui figlia Coronide fu sedotta e messa incinta da Apollo, per vendicarne poi la successiva morte tentò di incendiare il tempio di Apollo. Questo gesto non venne però perdonato tanto che il dio, dopo averlo crivellato di frecce, lo scaraventò nel Tartaro.\n\nIl significato religioso.\nIl nome Delphòi deriva dalla stessa radice di δελφύς delphýs, 'utero' e potrebbe indicare la venerazione arcaica di Gaia nel sito. Apollo è collegato al sito dal suo epiteto Δελφίνιος Delphìnios, 'il delfico'. L'epiteto è collegato ai delfini (greco δελφίς, -ῖνος) nell'Inno omerico ad Apollo (linea 400), che narra la leggenda di come Apollo venne per la prima volta a Delfi sotto forma di un delfino, portando sulla schiena i sacerdoti di Creta. Il nome omerico dell'oracolo è Πυθώ Pythṑ. Un'altra leggenda sostenne che Apollo si recò a Delfi da nord e si fermò a Tempe, una città della Tessaglia, per raccogliere il lauro (noto anche come albero della baia) considerata una pianta sacra. Per commemorare questa leggenda, i vincitori dei Giochi pitici ricevevano una corona di alloro colta nel Tempio stesso.\n\nDelfi divenne il sito di un importante tempio di Apollo di Febo, così come i giochi pitici e il famoso oracolo preistorico. Anche dell'epoca romana rimangono centinaia di statue votive, descritte da Plinio il Giovane e viste da Pausania. Scolpite nel tempio c'erano tre frasi: γνῶθι σεαυτόν (gnṑthi seautón = 'conosci te stesso') e μηδὲν ἄγαν (mēdén ágān = 'nulla in eccesso'), e ἐγγύα πάρα δ'ἄτη (engýā pára d'àtē = 'impegnati e il male ti sarà vicino'), Nell'antichità, l'origine di queste frasi fu attribuita a uno o più dei Sette Saggi della Grecia da autori come Platone e Pausania. Inoltre, secondo il saggio di Plutarco sul significato della 'E di Delfi' - l'unica fonte letteraria per l'iscrizione - c'era anche un'iscrizione (nel tempio) di una grande lettera E. Tra le altre cose, epsilon corrisponde al numero 5. Tuttavia, studiosi antichi e moderni hanno dubitato della legittimità di tali iscrizioni. Secondo una coppia di studiosi:.\nSecondo l'inno omerico all'Apollo Pitico, Apollo lanciò la sua prima freccia come fanciullo che effettivamente uccide il serpente Pitone, il figlio di Gaia, che custodiva il luogo. Per espiare l'omicidio del figlio di Gea, Apollo fu costretto a volare e spendendo otto anni in servitù prima che potesse tornare espiato. Ogni anno veniva organizzata una festa, la Septeria, in cui veniva rappresentata l'intera storia: l'uccisione del serpente, il volo, l'espiazione e il ritorno del dio.I Giochi Pitici avevano luogo ogni quattro anni per commemorare la vittoria di Apollo. Un altro festival di Delfi era la Teofania (Θεοφάνεια), un festival annuale in primavera che celebrava il ritorno di Apollo dai suoi luoghi invernali a Iperborea. Il culmine del festival era un'esibizione di un'immagine degli dei, di solito nascosta ai fedeli presso il santuario.La Theoxenia si teneva ogni estate ed era incentrata su una festa per 'dèi e ambasciatori di altri Stati'. I miti indicano che Apollo uccise il serpente ctonio Pitone, Pythia nei miti più antichi, ma secondo alcuni conti successivi sua moglie, Pizia, che viveva accanto alla sorgente Castalia. Alcune fonti dicono che egli uccise Pitone perché aveva tentato di violentare Leto mentre era incinta di Apollo e Artemide.\nQuesta sorgente scorreva verso il tempio ma scompariva di sotto, creando una fessura che emetteva vapori chimici che favorivano l'oracolo a Delfi in grado di rivelare le sue profezie. Apollo uccise Pitone ma dovette essere punito per questo, in quanto figlio di Gea. Il santuario dedicato ad Apollo era originariamente dedicato a Gea e condiviso con Poseidone. Il nome Pizia rimase come titolo dell'Oracolo di Delfi.\nErwin Rohde scrisse che il Pitone era uno spirito terrestre, che fu conquistato da Apollo e sepolto sotto l'onfalo, e che si tratta di una divinità che erige un tempio sulla tomba di un altro.\n\nIl sito archeologico superiore.\nIl complesso degli scavi si snoda lungo una via principale lastricata detta Via Sacra, che sale dalla fonte Castalia lungo il pendio del monte Parnaso.\nAl principio della Via Sacra sono ancora visibili i resti di tombe e simulacri d'età romana, testimonianza degli interventi che il santuario subì da parte degli imperatori romani dal I secolo a.C. al II secolo d.C.\nSalendo si incontrano le prime importanti vestigia di fattura greca, in particolare i resti dei thesauroi votivi delle città greche. Sebbene per la maggior parte non restino altro che le fondazioni, sono da segnalare due eccezioni: il Tesoro dei Sifni, ricostruito con copie dei materiali originali (i materiali autentici si trovano all'interno del Museo), e il Tesoro degli Ateniesi, ricostruito quasi completamente con i materiali originali.\nIl Tesoro dei Sifni (proveniente appunto dalla città di Sifno), costruito nel 530-525 a.C., era un tempietto ionico distilo in antis con due cariatidi in sostituzione delle colonne tra i muri laterali del pronao; offre sul lato nord (quello rivolto alla Via Sacra percorsa dal pellegrino che andava in cerca del responso dal dio della sapienza e delle arti) un importante fregio con la rappresentazione di una drammatica battaglia fra gli dei e i Giganti.\nNella parte più alta del sito si trova lo Stadio di Delfi, uno degli stadi meglio conservati della Grecia.\n\nIl tempio di Apollo.\nSalendo ancora lungo la Via Sacra si incontra il vero e proprio cuore del santuario, il Tempio di Apollo.\nI resti del tempio dedicato all'Apollo Delfico (Ἀπόλλων Δελφίνιος Apòllōn Delphìnios) della mitologia greca fanno parte, con il famoso teatro e lo stadio (in cui ogni quattro anni si svolgevano i giochi pitici che seguivano di tre anni l'Olimpiade e prendono il nome dalla Pizia, la sacerdotessa che pronunciava gli oracoli in nome di Apollo), del famoso sito archeologico visitato annualmente da migliaia di turisti.\nSull'architrave del portale al santuario (all'interno del quale ardeva l'ἄσβεστος φλόξ àsbestos phlox, fiamma eterna) erano riportate delle massime di sapienza, tra cui il celebre motto ΓΝΩΘΙ ΣΕΑΥΤΟΝ (gnōthi seautón) che significa 'conosci te stesso' e che sarà poi fatto proprio da Socrate. All'interno del recinto erano presenti delle statue, tra le quali due scolpite da Patrocle di Crotone.\nPer costruirlo venne riportata della terra dalla valle del Parnaso, che venne impiegata per costruire un terrapieno in cui il tempio potesse affondare le fondazioni. La Via Sacra costeggia il terrapieno e lungo il tratto di passaggio venne eretto il Muro Poligonale, sul quale molti pellegrini del santuario hanno lasciato iscritte nella pietra le loro intenzioni votive o i loro ringraziamenti al dio Apollo. Tra queste iscrizioni se ne è conservata una di grande valore storico e letterario. Si tratta dell'iscrizione di Gerone I, tiranno di Siracusa della famiglia dei Dinomenidi, che si recò a Delfi per ringraziare il dio per la sua vittoria nella corsa dei cavalli ai Giochi olimpici. Di questa vittoria parla anche il poeta Pindaro, in una delle sue odi Olimpiche.\nDi fronte al tempio si trova il teatro, scavato alle pendici della montagna, e proseguendo lungo la Via Sacra si arriva ai resti dello stadio.\n\nIl Santuario di Atena Pronaia.\nAl di là della gola Castalia, ai confini orientali della città, Atena Pronaia, cioè “colei davanti al tempio”, aveva il suo santuario. Su una terrazza lunga 150 m ma profonda soltanto 40 si allineavano cinque edifici tutti raggruppati verso Sud in maniera casuale e arbitraria, orientati verso il pendio: anzitutto il tempio più antico verso l'ingresso orientale nel peribolo circondato dalle mura di sostegno, due tesori, un edificio rotondo (la “tholos”) e infine il tempio più recente che sostituì un doppio edificio di non chiara destinazione, la cosiddetta “abitazione dei sacerdoti”. Anche questo santuario è venuto crescendo a poco a poco. Sotto il tempio più antico è stato trovato uno strato di doni votivi del secondo millennio che conteneva circa 200 idoli di creta di una divinità dalle braccia spalancate, la prima signora del luogo. Nell'VIII o VII secolo questo antichissimo luogo sacro fu circondato da un muro ricurvo ancora legato interamente al paesaggio. I muri di macigni poligonali grezzamente commessi ma accuratamente inzeppati sembrano avere, a prima vista, molti punti di contatto con le mura micenee, ma un abisso separa quelle opere ciclopiche innalzate per difesa dalla sottile commettitura delle nostre mura a piccole pietre che rivelano già la singolare disposizione dei loro costruttori a elaborare completamente anche l’elemento più semplice e rozzo.Nella seconda metà del VII secolo Atena ricevette il suo primo tempio (1), un periptero di cui sono conservati nelle fondamenta del tempio più recente, oltre ai resti di fondamenta poligonali, anche dodici capitelli di poros e dieci rocchi di colonne. Si tratta delle più antiche colonne doriche conservate al completo. Il loro fusto sottile (alto solo 3,35 m ovvero 6 volte e mezzo il diametro inferiore, con 16 scanalature) e l’echino piatto, molto slargato, quasi tornito non si accordano affatto con le colonne grevi e pesanti quali le conosciamo nel VI secolo. Esse ci fanno intuire qualcosa degli indizi, per noi perduti, della struttura del tempio. Una trabeazione di legno molto leggera era probabilmente sostenuta da queste colonnette molto distanziate, il fregio doveva essere formato da tavole di argilla policrome, quali le conosciamo da Thermos (Etolia), e le tavolette sporgenti del tetto sostenevano il geison ugualmente policromo decorato con antefisse e rivestimenti di argilla. Fu forse un tempietto del genere, diafano e arioso, che Apollo trasportò senza sforzo, attraverso l’aria, agli Iperborei dell’estremo Nord dei quali evidentemente non aveva grande fiducia come costruttori di un'abitazione divina.\nDopo la costruzione del tempio degli Alcmeonidi, anche nel Santuario di Atena fu ampliato il peribolo e alla fine del VI secolo fu innalzato un secondo tempio (m 13,25 x 27,46, 1:2). Racchiuso dalla stretta terrazza esso rinunciò all'opistodromo e per questo presenta solo dodici colonne nel fianco in confronto alle sei della facciata. L’insolito orientamento verso Sud è forse condizionato dalla struttura del suolo poiché l’altare principale, rivolto verso Oriente e circondato da piccoli altari dedicati a tutte le virtù soccorritrici di Atena, si trova davanti alla parte longitudinale del tempio.\nIl canone dorico è giunto qui alla sua formulazione quasi completa. Gli intercolunni angolari sono contratti, il fregio è scandito regolarmente. Le ali esterne delle pareti della cella si protendono avanti, avvicinandosi alle assi della seconda e della quinta colonna della facciata. Tuttavia alcune anomalie rivelano ancora l’incertezza arcaica: le interassi della facciata (m 2,49) sono più ampie di quelle della parte longitudinale (m 2,42), e invece dell’armonica tripartizione del basamento il tempio presenta solo due gradini. I capitelli appartengono a un grado di sviluppo un po’ più arcaico di quello del Tesoro degli Ateniesi.\nGià nel V secolo l’edificio fu danneggiato dalla caduta di massi: Pausania lo vide in rovina. Nel 1905 precipitò sulle rovine da poco dissotterrate una nuova frana che distrusse dodici delle quindici colonne ancora in piedi e sconvolse le fondamenta con forza titanica. Al nuovo tempio di Apollo fece seguito nel IV secolo l’erezione di un terzo tempio per la sorella olimpica, questa volta in posizione meno pericolosa, all'estremità Occidentale della terrazza (2). La costruzione, priva di decorazione, intagliata in materiale duro e freddo (calcare azzurro del Parnaso), senza il fasto del colore, senza sculture, presentava in luogo della ricca corona dell’atrio anulare soltanto nude pareti in tre lati e una fragile serie di colonne doriche sulla facciata; questo avaro complesso può forse apparire povero rispetto ai suoi predecessori finché l’occhio non si sia abituato a vedere quello che non è visibile, finché non si comprende che qui l’effetto è condizionato dalle proporzioni, dai rapporti delle parti fra di loro e delle parti con il tutto. In luogo della molteplice melodia del più antico edificio ascoltiamo qui un unico accordo, modulato con chiarezza.\nL’atrio è ampliato dal protendersi delle pareti laterali; tra le ante sono inserite snelle colonne ioniche a cui corrispondono semicolonne inserite nella parete senza ingombrare lo spazio. Già qui, e più forte ancora nella rinuncia alla peristasi a favore della spazialità della cella, si manifesta quella nuova esigenza di spazio interno. Questo edificio infatti è uno dei primi che non dev'essere giudicato solo dall'esterno, dalla struttura architettonica, ma anche dall'interno, dallo spazio che esso abbraccia.\nAi templi più antichi si collegano due tesori: una costruzione in antis dorica e il Thesauros di Massalia. Il tesoro dorico assomiglia talmente al Tesoro degli Ateniesi per materiale, tecnica e stile che si potrebbe supporre che sia stato eretto dagli stessi donatori alla Signora delle città. Le maestranze hanno evidentemente preso lo spunto dall'edificio nel recinto di Apollo costruito solo pochi anni prima: le interassi delle ante sono in questo caso contratte, il fregio a triglifi è scandito regolarmente e anche le cinque guttae della regula sono state sostituite dalle sei normali.\n\nL’edificio più sorprendente e più originale della terrazza è senza dubbio la Tholos costruita all'inizio del IV secolo: un edificio rotondo la cui cella circolare è circondata da una corona di 20 colonne doriche (diametro dello stilobate 13,50 m, della cella 8,60 m; altezza totale fino alla sima 8,32 m). L’idea del periptero rotondo corrisponde in pieno per il suo aspetto circolare, per la sua ricchezza di rapporti geometrici, molteplici e al tempo stesso concentrati, allo spirito della tarda antichità quale si manifesta in tre delle sue opere più preziose (oltre a questo edificio, la tholos di Epidauro e il Philippeion di Olimpia). Tuttavia essa non è nuova e proprio a Delfi furono trovate inserite nel Tesoro di Sicione le parti di un'insolita tholos dell’inizio del VI secolo. Si tratta evidentemente di uno dei primi tentativi della giovane architettura in pietra che sperimentava ogni sua possibilità: sopra le 13 colonne della peristasi corre un fregio di 30 triglifi e metope senza alcun rapporto con la peristasi stessa, un’assurdità unica in tutta la storia dell’architettura greca. Venti è anche il numero cardinale della tholos più recente. Ognuna delle 20 colonne ripete, con i 20 spigoli delle sue scanalature, la pianta. Nell'interno della cella corrispondono alle colonne esterne 10 colonne corinzie (una delle quali è soppressa per fare luogo all'ampia apertura della porta), che cadono nei raggi alternati dell’intercolunnio esterno.\nDappertutto si nota l’influsso delle opere di Ictino: il suolo della cella e lo zoccolo a strati delle colonne della cella stessa formano (costituite come sono di sicuro calcare eleusino) un nobile contrasto con il marmo pentelico della costruzione. Le colonne corinzie che hanno fatto il loro ingresso trionfale nel Tempio di Apollo Epicurio a Bassae, sono legate alla parete per non togliere allo spazio un’ampiezza sia pure modesta. Anche la copertura a cassettoni formata da rombi ha in Bassae il suo prototipo, tuttavia l’architetto della tholos, Teodoro di Focea, che scrisse un libro sopra questa sua opera, è tutt'altro che un artista poco indipendente come lo dimostrano anche i profili disegnati in modo fresco e originale (per esempio il kyma lesbio nella base della parete), i singolari capitelli corinzi il cui robusto “cesto” portante è circondato da due giri di foglie di acanto di struttura plastica e mosse liberamente, i vivaci giri di acanto, le palmette e le teste di leoni della sima. È alla base di tutto una comprensione per la natura che domina e trasforma le forme naturali, libere da ogni schiavitù illusionistica.\nLe colonne si ergono snelle e senza peso, come giammai era avvenuto prima, incontro alla trabeazione (altezza 5,93 m [?], 6,8 volte il diametro inferiore di 0,87 m; le tre colonne ora in piedi furono risollevate nel 1938). Il corpo della cella emerge coerentemente, come una sorta di tamburo sopra al tetto marmoreo del colonnato, coronato da una piccola sima.\nDella decorazione scultorea delle metope – gruppi movimentati di amazzoni e di centauri – è rimasto solo ben poco; della mirabile esattezza nell'intaglio della pietra basti portare un esempio: le sottili superfici frontali dei triglifi seguono (cosa appena avvertibile anche per un occhio esercitato) la forma circolare dell’architrave.\nUn'altra proporzionalità matematica ha racchiuso nella sua articolazione rigorosa anche le parti più piccole (fino all'orlo concavo dei gradini che diminuisce verso l’alto con l’altezza e la larghezza dei gradini stessi) ed è cosa mirabile che il numero e la geometria non abbiano inaridito la vitalità dell’edificio, ma anzi servano come mezzi per mettere in evidenza nella forma più limpida, la corposità dell’edificio addolcita da una sottile freschezza.\n\nIl museo.\nGli scavi sul sito di Delfi vennero avviati nel 1889 da parte dell'École française d'Athènes, che ancora oggi se ne occupa e pubblica i nuovi ritrovamenti nel bollettino Fouilles de Delphes (FD). Nel museo sono raccolte le opere d'arte ritrovate negli scavi. Fra esse spicca la statua della Sfinge dei Nassi, in origine posta in cima a una colonna, la statua bronzea dell'auriga di Delfi, l'onfalo marmoreo, raffigurante l'ombelico del mondo, la statua del pugile Agias e la statua marmorea di Antinoo, di epoca romana. Molteplici i reperti di offerte votive: elmi, armi, vasi, monete, statuette e gioielli, che testimoniano secoli ininterrotti di culto al dio di Delfi.\n\nGli scavi.\nL’attuale sito archeologico di Delfi era stato occupato fin dal medioevo dal villaggio di Kastri. Perciò, prima che uno scavo sistematico potesse essere intrapreso, il villaggio doveva essere trasferito ma i residenti opposero resistenza. L'opportunità di trasferire l’intero centro abitato si è presentata quando questo è stato notevolmente danneggiato da un terremoto, con gli abitanti del borgo che hanno proposto un villaggio completamente nuovo in cambio del vecchio sito.\nCosì, nell'autunno del 1892, sotto la direzione di Théophile Homolle e della Scuola Archeologica Francese, iniziò il cosiddetto 'Grande Scavo' (La Grande Fouille). La spedizione rimosse vaste quantità di terreno da numerose frane fino a rivelare i principali edifici e strutture del Santuario di Apollo e di Atena Pronaia, insieme a migliaia di oggetti, iscrizioni e sculture. Il Grande Scavo durò per dieci anni e si concluse con la creazione del primo museo sul posto. Negli anni a seguire comunque, il sito non ha mai smesso di essere scavato e indagato.\nIl luogo è ora un sito archeologico e una destinazione turistica molto popolare. È facilmente raggiungibile da Atene come gita di una giornata; la sua visita è spesso associata alle possibili attività invernali sul monte Parnaso, come pure alle spiagge e alle strutture turistiche estive della vicina costa della Focide (Itea, Cirra, Galaxidi, ecc.).\nIl sito è inoltre salvaguardato come un luogo di straordinaria bellezza naturale, e anche i suoi panorami sono tutelati: nessun manufatto industriale può essere visto da Delfi se non le strade e le residenze di architettura tradizionale (per esempio le linee elettriche dell’alta tensione e simili sono posizionate in modo tale da risultare invisibili dall'area del Santuario).\n\nDelfi nel V secolo.\nDurante gli scavi successivi sono stati scoperti resti architettonici risalenti a una basilica cristiana del V secolo, quando Delfi era una diocesi. Altri importanti edifici di epoca tardo romana sono le Terme Orientali, la casa con il peristilio, l'Agorà romana e la grande cisterna. Alla periferia Est della città si trovano cimiteri tardo romani.\nA sud-est del recinto di Apollo si trova la cosiddetta Villa Sud-Orientale, un edificio molto grande con una facciata lunga 65 metri, distribuita su quattro livelli, con quattro sale da pranzo (triclinia) e bagni privati. Giare di grande capacità conservavano le provviste, mentre altri vasi di terracotta e oggetti di lusso sono stati scoperti nelle stanze. Tra i reperti spicca un minuscolo leopardo in madreperla, forse di origine sasanide, esposto nella galleria al piano terra del Museo Archeologico di Delfi. La villa risale all'inizio del V secolo e funzionò come casa privata fino al 580, ma in seguito fu trasformata in un laboratorio di ceramisti. È solo allora, all'inizio del VI secolo, che la città sembra subire un declino: le sue dimensioni si riducono e i suoi contatti commerciali sembrano drasticamente diminuiti. La produzione locale di ceramiche avviene in grandi quantità: è più grossolana e fatta di argilla rossastra, con l’intenzione di soddisfare i bisogni degli abitanti e non di essere esportata.\nLa Via Sacra rimase la strada principale dell'insediamento, trasformata, tuttavia, in una strada a uso commerciale e industriale. Attorno all'agorà furono costruiti laboratori e anche l'unica basilica cristiana entro le mura. L'area residenziale si è diffusa principalmente nella parte occidentale dell'insediamento. Le case erano piuttosto spaziose e due grandi cisterne fornivano loro acqua corrente.\n\nRappresentazione di Delfi nell'arte.\nA partire dal XVI secolo l'Europa occidentale sviluppò un interesse per Delfi. Verso la metà del XV secolo il geografo e storico greco Strabone fu tradotto per la prima volta in latino. Le prime raffigurazioni di Delfi, a opera del tedesco N. Gerbel, che pubblicò nel 1545 un testo basato sulla mappa della Grecia di N. Sofianos, erano totalmente immaginarie. L'antico santuario era raffigurato come una città fortificata. I primi viaggiatori con interessi archeologici, oltre al precursore Ciriaco d'Ancona, furono il britannico George Wheler e il francese Jacob Spon, che visitarono la Grecia in una spedizione congiunta nel 1675-76. Hanno pubblicato le loro impressioni separatamente. Nel 'Journey into Greece' (Viaggio in Grecia) di Wheler, pubblicato nel 1682, apparve uno schizzo della regione di Delfi, dove erano raffigurati l'insediamento di Kastri e alcune rovine. Le illustrazioni della pubblicazione di Spon 'Voyage d'Italie, de Dalmatie, de Grèce et du Levant, 1678' sono considerate originali e rivoluzionarie.\n\nViaggiatori hanno continuato a visitare Delfi per tutto il XIX secolo, pubblicando i loro resoconti in libri che contenevano diari, schizzi, vedute del sito e immagini di monete. Le illustrazioni riflettevano spesso lo spirito del romanticismo, come è evidente nelle opere di Otto Magnus von Stackelberg, dove, oltre ai paesaggi (La Grèce, Vues pittoresques et topographiques, Parigi 1834) sono raffigurati anche figure umane (Costumes et usi des peuples de la Grèce moderne dessinés sur les lieux, Parigi 1828). Il pittore filellenico H. W. Williams ha incluso il paesaggio di Delfi fra i suoi temi paesaggistici (1829). Personalità importanti come François Ch. H. L. Pouqueville, W.M. Leake, Christopher Wordsworth e Lord Byron sono tra i visitatori più celebri di Delfi.\nDopo la nascita del moderno Stato greco al termine della guerra d'indipendenza (1821-1832), la stampa iniziò a interessarsi anche a questi viaggiatori. Così scrive 'Ephemeris' (17/03/1889):.\n'In Revues des Deux Mondes Paul Lefaivre pubblicava le sue memorie circa un'escursione a Delfi. L'autore francese racconta in modo affascinante le sue avventure lungo il percorso, lodando in particolare l'abilità di un’anziana donna di rimettere a posto il braccio ferito di uno dei suoi compagni di viaggio stranieri, che era caduto da cavallo. Ad Arachova l'uomo greco è conservato intatto. Gli uomini sono 'atleti' piuttosto che contadini, allenati alla corsa e alla lotta, particolarmente eleganti e snelli sotto il loro abbigliamento da montagna. Solo brevemente si riferisce alle antichità di Delfi, ma descrive un muro pelasgico lungo 80 metri, sul quale sono incise innumerevoli iscrizioni: decreti, norme e affrancamenti di schiavi'.\nGradualmente apparvero le prime guide turistiche. I rivoluzionari libri 'tascabili' inventati dal tedesco Karl Baedeker, accompagnati da mappe utili per visitare siti archeologici come Delfi (1894), insieme a piantine dettagliate e manualetti divennero progressivamente pratici e popolari. L'obiettivo fotografico rivoluzionò il modo di raffigurare il paesaggio e le antichità, in particolare dal 1893 in poi, quando iniziarono gli scavi sistematici della Scuola Archeologica Francese. Tuttavia, artisti come Vera Willoughby hanno continuato a ispirarsi al paesaggio.\nI temi relativi all'immaginario delfico sono stati fonte d'ispirazione per diversi artisti. Infatti oltre il paesaggio e le rovine degli antichi edifici, la stessa Pizia/Sibilla è divenuta un soggetto variamente illustrato, anche sulle carte dei tarocchi. Esempi famosi sono costituiti dalla Sibilla delfica di Michelangelo (1509), l'incisione tedesca dell'Ottocento Oracolo di Apollo a Delfi, il dipinto L'oracolo delfico (1899) di John William Godward, così come il più recente L'oracolo di Delfi, inchiostro su carta, della svedese Malin Lind. Artisti moderni hanno trovato ispirazione anche nelle massime delfiche. Esempi di tali opere sono esposti nel 'Parco delle sculture del Centro Culturale Europeo di Delfi' e nelle mostre che si svolgono presso il Museo archeologico di Delfi.\n\nDelfi nella letteratura.\nDelfi è stata di ispirazione anche per la letteratura. Nel 1814 William Haygarth, amico di Lord Byron, fa riferimento a Delfi nella sua opera Greece, a Poem. Nel 1888 Charles Marie René Leconte de Isle ha pubblicato il suo dramma lirico L’Apollonide, accompagnato dalla musica di Franz Servais. Autori francesi più recenti hanno utilizzato Delfi come fonte di ispirazione, come Yves Bonnefoy (Delphes du second jour) o Jean Sullivan (soprannome di Joseph Lemarchand) in L’Obsession de Delphes (1967), ma anche Rob MacGregor nel suo Indiana Jones and the Peril at Delphi (1991).\nLa presenza di Delfi nella letteratura greca è molto intensa. Poeti come Kostis Palamas (Inno delfico, 1894), Kostas Karyotakis (Festa delfica, 1927), Nikephoros Vrettakos (Ritorno da Delfi, 1957), Ghiannis Ritsos (Delfi, 1961-62) e Kiki Dimoula (L'ombelico della terra e Terra adatta, 1988), per citare solo i più celebri che hanno dato il loro tributo a Delfi. Angelos Sikelianos compose Dedica (al discorso delfico) (1927), Inno delfico (1927) e la tragedia Sibilla (1940), mentre nel contesto dell'Idea Delfica (Δελφική Ιδέα - Delfikí Idéa) e dei Festival Delfici (Δελφικές Εορτές - Delfikés Eortés) pubblicò un saggio intitolato L'unione delfica (1930). Il premio Nobel in Letteratura Giorgios Seferis scrisse nel 1963 un componimento sotto il titolo di Delfi, incluso nel libro Dokimes.\nL’importanza di Delfi per i greci è significativa. Questo luogo è entrato a fare parte integrante della memoria collettiva e si è espresso nel tempo attraverso la tradizione. Nikolaos Politis, famoso etnografo greco, nei suoi Studi sulla vita e sulla lingua del popolo greco - parte prima riporta due esempi riguardo Delfi:.\na) Il sacerdote di Apollo (176). Quando nacque Cristo, un sacerdote di Apollo stava effettuando un sacrificio sotto il monastero di Panayia, sulla strada per Livadia (Λειβαδιά), in una località chiamata Logari. All'improvviso abbandona il sacrificio e dice al popolo: 'In questo momento è nato il figlio di Dio, che sarà molto potente, come Apollo, ma poi Apollo lo batterà'. Non ebbe il tempo di terminare il suo discorso che un tuono scese giù a bruciarlo, aprendo la roccia vicina in due. [p. 99].\nb) I Signori (108). I Signori non sono cristiani, perché nessuno li vede mai farsi il segno della croce. Sono originari da antichi abitanti pagani di Delfi che abitavano in un castello chiamato Adelfì – “Fratelli” in greco –, poiché due fratelli principi lo avevano edificato. Quando Cristo e sua madre sono “arrivati” in questo luogo e tutte le persone intorno si sono convertite al Cristianesimo, i signori pensarono che sarebbe stato meglio allontanarsi; così partirono verso ovest con tutti i propri averi. I Signori vengono ancora qui ora e adorano queste pietre. [p. 59].
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Delfine.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Delfine (in greco antico: Δελφύνη?) era il nome di un gigantesco drago femmina ucciso da Apollo a Delfi. Nei racconti del periodo ellenistico è talvolta identificata con Pitone.\n\nIl mito.\nSecondo l'Inno omerico ad Apollo (VII-VI secolo a.C.), Delfine era la madre adottiva del mostro serpente Tifone, che fu dato alla dragonessa da sua madre Era. Tifone alla fine avrebbe combattuto contro Zeus per la supremazia del cosmo. L'Inno prosegue descrivendo come, mentre costruiva il suo tempio oracolare a Delfi, Apollo incontrò la serpe nei pressi di una 'dolce sorgente'. Apollo colpì la dragonessa con una freccia dal suo arco e la uccise.Apollonio di Rodi (inizio III secolo a.C.), afferma che Apollo 'uccise con il suo arco il mostro Delfine', 'sotto il costone roccioso del Parnaso', e che la vittoria fu acclamata dalle 'ninfe Coricie', che erano associate al grotta Coricia alle pendici del Parnaso sopra Delfi.Plutarco (c. 46 d.C. - 120 d.C.), si riferisce al mostro che 'combatté con Apollo per l'oracolo a Delfi' come femmina, e dice che sebbene un tempo l'oracolo di Delfi era ' desolato e inavvicinabile', 'fu la desolazione ad attrarre la creatura piuttosto che la creatura a causare la desolazione'.Delfina compare anche nel racconto di Apollodoro (I o II secolo d.C.) della battaglia di Tifone con Zeus, dove è chiamata sia 'drago' (drakaina) che 'fanciulla semi-bestiale'. Secondo Apollodoro, Tifone riuscì a tagliare i tendini di Zeus dal suo corpo. Nascose quindi i tendini recisi nella grotta Coricia in Cilicia (una grotta diversa da quella sopra Delfi) e incaricò la dragonessa Delfine di custodirli. I tendini furono poi recuperati e restituiti a Zeus dagli dei Ermes e Pan.Infine, secondo la Suda, un'opera del X secolo d.C., il nome della città di Delfi deriverebbe da Delfine.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Delfo (mitologia).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Delfo era il nome di uno degli eroi della città di Delfi, di cui è visto e venerato come il leggendario fondatore.\n\nNella mitologia.\nSecondo varie versioni, la sua discendenza è comunque eroicaː alcuni lo indicano come figlio di Poseidone e Melanto (figlia di Deucalione); per giacere con lei il dio dei mari si trasformò in un delfino.\nAltri autori, invece, ne fanno un figlio di Apollo e di una donna non ben identificataː ad esempio, Celeno, figlia di Hyamus e nipote di Lycorus, e, secondo altri, da Tia, la figlia dell'autoctono Castalio, o da Melaina, la figlia di Cefisso. In un'altra versione, sua madre è Melanis, una figlia di Hyamus e Melantea, e il padre non è menzionato.\nSi dice che Delfo abbia ereditato il regno di suo nonno nei pressi del monte Parnaso, che abbia sposato Castalia e che abbia avuto due figli, un figlio Castalio e una figlia Femonoe, la prima persona a scrivere esametri; un'altra versione aggiunge come figlio Pythis, che governava il paese sul monte Parnaso e da cui l'oracolo ricevette il nome di Pytho (Pizia). Suo nipote tramite Castalio era Lafrio, e il suo bisnipote Noutio.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Delo.\n### Descrizione: Delo (AFI: /ˈdɛlo/; in greco Δήλος?, Dilos; in greco antico: Δῆλος?) è un'isola della Grecia, nel Mar Egeo. Estesa 3,4 km², fa parte dell'arcipelago delle Cicladi ed è situata vicino all'isola di Mykonos (3,5 miglia marine e 1 miglio marino dalla sua estremità ovest), dalla quale è raggiungibile tramite battelli.\nL'isola è oggi praticamente disabitata ed è un immenso sito archeologico che richiama turisti e appassionati di archeologia da ogni parte del mondo. È dal 1990 nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Un piccolo stretto separa Delo dalla vicina isola di Rineia, ugualmente disabitata.\n\nStoria.\nNell'antichità l'isola si chiamava Ortigia (Ortyghia). I reperti archeologici hanno dimostrato che l'isola era già abitata fin dal 3000 a.C. sulla cima del monte Cinto. I coloni dell'isola (circa nel 1000 a.C.) furono poi soppiantati dai micenei che probabilmente vi portarono il culto di Apollo, dio della luce e della musica e di Artemide, dea della Luna e della caccia, adorati in triade con la madre Latona. Successivamente la figura del dio Apollo prevalse sulle altre divinità e il santuario di Apollo, famoso già nei tempi omerici, raggiunse il suo massimo splendore nei tempi arcaici (VIII-VII sec. a.C) e classici (V-IV sec. a.C).\nFu sotto l'influsso della città di Atene dal VI secolo al IV secolo a.C. Prestigiosa sede della Lega di Delo (o Lega delio-attica) tra le città greche dal 478 a.C. fino al 454 a.C., nei pressi del santuario custodiva l'enorme somma dei contributi delle città greche. Quando la Lega di Delo passò sotto l'egemonia Ateniese, il tesoro fu trasferito all'Acropoli di Atene nel 454 a.C., segno visibile dell'accresciuta importanza politica di Atene e del suo stratega Pericle. Nell'inverno del 426/5 a.C. gli Ateniesi decisero la 'purificazione' di Delo, a scopi religiosi. Aprirono tutte le tombe dell'isola e trasportarono i resti trovati alla vicina isola di Renea, ove li seppellirono in una fossa comune. Si decise che nessuno sarebbe più potuto nascere o morire nell'isola sacra, per cui le donne partorienti e gli ammalati gravi avrebbero dovuto trasferirsi a Renea. Da quel momento gli abitanti di Delo rimasero senza patria. Nel 422 a.C. gli Ateniesi portarono a termine la 'purificazione', esiliando tutta la popolazione locale. Subito dopo, malgrado il fatto che fossero ancora in guerra, gli Ateniesi cominciarono per ingraziarsi gli dei, la costruzione di un nuovo grandioso Tempio di Apollo, di marmo bianco pentelico e istituirono le Feste Delie in onore di Apollo, da celebrare ogni cinque anni.\nNel III e II secolo a.C. divenne una città-Stato indipendente, e il più grande mercato di schiavi della Grecia. I Greci consideravano segno di prestigio erigere monumenti e fare generose offerte al santuario. Delo decadde dopo il saccheggio di Mitridate VI, re del Ponto (86 a.C.), quando i suoi monumenti vennero distrutti e gli abitanti (circa 20 000) vennero uccisi, anche se gli studiosi tendono oggi a rivedere verso il basso una simile cifra. Nel periodo romano Delo conobbe un nuovo periodo di rinascita ed espansione edilizia, cui seguì nel tardo impero un'epoca di progressiva decadenza fino al definitivo abbandono. Nel 1400 l'umanista Ciriaco d'Ancona visitò l'isola e descrisse i resti delle sculture ancora presenti, tra i quali spiccava una statua colossale arcaica di Apollo. Nel 1500 i veneziani, guidati da Morosini, portarono via uno dei leoni di marmo della cosiddetta 'Terrazza dei leoni' per abbellire l'ingresso dell'Arsenale di Venezia.\n\nMonumenti.\nDal 1872 l'École française di Atene incominciò nell'isola scavi sistematici che ancora oggi continuano. L'isola può definirsi un'immensa area archeologica, a cominciare dalla parte occidentale, dove nell'antichità si trovava il porto sacro. Risale all'VIII secolo uno degli esempi più antichi di moli di protezione, rappresentato da una poderosa struttura in blocchi di granito locale che si estende per circa 100 m.\nNella parte nord-occidentale si trovano i Propilei e l'Agorà dei Compitaliasti o Ermesiasti che fu fondata nel II secolo a.C. e veniva usata dai commercianti romani e dai liberti i quali vi si radunavano e onoravano i Lares compitales, cioè le divinità dei crocicchi; subito dopo, la Via Sacra con le basi degli ex voto. A ovest c'era la grande Stoà di Filippo, costruita intorno al 210 a.C. Nella parte opposta c'è il cosiddetto Portico Sud (III secolo a.C.) e l'Agorà Sud o Agorà dei Delii. Il santuario di Apollo si trovava a nord-est della Stoà di Filippo insieme a tre templi dedicati al dio, il terzo dei quali, di cui si conservano le fondazioni, è noto come 'Tempio degli Ateniesi'.\nNelle vicinanze, un po' prima del tempio di Apollo, si trova la Casa dei Nassi (metà del VI secolo a.C.), a nord l'altare Keraton e a nord-est di esso il tempio di Artemide (II secolo a.C.), costruito sui ruderi di un tempio precedente. Nella parte nord del tempio si trovano i cosiddetti 'Tesori' e a est di essi il Prytaneion (metà del V secolo a.C.) e a ovest il monumento del toro (IV-III secolo a.C.). A sud-est del monumento, l'altare di Zeus Salvatore protettore dei marinai e a nord il tempio di Dioniso (inizi III sec.) e il portico che si dice sia stato fondato da Antigono Gonata alla fine del III secolo a.C.\nNella parte ovest c'erano vari edifici l'Ekklesiasterion', luogo di riunione della Bulè e del Demos dei Delii e il 'Tesmoforion', costruzione del V secolo, collegato al culto di Demetra. Nella parte nord del santuario, nel quartiere del lago si trovava L'Agorà di Teofrasto, il santuario dei dodici dei dell'Olimpo, il tempio di Latona e l'Agorà degli italiani. Dal tempio di Latona, a nord del Lago Sacro, una strada portava alla famosa Via dei Leoni, ex voto degli abitanti dell'isola di Nasso del VII secolo a.C., consistente in nove leoni di marmo dei quali se ne conservano solo cinque. Un sesto si trova all'ingresso della Grande Porta dell'Arsenale di Venezia, depredato dall'Isola di Delo dall'Ammiraglio Francesco Morosini nel 1687. Un po' più in basso si trovava il lago sacro dove, nell'antichità, nuotavano i cigni di Apollo, coperto con terra nel 1926 dopo un'epidemia di malaria.\nA nord-ovest della Via dei Leoni si trovava la sede dei Poseidoniasti di Beirut, centro di commercianti che adoravano Poseidone, con le statue realizzate dallo scultore Menandro, due palestre, il santuario dell'Archegeta, il Ginnasio e lo Stadio. Il quartiere più abitato era quello del Teatro. Molte sono le abitazioni di età ellenistica e romana ornate con mosaici i pavimenti musivi: Casa dei Delfini, Casa delle Maschere, Casa del Tridente, Casa di Dioniso. Da questo punto si può arrivare al museo che custodisce reperti degli scavi dell'isola.\nA nord-ovest della Casa delle Maschere si conservano le vestigia del Teatro che aveva una capienza di 5 500 posti, costruzione del II secolo a.C.\nTroviamo inoltre nel Monte Cinto (Kynthos) resti del santuario di Zeus del Cinto e quello di Atena del Cinto.\n\nLe statue.\nLe opere arcaiche.\nLa statua del culto di Apollo, nonostante non ci sia pervenuto nulla, è delle più celebri e documentate di Delo: essa doveva essere in legno (secondo la tradizione di lavorazione xoana e degli sphyreleta) con alcune parti asportabili in oro. Tutti i testi epigrafici e letterari che studiano quest'opera la definiscono àgalma.\nTra le varie fonti letterarie, Pausania (IX, 35, 3) riconduce la sua realizzazione agli scultori arcaici Tektaios e Angelion allievi della grande scuola artistica (Pausania, II, 32, 5). sviluppatasi a Creta nel VII secolo a.C. e chiamata 'dedalica', che si occupava della realizzazione di coana (opere in legno) e sphyrelata (in lamina in bronzo sbalzata). Nel V secolo, nei Saturnali (I, 17, 13) Macrobio descrive la figura stante e reggente nella mano destra tre Grazie e quella sinistra l'arco e la freccia. Ne scrive anche Plutarco (anche se l'opera non è di certa attribuzione) nel De Musica, dove, nel capitolo 14, descrive la statua di Apollo, aggiungendo che a loro volta le tre Cariti reggono degli oggetti in mano: una lira, un aulòs e un syrinx a sostegno della sua tesi per cui Apollo non era solo l'inventore della lira, ma di tutti i principali strumenti musicali. Infine, un'interessante testimonianza è fornita dagli Aitia di Callimaco, dove il poeta riporta una descrizione della statua nella forma di un dialogo-epigramma.\nNonostante la frammentarietà del testo, grazie a questo dialogo si viene a conoscenza, oltre alle componenti descrittive come il fatto che fosse rivestito d'oro e che avesse una cintura intorno alla vita, anche del significato simbolico delle Cariti e dell'arco: le prime erano sostenute dalla mano destra, di modo che Apollo fosse disposto a conferire le sue grazie, mentre l'arco era posto nella mano sinistra, cosicché egli fosse più lento a castigare gli uomini.\nUn confronto iconografico dell'opera si ritrova nel rilievo A 6995 e Apollo è ancora una volta rappresentato stante in nudità con la gamba destra in appoggio, la sinistra in avanti e le ciocche di capelli che ricadono sul petto; nelle mani regge arco e faretra, accanto ai suoi piedi vi sono due altari rotondi sui quali siedono due sfingi di profilo, accanto alla spalla sinistra una figura femminile alata e dalla parte opposta un moscoforo.\nRisalente alla fine del VII-inizio del VI secolo a.C. è il Colosso dei Nassi. Ora il torso e il bacino si trovano nell'Artemision mentre la base è addossata al lato nord dell'oikos dei Nassi. Essa misurava circa 8 metri in altezza calcolando le dimensioni delle parti rimanenti: il torso (2,30 m) su cui si appoggiano, sia sul petto sia sulla schiena, ciocche di capelli intrecciati e il bacino (1,25 m). Essa rispecchia la tendenza delle opere nassie a dare vita a forme più sottili e snelle, come si nota dall'assottigliamento del tronco nella zona addominale e della vita. Petto e sterno sono meglio lavorati e definiti (come si nota nei pettorali e nella fossa del giugulo, la cui profondità è indice di ricerca naturalistica) a differenza della zona addominale e della schiena che sono trattate superficialmente. Era dotata di ornamenti in bronzo, a noi non pervenuti, ma di cui rimangono i fori per il fissaggio sul petto e sulla vita. Il colosso è un'opera particolare nel suo genere: se infatti il modello è quello dei kouroi, esso presenta delle innovazioni rispetto a quelli prodotti in Attica e soprattutto in area dorico-peloponnesiaca: nessun kouros del VII-VI secolo a.C. presentava le braccia portate in avanti, come in questo caso (anche se non pervenute si desume dalle cavità sul torso che servivano a inserire i tenoni delle braccia all'altezza del gomito) dove gli avambracci creano un angolo retto con le braccia.\n\nLe opere ellenistiche.\nLa statua di Apollo musico riprende anch'essa parzialmente l'iconografia di Helios: la capigliatura richiama quella di Helios sul carro, anche in questo caso, dalla metopa di Troia; il dio, in un'estasi quasi dionisiaca, è rappresentato con il corpo che, con la gamba destra leggermente portata in avanti così come la spalla sinistra, crea un avvitamento su sé stesso che termina nella testa, ruotata verso sinistra il cui movimento è sottolineato dall'ondulazione dei capelli.\nEssa faceva parte di un gruppo di cinque statue, accompagnato da Artemide (A 4126), Latona (A 4127) e due Muse (A 4128 e A 4129) che furono scoperte nella Casa delle Cinque Statue. La prima (1,30 m) si presenta mancante del naso e di metà degli avambracci; indossa un sottile chitone sopra al quale ricade un peplo più pesante. Ha un atteggiamento composto e calmo ma non rigido. Teneva probabilmente degli attributi nelle mani, forse un arco nella mano sinistra. Sono state ritrovate tracce di policromia originale sul peplo, che era blu con il bordo oro, mentre tracce di rosso erano sul chitone, tra i capelli, sulle labbra e sugli occhi. Latona (1,09 m) manca della parte superiore del torso, della testa e della mano destra. Il peso è sulla gamba sinistra e il corpo è interamente coperto dalle vesti pesanti e larghe, che nascondono la zona della vita. Indossa un peplo e un mantello dalla stoffa pesante, che ricade sul braccio sinistro. Proprio sugli abiti sono state ritrovate tracce di policromia originale: blu e giallo sul peplo, blu e rosso sul mantello e marrone-rossastro sui sandali. La prima Musa “con la nebride” (1,20 m) manca della testa, del braccio destro e della mano sinistra. Indossa un chitone lungo fino a terra, sopra al quale vi è un mantello poggiato sulle spalle che le copre la schiena e una pelle di cervo, legata sulla spalla destra e stretta sotto il seno da una cintura. Marcadé sottolinea che il fatto che indossi la nebride potrebbe suggerire che si tratti di un'Artemide. La seconda musa (1,30 m) è mancante della spalla e del braccio sinistri, delle dita della mano destra e di parte del piede destro. Sul capo indossa un leggero velo, ricavato dall'himation, che copre i capelli delicatamente raccolti dietro la nuca e scende poi sulla schiena avvolgendosi davanti sotto le anche; è vestita di un chitone dalle pieghe spesse sopra al quale indossa un koplos. Marcadé ha proposto che si potesse trattare di una Tyche più che una Musa, per via del peplo e del capo velato e soprattutto perché egli ha supposto che nella mano sinistra tenesse una cornucopia. Le dimensioni (la figura di Apollo misura 1,11 m) e il fatto che fossero poco lavorate sulla parte posteriore suggeriscono che le statue formassero un gruppo unitario e che facessero parte della scena del teatro. F. Queyrel ha invece proposto che il gruppo appena descritto, l'Apollo che calpesta gli scudi galati e la statua ritratto A 4142 fossero tutte opera della stessa bottega e che provenissero dalla Casa di Dioniso invece che dal Teatro. La testa del ritratto A 4142 e numerosi frammenti di Apollo che calpesta gli scudi galati provenivano infatti da quella casa che fu abbandonata e successivamente riutilizzata come sede per dei forni per la calce; di conseguenza, le sette opere sarebbero potute appartenere alla decorazione della Casa di Dioniso e spostate in seguito nella Casa delle Cinque Statue. La figura di Apollo porta un lungo chitone di forma tubolare, stretto in vita da una cintura, sopra al quale indossa un mantello. Questo tipo di abbigliamento è riflesso di un preciso schema iconografico: si rappresenta Apollo musico che suona la cetra o la regge con la mano sinistra (occasionalmente può essere appoggiato a un pilastro) indossando un chitone legato e un himation. Un confronto si può fare con l'Apollo con la cetra o con l'Apollo n° inv. 1344 probabilmente proveniente dal frontone del tempio di Apollo del IV secolo a.C. a Delfi, che nel braccio sinistro, ora mancante, doveva reggere una cetra; entrambi indossano un chitone e un himation. Sulle vesti sono rimaste tracce della policromia originari che permettono di capire che i mantello era dipinto di blu, la cintura di giallo e i sandali di rosso.\nLa statuetta di Apollo e il piccolo torso di Apollo nudo sembrano testimoniare una ripresa di forme arcaiche. Il fatto che la statuetta di Apollo e il piccolo torso di Apollo nudo non siano statue arcaiche è deducibile dalla delicatezza delle forme e dal leggero sbilanciamento delle anche che testimoniano una conoscenza delle opere di Prassitele e l'acquisizione di tecniche scultoree più avanzate nella resa della figura umana. Anch'esse presentano la figura stante in nudità, poggianti sulla gamba destra mentre quella sinistra è leggermente portata in avanti e in entrambe, nonostante siano mancanti della testa, rimangono le ciocche di capelli intrecciati poggianti sia sul petto sia sulla schiena.\nJean Marcadé ha inoltre avanzato l'ipotesi che una piccola sfinge di epoca ellenistica (fig. nº 7) potesse essere pertinente alla statuetta di Apollo (cat. nº 1) e che insieme potessero formare una riproduzione della statua di culto arcaica di Apollo. Anche la testa di Apollo riprende, nella severità del volto, modelli più antichi, se non arcaizzanti, almeno dell'inizio del V secolo a.C. La capigliatura, tenuta da una fascia che circonda la nuca, ricade sulle spalle in grossi boccoli ed è definita da Marcadé “libica” in quanto la sua origine è egiziana e caratterizza la dea Iside e ogni altro esempio che si trova al di fuori dall'Egitto è connesso al culto isiaco. Tuttavia il volto, che in origine apparteneva a una statua, è difficilmente assimilabile a un'effigie femminile sia per i tratti marcati, come la mascella larga, sia per la capigliatura, dove le ciocche dalle tempie si allungano fino a coprire la base del collo ma non arrivano oltre le spalle come invece avviene nei soggetti femminili.\nLa statua di Apollo che calpesta tre scudi di Galati rappresenta un caso a sé rispetto alle altre opere analizzate; essa infatti non raffigura l'iconografia diffusa di Apollo musico, ma si riferisce a un preciso fatto storico. Sono stati riconosciuti negli scudi che il dio calpesta dei thyrei, ovvero degli scudi galati: ciò potrebbe suggerire che la statua si riferisse alla sconfitta subita dai Galati nel 279 a.C. alle porte di Delfi, che secondo Callimaco, Apollo nel ventre della madre aveva profetizzato “ἀσπὶδας, αἲ Γαλάτησι κακὴν ὀδὸν ἄφροι φύλω στήσονται.” (Inno a Delo, vv. 184-185). B.S. Ridgway ha inoltre supposto che quest'opera potesse essere parte di un più grande monumento commemorativo, ma rimane solamente un'ipotesi dal momento che essa fu trovata in molti frammenti sparsi per l'area del teatro e che le sue dimensioni minori del reale (1,33 m) suggeriscono che potrebbe essere stata una statua volta alla decorazione domestica. La posa sembra essere una fusione di più modelli: da un lato il braccio portato sulla testa richiama l'Apollo Liceo di Prassitele, dall'altra la gamba poggiante sugli scudi ricorda il tipo di Afrodite poggiante su una tartaruga. L'Apollo Liceo, un'opera di Prassitele della metà del IV secolo a.C., rappresenta il dio poggiante sulla gamba destra mentre la pianta della sinistra, libera dal peso si stacca da terra, creando un movimento a S del corpo sottolineato dallo sbilanciamento delle anche. Il braccio sinistro è posato su un pilastro e regge nella stessa mano un arco, mentre il braccio destro, sollevato, poggia sulla testa. Essa è caratterizzata da un'acconciatura femminile, con i boccoli che contornano il viso, delicatamente raccolti sulla nuca. Un confronto con una statua di Afrodite in una posa simile è possibile con l'Afrodite Brazzà, conservata al museo di Berlino, riproduzione di un originale di Fidia che rappresenta la dea, vestita di un peplo e un himation riccamente drappeggiato che ricade sulla coscia sinistra, piegata in avanti e appoggiata a una tartaruga.\n\nLe opere policrome.\nLa statuaria in marmo greca e romana che ci è giunta raramente conserva traccia del suo aspetto originario, quando spesso era completamente dipinta; la pittura era processo fondamentale nella realizzazione di una statua. Andreas Karydas e Hariclia Brecoulaki hanno analizzato a raggi X tracce di colore arancione, marrone, viola, verde e nero che hanno mostrato come essi provenissero da un'ampia gamma di pigmenti tra cui anche minerali: tra essi il blu egizio (che veniva prodotto in loco), il solfuro di arsenico, la jarosite, la celadonite o altri più esotici come il cinabro e l'orpimento: essi venivano applicati sul marmo sia puri sia mischiati tra di loro attraverso collanti naturali quali la robbia o la malva. I colori più utilizzati erano il giallo, il blu e il rosa: come riporta C. Blume vi era una particolare propensione all'impiego del blu chiaro e del rosa acceso, frequentemente applicati in associazione tra loro. Il colore veniva applicato sul marmo senza preparazione sottostante oppure su uno strato biancastro di polvere di piombo che conferiva una maggiore aderenza al colore -veniva infatti usato per i colori più preziosi-, rendeva la superficie più liscia e esaltava l'intensità del colore. L'abilità degli artisti permetteva loro, sfruttando pochi colori, di creare molte sfumature; esse si ottenevano in diversi modi: usando colori puri -dai pigmenti e dai minerali-, creando una miscela di pigmenti, giocando sul grado di polverizzazione, sfruttando il legante o sovrapponendo tra loro strati di colori (anche fino a quattro). Un altro modo di completare le statue, oltre alla pittura, era la doratura: veniva utilizzata la foglia d'oro (e non la polvere) che si applicava sul marmo o in modo diretto con dei collanti naturali, oppure attraverso uno stato preparatorio composto di ocra gialla o rossa e piombo.\nIl ruolo della doratura e della pittura non era semplicemente decorativo: nell'interagire con la forma divenivano parte integrante dell'opera di cui arricchivano il significato. Innanzitutto queste tecniche potevano servire a coprire i punti di connessione nelle statue laddove fossero stati usati blocchi di marmo diversi; inoltre, sottolineando elementi scolpiti (come le labbra) la pittura poteva potenziarne il realismo, creare dei motivi che fossero in parte scolpiti e in parte dipinti oppure sostituirsi direttamente alla tecnica plastica, creando degli elementi solo attraverso il colore (come ad esempio la decorazione di una veste).\nLa doratura non era da meno: essa era funzionale ad arricchire le statue di gioielli in alcuni casi, o in altri a coprirne tutto il corpo lasciando poco spazio alla pittura.\nLa prima opera analizzata che riporta tracce di policromia fu trovata nello stesso contesto della statua di Apollo seduto: la statua di Apollo nudo. La posa morbida e il corpo femmineo hanno permesso di individuare la figura come Apollo, più che come un atleta vittorioso. Il corpo è nudo e sensuale, in quanto la totale nudità è accentuata dalla clamide che morbidamente ricade dalla spalla sul braccio sinistro, senza nascondere nulla. Il ritrovamento, fatto nella Casa delle Maschere, ha portato Marcadé a supporre che essa fosse la sede di un'associazione di teatranti di cui la statua era simbolo di un culto apposito. Proprio sulla clamide Philippe Jockey e Brigitte Bourgeois hanno ritrovato tracce della policromia originaria grazie alla fluorescenza UV: la faccia esterna era dipinta di rosa, quella interna di blu e il bordo era dipinto d'oro. Ma il fattore più importante è che sono state ritrovate delle tracce d'oro sul corpo. Le tecniche utilizzate dovevano molto a quelle egizie: lo strato rossastro sottostante la foglia d'oro, ritrovato su alcune statue delie era utilizzato nella doratura delle maschere in stucco delle mummie egizie. Gli scultori delii cominciarono a utilizzare questa tecnica ricoprendo il corpo delle statue in foglia d'oro -per i committenti più abbienti- mentre gli abiti erano dipinti. Il fine era quello di creare un'opera la cui efficacia non fosse affidata alla sola scultura, ma vi partecipassero, completandola, anche la pittura e la doratura.\nIl Diadumeno è una delle opere più celebri ritrovate a Delo: fu trovata nella Casa del Diadumeno insieme allo Pseudo-Atleta e a una figura di Artemide. La seconda pervenuta intera tranne che per il braccio destro e l'avambraccio sinistro, indossa un himation, sotto al quale vi è un apoptygma, stretta da una cintura sul busto e porta un arco in mezzo ai seni, dove sono stati individuati dei buchi per il fissaggio della freccia. Lo Pseudo-Atleta pervenuto intero combina il volto di un mercator romano, dai tratti naturalistici e realistici (come le orecchie leggermente sporgenti) con il corpo idealizzato che, invece, si rifà a modelli classici. Il Diadumeno fu trovato in un angolo della sala E della casa e rappresenta una copia dell'originale di Policleto del V secolo a.C.: una figura maschile nuda intenta a cingersi il capo con una benda in segno di vittoria. Quest'opera viene inserita tra le raffigurazioni di Apollo nonostante non sia certo che voglia rappresentare il dio che nelle versioni della serie copistica (e dunque, presumibilmente anche nell'originale bronzeo) non presenta alcun attributo apollineo; nella copia delia, invece, il supporto non è un semplice tronco di palma ma a esso sono appoggiati un mantello e una faretra, uno dei simboli, quest'ultimo, di Apollo, il dio arciere. La resa del corpo segue i precetti policletei, attenendosi al noto principio di proporzione tra le parti anatomiche, mentre il volto è vivo: ogni dettaglio contribuisce all'impressione di vita e movimento, come ad esempio l'irregolarità dei nastri della banda che ricrea l'effetto della stoffa che preme sulla voluminosa capigliatura o la precisione dei rami del tronco dell'albero. Il corpo è molto giovane ma al contempo elegante, le varie parti sono definite in modo deciso ma non eccessivo. Il leggero sbilanciamento delle anche, con quella destra portata più in alto, si accorda in corrispondenza chiastica con l'inclinazione delle spalle, che dunque vede la destra più in basso. Lo sguardo pacato e dolce è rivolto verso il basso. È significativo il fatto che, confrontando quest'opera con la copia del Metropolitan Museum, sia risultato che esse hanno le stesse dimensioni (tanto che è stato possibile ricostruire calchi in gesso del torso perduto e la parte superiore delle gambe della statua di New York grazie a quella delia, con la quale coincideva perfettamente): ciò significa che la precisione delle misure e dei calcoli effettuati per realizzare la copia di Delo non era un fatto eccezionale, ma comune ad altre copie. La singolarità della statua delia stava, invece, nella la presenza della faretra (l'unica tra le copie) che dimostra come l'innovazione e l'iniziativa non mancassero agli scultori delii, che non si limitavano dunque a copiare.\nLe analisi condotte con il video-microscopio da Brigitte Bourgeois e Philippe Jockey hanno mostrato che la statua era completamente rivestita in foglia d'oro: sono state trovate tracce sulle orecchie, il collo, il bicipite destro, sui capelli e sui peli pubici. Inoltre anche il sostegno era integralmente rivestito in oro. L'oro era steso (e non applicato in grani o in polvere) con la tecnica “a ciotola”: veniva applicato su uno strato di polvere biancastra (piombo), gialla e rossa (ocra). Dei fasci luminosi puntati sulla statua hanno poi permesso di individuare delle inclusioni di mica grazie al riflesso dovuto al colore argentato.\n\nLe opere incerte.\nVi sono due opere la cui identità rimane dibattuta in quanto lo schema iconografico è molto simile; potrebbero essere rappresentati, infatti, sia Apollo sia Dioniso. La prima dalle dimensioni piuttosto ridotte (30,5 cm) presenta una lavorazione sommaria e incompleta. La figura, priva della testa e dell'avambraccio sinistro, poggia il peso sulla gamba destra e con un'accentuata curvatura laterale della schiena si sostiene a un pilastro appoggiandovi il gomito sinistro. L'himation cade dalla spalla sinistra e scende dalla schiena verso l'anca destra, avvolgendosi poi intorno al bacino. Nella mano sinistra teneva probabilmente un arco (il marmo non ancora lavorato si incurva appoggiandosi all'avambraccio). Il pilastro quadrato si differenzia dalla piccola colonna con capitello modanato cui si poggia la statua.\nQuest'opera è pervenuta in condizioni migliori della precedente: è mancante della testa, del braccio destro e dell'avambraccio sinistro, ma la lavorazione della figura è più fine; solamente il trattamento superficiale del retro della statua fa pensare che non sia ultimata. La posa è molto simile a quella dell'altra statua: con il peso sulla gamba destra rigida mentre la sinistra è portata in avanti e piegata, la figura si appoggia alla colonna con il gomito sinistro, provocando uno sbilanciamento delle anche. Sulla schiena e sulle spalle ricadono ciocche ondulate di capelli. Anche in questo caso l'himation si appoggia al braccio sinistro avvolgendosi dietro la schiena e coprendo l'inguine grazie al sostegno della coscia destra sul quale ricade creando delle spesse pieghe. L'identificazione, in entrambi i casi, della figura è incerta: la morbidezza dell'inclinamento delle anche, sottolineato dall'inguine deliberatamente quasi del tutto scoperto, donano alla figura sensualità, tratto che si avvicina di più a Dioniso, mentre le ciocche ondulate di capelli che ricadono sulle spalle sono assimilabili a entrambe le divinità.\nLo schema iconografico del dio che si appoggia a una colonna a un pilastro, diventa frequente per la rappresentazione di entrambi gli dei e facilmente alternabile grazie allo scambio degli attributi: un arco o una corona, una phiale o un kantharos, un ramo di alloro o un grappolo d'uva.\nA Delo, Apollo, così come Dioniso, è dio delle arti, della musica e del teatro: questo rapporto di entrambi gli dei con il teatro si riflette nelle somiglianze tipologiche fra diverse statue. Ad esempio nel caso di un dio appoggiato a un pilastro o a una colonna è difficile distinguere quale dei due sia rappresentato, in assenza di attributi; si possono inoltre riscontrare caratteri dionisiaci nell'estasi musicale di Apollo, come nel caso della statua di Apollo musico. Un'altra contaminazione tipologica la si nota nella statua di Apollo che calpesta tre scudi di Galati, dove i capelli del dio sono tenuti da una mitra dionisiaca, elemento che raramente viene attribuito ad Apollo.\nDurante l'Ellenismo non fu raro un avvicinamento e una sovrapposizione dell'iconografia di Apollo e Dioniso: il primo cominciò ad assumere un aspetto più languido ed effeminato, più vicino al dio del vino, mentre questo a sua volta perse la connotazione di dio barbuto e maturo, per assumere l'aspetto di una giovinezza apollinea. Questa assimilazione avveniva in corpi rappresentati spesso nudi o semi-nudi, forti e giovanili ma non più efebici.\nCome riporta E. Calandra, in una recensione al testo di Schröder “Römische Bacchusbilder in der Tradition des Apollon Lykeios. Studien zur Bildformulierung und Bildbedeutung in späthellenistisch-römischer Zeit' in epoca ellenistica la sovrapposizione delle due figure divine è dovuta esclusivamente a una nuova concezione della produzione ormai standardizzata “decontestualizzando le singole componenti e ristrutturandole nella nuova iconografia”: il tipo, ad esempio dell'Apollo Liceo è nell'ellenismo intercambiabile fra le due figure.\nAnche la condivisione di aspetti del teatro e della musica, secondo Marcadé, ha permesso la sovrapposizione iconografica tra Dioniso e Apollo dove è stato il secondo ad avere la meglio, acquisendo un'iconografia più ricca del primo.\n\nMitologia.\nSecondo la mitologia greca era inizialmente un'isola galleggiante dove si rifugiò Latona per partorire i figli gemelli di Zeus lontano dall'ira di Era. È pertanto considerata il luogo di nascita del dio Apollo e della dea Artemide, figli di Latona.\nAsteria, figlia della titanide Febe e del titano Ceo, fu la sposa del titano Perse, e gli diede una figlia che chiamarono Ecate. Per sfuggire all'amore fedifrago di Zeus, Asteria si trasformò in una quaglia, ma la fuga precipitosa la fece precipitare nel mar Egeo, come un astro (appunto Asteria). Zeus ne fu addolorato e trasformò Asteria in un'isola, che si chiama anche Ortigia, ovvero 'isola delle quaglie'. Su quest'isola Latona (sorella di Asteria) trovò asilo e vi partorì Apollo e Artemide. E siccome per la nascita di Apollo, dio del Sole, l'isola fu tutta circonfusa di luce, fu, da allora, chiamata Delo, dal verbo greco δηλόω (deloo) che significa “mostrare', poiché era ormai visibile.\nNelle odi, Pindaro scrisse '[…] che gli uomini chiamano Delo ma i beati sull'Olimpo, astro della terra scura, visibile da lontano'; il poeta ne dà dunque due denominazioni: la prima, più umana, con il significato di 'chiara'; mentre la seconda, divina, la definisce 'astro', in greco Ἄστρον sinonimo di ἀστήρ che richiama Asteria, il nome utilizzato prima che l'isola fosse chiamata Delo.\n\nAmministrazione.\nDal punto di vista amministrativo l'isola è compresa nel comune di Mykonos.\nIn realtà, il fatto che sia disabitata dipende da un preciso motivo: il divieto di pernottarvi è infatti legato alla sacralità del luogo, che i governi moderni hanno voluto preservare.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Demiurgo.\n### Descrizione: Il demiurgo, figura filosofica e al tempo stesso mitologica, è un essere divino, dotato di capacità generatrice, descritto la prima volta da Platone nel Timeo (anche se un breve accenno alla sua figura è presente già nel X libro della Repubblica). Il termine greco da lui usato è δημιουργός (dēmiurgòs, 'lavoratore pubblico'), composto di δήμιος (dèmios, 'del popolo') ed ἔργον (èrgon, 'lavoro', 'opera').\n\nIl Demiurgo nel mito.\nLa figura del Demiurgo, senza il quale «è impossibile che ogni cosa abbia nascimento», non è propriamente un dio generatore come quello cristiano, ma piuttosto ordinatore: egli dà il soffio vitale a una materia informe e ingenerata che preesiste a lui. Per questo fu definito da Celso come un «semidio».Fu descritto all'inizio da Platone soltanto come ipotesi cosmologica che ha carattere verosimile, cioè in forma di mito, di cui egli si serviva come in altri casi per descrivere in modo intuitivo e narrativo, anziché con una rigorosa argomentazione dimostrativa, un aspetto del suo pensiero particolarmente difficile da illustrare e comprendere.\n«Artefice e padre dell'universo», il Demiurgo è nel mito platonico una forza ordinatrice, imitatrice, plasmatrice, che vivifica la materia, dandole una forma, un ordine, e soprattutto un'Anima Mundi.\n\nFunzione filosofica.\nSul piano filosofico il Demiurgo corrisponde alla necessità di introdurre un principio unitario in grado di giustificare e superare il rigido dualismo, teorizzato da Platone, fra il mondo delle idee e la realtà sensibile.\nQuesto divino artigiano rappresenta quindi il mediatore tra la dimensione intellegibile e la materia, dualismo altrimenti inscindibile. Il demiurgo è infatti l'intelligenza che progetta il mondo, guardando alle idee come modello e usando la materia (o chora) come strumento.\nLe idee platoniche sono eterne, necessarie e precedono ogni origine temporale. Esse sono l'oggetto della vera intellezione in quanto 'pura forma'. Sono dunque esenti da generazione e corruzione, a differenza del mondo sensibile che è al contrario generato e corruttibile. Il mondo sensibile, soggetto al divenire e generato, deve necessariamente discendere da un principio, giacché non vi è generazione senza una causa. Il Demiurgo, essendo legato imprescindibilmente all'idea di Bene, non può che creare il migliore dei mondi possibili. Pur avendo come modelli eterni le idee iperuraniche, il Demiurgo è legato alla 'minorità ontologica' del mondo sensibile. Il Demiurgo quindi non crea affatto ex nihilo (dal nulla), ma è costretto ad operare trasmettendo la forma ideale ad una materia preesistente.\nNell'antica Grecia, tuttavia, il termine demiurgo si riferiva anche ai lavoratori liberi, agli artigiani che vivevano liberamente dei frutti del loro lavoro. L'utilizzo dell'analogia tra la figura cosmogonica del Demiurgo e quella dell'artigiano è presto detta: il Demiurgo, come un artigiano, trasmette il modello ideale ad una materia già esistente, e possiede, oltre che carattere intellettuale, anche competenze tecniche.\n\nIl Demiurgo nello gnosticismo.\nGran parte delle sette gnostiche teorizzavano che il mondo fosse stato creato non da Dio, ma da eoni. Il Demiurgo in particolare è un dio minore creatore e governatore della materia assieme agli Arconti suoi sottoposti, mentre il vero Dio è trascendente, lontano, l'Uno.\nGli eoni, in molti sistemi gnostici, rappresentano le varie emanazioni del dio primo, noto anche come l'Uno, la Monade, Aion Teleos (l'Eone Perfetto), Bythos (greco per Profondità), Proarkhe (greco per Prima dell'Inizio), Arkhe ('Inizio'). Questo primo essere è anch'esso un eone e contiene in sé un altro essere noto come Ennoia ('Pensiero'), o Charis ('Grazia'), o Sige ('Silenzio'). L'essere perfetto, in seguito, concepisce il secondo ed il terzo eone: il maschio Caen ('Potere') e la femmina Akhana ('Verità', 'Amore').\nQuando un eone chiamato Sophia emanò senza il contributo del suo eone partner, Cristo, il risultato fu il Demiurgo, o mezzo-creatore o Primo Arconte (nei testi gnostici a volte chiamato Yaldabaoth, Hysteraa o Rex Mundi per i catari), una creatura che non sarebbe mai dovuta esistere, identificata a volte con la divinità monoteista ebraica Yahweh. Questa creatura, non appartenente al Pleroma, creò tutto il mondo materiale, ma Sophia riuscì ad infondere nella materia la sua scintilla divina (pneuma), salvando così il creato e l'umanità dal Demiurgo. Gli gnostici credevano nella teoria della doppia divinità (dualismo) che contrapponeva il Demiurgo creatore al vero Dio, sconosciuto e trascendente. L'eone Sophia in certe scuole gnostiche è considerato incarnato nella figura di Maria Maddalena, compagna mistica di Gesù, incarnazione dell'eone Cristo.\nAnche il vangelo di Giuda (un apocrifo, non inserito nei vangeli canonici e quindi non presente nella Bibbia) recentemente scoperto, tradotto e poi acquistato dalla National Geographic Society, menziona gli eoni e parla degli insegnamenti di Gesù al loro riguardo. In un passo di tale vangelo, Gesù deride i discepoli che pregano l'entità che loro credono essere il vero Dio, ma che è in realtà il malvagio Demiurgo.\nGli gnostici ofiti veneravano il serpente, perché era stato mandato da Sophia (o era lei stessa in sue sembianze) per indurre gli uomini a nutrirsi del frutto della conoscenza proibito dal Demiurgo, al fine di far loro acquisire la gnosis di cui avevano bisogno per svegliarsi dai suoi inganni.\nIl Demiurgo era la soluzione gnostica al problema del male. Gli gnostici ritenevano che un Dio buono non avrebbe potuto creare il male del mondo e per tale motivo contrapponevano il Demiurgo creatore alla trascendenza di Dio.\n\nIl demiurgo nelle altre religioni.\nLa figura del demiurgo, quanto divinità archetipica creatrice, è presente in molte altre religioni del mondo. Ad esempio la popolazione dei Semang nella penisola della Malacca considera come demiurgo la divinità Plē. Presso alcune popolazioni bantu il demiurgo è Unkulunkulu. Tra gli indiani Tlingit il Corvo assurge a questo ruolo, mentre tra gli indiani Tupi prende il nome di Tamosci.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Denti di drago (mitologia).\n### Descrizione: Nel mito greco i denti del drago (in greco ὀδόντες (τοῦ) δράκοντος?, odontes (tou) drakontos) sono presenti in primo piano nelle leggende del principe fenicio Cadmo e nella ricerca del vello d'oro da parte di Giasone. In ogni caso, i draghi sono presenti e sputano fuoco. I loro denti, una volta piantati, sarebbero diventati guerrieri completamente armati.\n\nMiti.\nCadmo.\nCadmo, portatore di alfabetizzazione e civiltà, uccise il sacro drago che custodiva la sorgente di Ares. Secondo la Bibliotheca, Atena diede a Cadmo metà dei denti del drago, consigliandogli di seminarli. Quando lo fece, dai solchi balzarono feroci uomini armati, conosciuti come Sparti ( greco antico : Σπαρτοί, traduzione letterale: 'seminati [uomini]', da σπείρω, speírō , 'seminare'). Cadmo scagliò contro di loro una pietra perché li temeva, ed essi, pensando che la pietra fosse stata lanciata da uno degli altri, si combatterono finché rimasero solo cinque di loro: Echione (futuro padre di Penteo), Udeo, Ctonio, Iperenore e Peloro. Questi cinque aiutarono Cadmo a fondare la città di Tebe, ma Cadmo fu costretto a essere schiavo di Ares per otto anni per espiare l'uccisione del drago. Alla fine dell'anno gli fu data in moglie Armonia, figlia di Afrodite e Ares.\nTuttavia, Ellanico scrive che sorsero solo cinque Sparti, omettendo la battaglia tra di loro. Nella sua versione Zeus dovette intervenire per salvare Cadmo dall'ira di Ares, che voleva ucciderlo. In seguito Echione sposò Agave, la figlia di Cadmo, e il loro figlio Penteo succedette a Cadmo come re.\n\nGiasone.\nAllo stesso modo, Giasone fu sfidato dal re Eete della Colchide a seminare i denti di drago di Atena per ottenere il vello d'oro. Medea, figlia di Eete, consigliò a Giasone di lanciare una pietra tra i guerrieri che spuntavano dalla terra. I guerrieri iniziarono a combattere e ad uccidersi a vicenda, senza lasciare alcun sopravvissuto tranne Giasone.\n\nRiferimenti moderni.\nLe leggende classiche di Cadmo e Giasone hanno dato origine alla frase 'seminare i denti del drago'. Questo è usato come metafora per riferirsi a fare qualcosa che ha l'effetto di fomentare controversie. In svedese, il mito è l'origine dell'idioma ' draksådd ' ( seme del drago ) con il significato di diffondere idee corruttrici o, in senso più ampio, azioni con conseguenze disastrose.\nJohn Milton fa riferimento al mito nella sua Areopagitica.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Derinoe.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Derinoe (in greco antico: Δηρινόη) è una delle Amazzoni che combatterono nella guerra di Troia insieme alla regina Pentesilea come alleate dei Troiani. È citata nel Posthomerica, tardivo poema di Quinto Smirneo.\n\nIl mito.\nCompagna d'armi di Pentesilea, giunse a Troia, richiamata da Priamo, dopo la morte di Ettore. Quinto Smirneo la ricorda come una delle dodici Amazzoni che scortarono la regina in Frigia; è descritta inoltre come una fanciulla nobile e prode, simile per aspetto ad una dea.Tra le compagne, Derinoe fu una di quelle che più si distinsero in battaglia, uccidendo con la sua lancia Laogono. Cadde per mano di Aiace d'Oileo, che la trafisse con la spada in un punto compreso tra la spalla e la gola.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Despina (mitologia).\n### Descrizione: Despina (in greco, Δέσποινα, Dèspoina) era la figlia di Demetra e di Poseidone e sorella del cavallo alato Arione. Il nome con cui è identificata (Δέσποινα), e che era impronunciabile ai non iniziati, era forse solo un epiteto e significa semplicemente la Signora (dal greco-miceneo *des-potnia e ancora prima dal proto-indoeuropeo *dem/*dom, casa, dimora e potni, padrona, signora).\n\nIl mito.\nIl mito narra che mentre Demetra era intenta a cercare la figlia Persefone, rapita da Ade, fu vista da Poseidone che volle farla sua. Demetra, cercando di sfuggirgli, si trasformò in una giumenta. Allora anche il dio si trasformò in stallone, e da questa unione nacquero una figlia, Despina, ed un puledro, Arione. Despina si innamorò di Borea, il vento del Nord, che in seguito sposò. Egli la accompagna in volo, annunciando l'arrivo della stagione invernale, nella quale viene rappresentata.\n\nCulto.\nIl culto di Despina era praticato a Licosura, nei pressi di Megalòpoli, in Arcadia ed era legato a quello di altre divinità femminili come quello della madre Demetra, di Artemide ed Ecate. Dei culti misterici in suo onore non si sa nulla, ma probabilmente rientravano nell'ambito cultuale dei Misteri Eleusini o più in generale nel culto della Grande Dea.\n\nIdentificazione con Persefone.\nIn seguito Despina venne identificata soprattutto con Persefone (Kore), che secondo una versione alternativa del mito era lei stessa figlia di Demetra e Poseidone, invece che di Demetra e Zeus. Pausania, comunque, è chiaro nel separare Despina dalla sorellastra Persefone:Gli Arcadi venerano questa Signora sopra ogni altra divinità e sostengono che Ella è figlia di Poseidone e Demetra. Signora è uno dei nomi che le danno, così come essi soprannominano la figlia di Demetra avuta da Zeus la Giovinetta (Kore). Ma mentre il nome della Giovinetta è in realtà Persefone, così come scritto da Omero e Panfo nei loro poemi, il vero nome della Signora ho paura a rivelarlo ai non iniziati.\n\nIl gruppo del santuario di Despina a Licosura.\nDespina appare nel gruppo del santuario di Despina a Licosura; alto 5,30 m, il gruppo si trovava su di un basamento di 8 metri ed è stato realizzato da Damofonte di Messene. Rimangono ormai soltanto le teste di Artemide, Demetra e Anito, ma Pausania ce ne parla molto dettagliatamente. Despina e Demetra sono di dimensioni maggiori, poste al centro del basamento e sedute su di un trono. Demetra porta nella mano destra una fiaccola, Despina nella sinistra ha uno scettro ed era coperta da un velo, perciò invisibile, oltreché innominabile, dai non iniziati. Ai lati, Artemide e Anito, il titano che aveva allevato la piccola Despina.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dessicreone.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Dessicreone era il nome di un mercante dell'isola di Samo, di cui nel mito si raccontano le gesta.\n\nIl mito.\nDurante uno dei suoi tanti viaggi era capitato nell'isola di Cipro, qui era nell'intento di ripartire caricando la nave di mercanzia come era solito fare quando Afrodite si avvicinò a lui rivelandosi e chiedendogli, senza darne spiegazioni, di caricare la nave con solo acqua e di salpare immediatamente. Dessicreone accettò il consiglio e subito si mise all'opera, preso il largo la sua e tante altre navi vicine ebbero dei problemi di navigazione dovuta ad un'improvvisa bonaccia. Tutti i naviganti pagarono a caro prezzo l'acqua del mercante, e lui per ringraziare dell'affare la dea della bellezza appena tornato in patria fece erigere una statua alla dea.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Deucalione (figlio di Prometeo).\n### Descrizione: Deucalione (in greco antico: Δευκαλίων?, Deukalíōn) è un personaggio della mitologia greca ed è legato al mito di Deucalione e Pirra.\n\nGenealogia.\nFiglio di Prometeo e di Pronoe (a volte citata come Esione Pronoea) o di Climene, sposò la cugina Pirra che lo rese padre di Protogenia, Elleno, Anfizione, Pandora e Tia.\n\nMitologia.\nNel racconto di Apollodoro, Zeus aveva deciso di distruggere la razza umana con un grande diluvio perché la vedeva ormai corrotta e abbruttita. Deucalione lo seppe dal padre Prometeo, che gli consigliò di costruire un'arca sulla quale porre in salvo se stesso e sua moglie. Deucalione fabbricò l'arca sulla quale salirono e Zeus sommerse l'Ellade con il diluvio per eliminare la 'stirpe di bronzo'. Dopo nove giorni e nove notti di tempesta, Deucalione e Pirra sbarcarono sul monte Parnaso. Allora Zeus mandò loro Ermes perché esaudisse un loro desiderio. Deucalione chiese di far nascere sulla Terra una nuova generazione. Zeus ordinò agli sposi di camminare raccogliendo le pietre che avrebbero trovato sul loro cammino e di gettarsele alle spalle; da quelle pietre si liberarono, mano a mano, uomini e donne nuovi.\nFigli di Deucalione e Pirra furono Protogenia la 'prima generata', Elleno (per alcuni figlio di Zeus), Anfizione che fu re dell'Attica.\nElleno, poi, con la ninfa Orseide concepì Doro, Xuto ed Eolo. Dato il proprio nome agli Elleni, egli divise il paese fra i suoi figli: il Peloponneso a Xuto, la terra antistante il Peloponneso a Doro e la Tessaglia a Eolo.\n\nAltre versioni.\nPer Pindaro dopo il diluvio Deucalione e Pirra si insediarono ad Opunte in Sicilia. Qui diedero vita alla stirpe dei Lai gettandosi pietre alle spalle.\nSecondo Igino invece, Deucalione e Pirra si salvarono perché si erano rifugiati sull'Etna, «Che in Sicilia dicono altissimo».\nPausania poi riferisce che ad Atene Deucalione avrebbe fatto costruire il tempio di Zeus Olimpio, e che accanto a questo si trovava la sua tomba.\nSecondo il Marmor Parium il diluvio avvenne nel 1539 a.C.Ovidio, nelle Metamorfosi, riprende il mito e ne fa un racconto poetico in cui scandisce le età dell'uomo ed il suo stato, la collera degli dei e la rinascita dell'umanità.\n'Giove scagliò innumerevoli folgori ma infine, temendo che il fuoco potesse arrivare alla reggia celeste, volle mandare il diluvio.\nRinchiuse il vento Aquilone che allontana le nubi e scatenò Noto, che le porta. Iride raccolse le acque alimentando le nuvole e Nettuno, fratello di Giove, ordinò ai fiumi di straripare e scosse la terra con il suo tridente.\nIl mondo fu inondato, le campagne, le case, le città sommerse. Chi non annegò salvandosi sulle imbarcazioni più tardi morì di fame.\nSulla vetta del Parnaso, che ancora emergeva, ripararono Deucalione e Pirra, gli unici sopravvissuti, giusti e religiosi.\nAllora Giove liberò Aquilone perché allontanasse le nuvole e Nettuno mandò Tritone a richiamare le acque.\nSalvi ma disperati, Deucalione e Pirra si rivolsero alla dea Temi che aveva un oracolo sul monte. Fu loro ordinato di gettare sassi dietro le spalle e, miracolosamente, i sassi gettati da Deucalione divennero uomini, donne quelli scagliati da Pirra.\nA poco a poco la terra rigenerò la vegetazione e la fauna.Nel 'De Syria Dea' di Luciano, si racconta che Deucalione avrebbe costruito, nella 'Città sacra', in Siria, un tempio in onore della dea Giunone, nei pressi di una voragine formatasi a seguito del diluvio.\n\nGalleria d'immagini.\nDeucalione e Pirra.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Deucalione e Pirra.\n### Descrizione: Deucalione e Pirra sono i due protagonisti della variante greca del mito del diluvio universale.\nDeucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo ed Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli. Gli dei permisero loro di salvarsi dal diluvio che si sarebbe abbattuto sulla terra in modo che facessero rinascere l'umanità.\nSu ciò che avviene dopo il diluvio esistono due versioni, che comunque portano allo stesso epilogo.\nSecondo una prima versione essi hanno, come premio per la loro virtù, diritto ad un desiderio, ed essi chiedono di avere con loro altre persone. Zeus consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre dietro la loro schiena, e queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra.\nSecondo un differente racconto l'idea di gettare pietre deriva da una profezia dell'oracolo di Temi, che indicava ai due di lanciare dietro di loro 'le ossa della grande madre'. Essi comprendono allora che l'oracolo si riferisce alla Terra, ricordiamo che entrambi sono figli di Titani, e che le ossa della Terra sono le pietre, quindi se le lanciano alle spalle e queste si tramutano in uomini e donne ripopolando la terra.\nIl mito è spesso collocato nell'Epiro, sull'Etna o in Tessaglia.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Diana di Versailles.\n### Descrizione: La Diana di Versailles è una statua di marmo, poco più grande della grandezza naturale, raffigurante la dea greca Artemide (Diana nella mitologia romana) con un capriolo. L'opera si trova al Museo del Louvre di Parigi. È una copia romana (I-II secolo d.C.) da un originale bronzeo greco, attribuito a Leocare (325 a.C. circa) e andato perduto. La statua è anche nota come Diane à la biche (in francese Diana della cerva), Diane Chasseresse (Diana cacciatrice), Artemide della caccia oppure Artemide con la cerva.\n\nStoria.\nLa statua fu scoperta in Italia: il sito web del Louvre suggerisce nella città di Nemi, dove in antichità era presente un santuario; altre fonti ritengono che sia stata rinvenuta a Tivoli, nei pressi di Villa Adriana; statue dal medesimo soggetto sono state trovate nelle aree archeologiche di Leptis Magna (odierna Libia) e Adalia (attuale Turchia). Nel 1556 fu donata da Papa Paolo IV a Enrico II di Francia, con un sottile ma ineludibile allusione alla sua maîtresse-en-titre, Diana di Poitiers.\nFu installata come elemento principale nel giardino della Regina (jardin de la Reine) presso il castello di Fontainebleau, esposta ad ovest della Galleria dei cervi; lì era l'opera che spiccava maggiormente ed era tra le prime sculture romane ad essere viste in Francia. 'Sola tra le statue esportate dall'Italia prima della seconda metà del XVII secolo, la Diana cacciatrice acquisì una reputazione fuori dall'Italia pari ai capolavori del Belvedere o di Villa Borghese', sebbene i suoi visitatori la confondessero con l'Artemide di Efeso.\nNel 1602 Enrico IV la rimosse per trasferirla al Palazzo del Louvre, dove la statua fu installata in una galleria progettata appositamente per essa, la Salle des Antiques (Sala degli Antichi, ora Salle des Caryatides, Sala delle Cariatidi). All'epoca il suo restauro fu ad opera di Barthélemy Prieur. Fu sostituita nel Palazzo di Fontainebleau da una copia bronzea del Prieur nel 1605; la copia fu posta su di un alto piedistallo marmoreo in stile manierista, elaborato dall'ingegnere idraulico Tommaso Francini, con riproduzioni di cani da caccia e teste di cervo bronzei dai quali fuoriescono zampilli d'acqua, con un parterre circondato da una limonaia. Un'ulteriore replica in bronzo delle stesse dimensioni fu realizzata nel 1634 da Hubert Le Sueur per Carlo II d'Inghilterra, il cognato di Luigi XIII di Francia.La Diana fu spostata nella Galleria degli Specchi della Reggia di Versailles da parte di Luigi XIV. Per il castello di Marly fu eseguita una copia marmorea nel 1710 da Guillaume Coustou. Poiché considerata uno dei tesori francesi, la Diana cacciatrice tornò al Louvre nell'An VI della Prima Repubblica (1798). Fu restaurata una seconda volta nel 1802 da Bernard Lange.\nUna miniatura dell'opera si trovava sul caminetto del salotto di prima classe del Titanic. Nel 1986, Robert Ballard scoprì e fotografò la statua sul fondale marino vicino alla prua del relitto.\n\nDescrizione.\nDiana è rappresentata come una cacciatrice dalla figura snella e mascolina, seguita da un cervo (più piccolo rispetto alle dimensioni reali) colmo di vitalità. Lei guarda verso destra, forse proprio verso un cervo, siccome con la mano destra alzata prende una freccia dalla faretra. Nella mano sinistra sta impugnando un arco, in gran parte andato perduto, pronta per attaccare; proprio la mancanza dell'arco trasforma il soggetto da cacciatrice e preda a uno pastorale. Diana, o Artemide, indossa un chitone dorico, un himation attorno alla sua vita e dei sandali.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Diana e Atteone (arte).\n### Descrizione: Diana e Atteone è un soggetto classico della pittura, della scultura e della musica che godette di una diffusione amplissima tra il sedicesimo e il diciottesimo secolo.\n\nDescrizione.\nIl tema deriva dalla mitologia greca e romana e si rifà ad un episodio delle Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone. Secondo il mito, il cacciatore Atteone, nipote di Cadmo, si imbatte inconsapevolmente in Diana (Artemide per i greci), la dea della caccia, nota per la sua castità: quest'ultima si sta facendo un bagno nuda in una sorgente con le sue compagne ninfe. Essendosi rese conto del cacciatore, le ninfe urlano e cercano di coprire la dea adirata che, per impedire che egli vada a raccontare l'accaduto, gli spruzza dell'acqua sulla testa, tramutandolo in un cervo. Non riconoscendolo, i cani da caccia di Atteone comincieranno a inseguirlo ed egli scapperà fino ad una fonte dove si accorgerà della sua metamorfosi. Infine, i suoi segugi lo raggiungeranno e lo sbraneranno.Raffigurato raramente in epoca classica, con l'epoca rinascimentale, questo episodio ebbe maggiore fortuna, perchè divenne un pretesto per raffigurare dei nudi femminili in un paesaggio naturale ricco di contrasti tonali. Atteone viene per lo più ritratto con due corna da cervo sulla fronte, con la testa mutata o a trasformazione completata. Alcuni autori si concentrarono sul momento della metamorfosi, altri (come Tiziano Vecellio) sulla scena del bagno, mentre pochi raffigurarono il culmine violento della vicenda (come in un quadro tizianesco concluso nel 1575). Un celebre esempio sono gli affreschi dipinti dal Parmigianino per la Stufetta di Diana e Atteone della Rocca Sanvitale a Fontanellato. Questo ciclo di affreschi raffigura la trasformazione del cacciatore in cervo e la sua morte cruenta. La storia era popolare nelle maioliche rinascimentali italiane.\nIn epoca barocca e rococò, il tema dell'assalto dei cani da caccia divenne popolare nella statuaria destinata a parchi e giardini, come il gruppo scultoreo situato nei giardini della reggia di Caserta, in Campania. Con il tempo il tema andò svanendosi lentamente, anche se non del tutto: nel 1946, la pittrice messicana Frida Kahlo trasse ispirazione da questa storia per realizzare un dipinto nel quale un cervo dal volto umano, simile al suo, fugge nella foresta trafitto da alcune frecce.\n\nPittura.\nMatteo Balducci, Diana e Atteone, prima metà del XVI secolo.\nParmigianino, Stufetta di Diana e Atteone, 1524.\nLucas Cranach il Vecchio, Diana e Atteone (Diana und Aktäon) ,1540 circa.\nTiziano Vecellio:.\nDiana e Atteone, 1556.\nMorte di Atteone, 1559–1575François Clouet, Il bagno di Diana (Le Bain de Diane), 1559-1560.\nPaolo Veronese, Diana e le ninfe sorprese da Atteone, tra il 1560 e il 1569.\nBernaert Rijckere, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1573.\nJacopo Bassano, Diana e Atteone, tra il 1580 e il 1590.\nJoseph Heintz il Vecchio, Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), 1590 circa.\nJohann Rottenhammer, Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), tra il 1596 e il 1606.\nAlessandro Turchi, Diana e Atteone, 1600 circa.\nCavalier d'Arpino:.\nDiana e Atteone, 1602-1603.\nDiana e Atteone, 1603.\nCristoph Gertner (attribuito), Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), tra il 1610 e il 1615.\nFrancesco Albani, Diana e Atteone, 1617.\nHendrick van Balen il Vecchio, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1621.\nRembrandt van Rijn, Bagno di Diana e storie di Atteone e Callisto (Das Bad der Diana mit Aktäon und Kallisto), 1634.\nMichel Dorigny, Diana e Atteone (Diane et Actéon), 1635-1640.\nVictor Wolfvoet il Giovane, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1639-1652.\nJacob Jordaens, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), 1640 circa.\nFrancesco Albani, Atteone trasformato in cervo, 1640 circa.\nPietro Liberi, Diana e Atteone, 1660 circa.\nJames Thornhill, Diana e Atteone (Diana and Actaeon), 1704-1705.\nGiambattista Tiepolo, Diana e Atteone, 1720-1721.\nLouis Galloche, Diana e Atteone (Diane et Actéon), 1725.\nJean-François de Troy, Diana sorpresa da Atteone (Diane suprise par Actéon), 1734.\nGiacomo Ceruti, Diana e le ninfe sorprese da Atteone, 1744.\nMartin Johann Schmidt, Diana e Atteone (Diana und Aktaeon), 1785.\nThomas Gainsborough, Diana e Atteone (Diana and Actaeon), 1785-1788.\nAndrea Appiani, Diana e Atteone, 1801 circa.\nRoman Maksimovič Volkov, Diana, circondata dalle ninfe, e Atteone (Diana, okružennaja nimfami, i Akteon), 1810 circa.\nHermann Steinfurth, Diana sorpresa da Atteone a farsi il bagno (Diana wird von Aktäon im Bade überrascht), 1847.\nHenryk Siemiradzki, Diana e Atteone (Diana i Akteon), 1886.\nZygmunt Waliszewski, Diana e Atteone (Diana i Akteon), 1935.\n\nDisegno.\nHans Speckaert, Diana e Atteone (Diana en Aktaeon), prima del 1577.\nThéodore Chassériau, Diana e Atteone (Diane et Actéon), 1840.\n\nScultura.\nFrancesco Mosca, Rilievo di Diana e Atteone, 1554-1564 circa.\nPietro Solari, Paolo Persico e Angelo Brunelli, sculture dalla Fontana di Diana e Atteone della Reggia di Caserta, seconda metà del XVIII secolo.\nLibero Andreotti, Diana e Atteone, 1913-1914.\nJohn Paddison, Diana e Atteone (Diana and Actaeon), 1990-1997.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology.\n### Descrizione: Il Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology ('Dizionario di biografia e mitologia greca e romana') è un dizionario biografico e storico-mitologico in lingua inglese sulla cultura classica greca e latina, compilato da William Smith in 3 volumi e pubblicato per la prima volta a Londra da Taylor, Walton & Maberly e da John Murray nel 1849.\n\nCaratteristiche.\nL'opera annovera 35 autori, oltre al curatore che è anche autore di alcuni articoli. Gli autori sono studiosi classici, provenienti perlopiù da Oxford, Cambridge, dalla Rugby School e dall'Università di Bonn. Molte voci mitologiche furono scritte dal tedesco espatriato Leonhard Schmitz, che contribuì a diffondere gli studi classici tedeschi in Gran Bretagna.Per quanto riguarda le biografie, Smith scrive:.\n\nMolti articoli sono riportati in opere più recenti e Robert Graves è stato accusato di aver tratto senza troppi riguardi o verifiche informazioni dal Dizionario di Smith per la redazione della sua celebre opera I miti greci. Il dizionario è ormai di dominio pubblico ed è disponibile in diversi siti su Internet. Se da una parte rimane ancora ampiamente accurato (soltanto raramente il testo antico citato è stato alterato), dall'altra è ormai superato, soprattutto a causa delle scoperte successive (come ad esempio La Costituzione degli Ateniesi di Aristotele, o la decifrazione della Lineare B) e dei ritrovamenti epigrafici e papirologici; inoltre, il contesto nel quale vengono valutate le antiche testimonianze è spesso cambiato nel corso di un secolo e mezzo.\n\nLista degli autori.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Didima.\n### Descrizione: Dìdima (in greco antico Δίδυμα) fu un'antichissima città greca della Ionia, presso l'odierna cittadina turca Didim (vicino a Yeni Hisar nel distretto di Söke in provincia di Aydın).\n\nOrigini.\nLa città si formò direttamente all'esterno del maestoso santuario che ospitava il tempio e l'oracolo di Apollo, il cosiddetto Didymaion. In greco didyma significa 'gemello'; i greci reinterpretarono in tal senso il toponimo già esistente, che deriverebbe invece dalla lingua caria, analogo a Idyma, Cibyma, Olymos, Loryma, Sidyma, come notò Joseph Eddy Fontenrose.\n\nL'epoca d'oro.\nDidima fu, al pari di Delfi, la più rinomata stazione oracolare di tutto l'antico mondo ellenistico, menzionata dai Greci fin dall'epoca degli Inni omerici ad Apollo, come citato da Fontenrose il quale dimostra che lo 'Zeus Didymeus' menzionato da Nicandro è un fantasma che prende il nome da un epiteto meramente geografico: lo Zeus di Didima.\nSia Erodoto sia Pausania datano il santuario a epoca antecedente alla colonizzazione degli Ioni, che abitarono la città dal VI secolo a.C.\nProbabilmente connesso con l'antico culto di Cybele Dyndimena, l'oracolo, e il suo tempio costruito attorno al VII secolo a.C., erano succeduti al suo cuore più antico edificato a partire dal II millennio a.C. e in seguito arricchito da Creso, l'ultimo sovrano della Lidia.\nFino alla sua distruzione da parte dei Persiani, questa città veniva amministrata dai Branchidi, i sedicenti discendenti del leggendario Branco, giovane amato da Apollo.\n\nLa distruzione e la ricostruzione.\nLa città venne distrutta nel 494 a.C. da Dario I in una incursione persiana a seguito della quale fu trafugata ad Ecbatana la statua bronzea di Apollo che, secondo la tradizione, era opera di Cànaco di Sicione.\nNel 334 a.C. con la conquista di Alessandro il Grande venne riparato e riconsacrato il tempio, che da allora passò alle dipendenze di Mileto.\nNel 300 a.C. Seleuco I, uno dei generali di Alessandro che gli succedettero, riportò al tempio alcuni dei tesori trafugati, tra cui la statua bronzea del dio, mentre i milesi diedero inizio a una grande ristrutturazione con l'edificazione di un diptero di Ordine ionico, un pronao di tre file di colonne e numerose altre imponenti innovazioni che lo fecero poi divenire il tempio più grande del mondo greco.\nIl tempio venne chiuso definitivamente dal prefetto Materno Cinegio tra il 384 e il 388.\n\nGalleria d'immagini.\nDidima.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Diluvio universale.\n### Descrizione: Il diluvio universale (o anche semplicemente il Diluvio) è la storia mitologica di una grande inondazione mandata da una o più divinità per distruggere la civiltà come atto di punizione divina. È un tema ricorrente in molte culture, anche se generalmente le più conosciute in tempi moderni sono il racconto biblico dell'arca di Noè, la storia Indù Puranica di Manu, passando per la storia di Deucalione nella mitologia greca e per l'Utnapishtim nell'epopea di Gilgameš della mitologia babilonese.\nLa diffusione di un simile mitologema in culture molto diverse ha suggerito che possa esistere un fondamento di realtà: un'antica catastrofe, ingigantita e mitizzata, che è giunta fino a noi, dapprima tramite la tradizione orale, poi grazie agli scritti antichi.\n\nOpinioni e teorie sul Diluvio.\nIn linea generale esistono tre opinioni sul Diluvio:.\n\nChi ritiene che sia accaduto come viene tramandato dalla propria fede religiosa;.\nChi ritiene che sia solo un mito e non sia mai accaduto;.\nChi ritiene che derivi da uno o più eventi realmente accaduti, successivamente ingigantiti e/o mitizzati.\n\nIl Diluvio secondo la Bibbia.\nL'opinione che il racconto biblico del Diluvio descriva un evento reale e che dalla Bibbia si possa risalire approssimativamente alla data reale in cui tale diluvio sarebbe avvenuto è tipica dei creazionisti della terra breve.\nSecondo queste congetture, l'evento sarebbe avvenuto in Mesopotamia e l'Arca sarebbe approdata sul monte Ararat.\nLa data che si ottiene elaborando la cronologia biblica non è definita con precisione e soprattutto è notevolmente diversa a seconda che si utilizzi il testo ebraico, quello greco o quello samaritano.\nLa maggior parte dei creazionisti utilizza il testo ebraico, che implica una data del diluvio tra il XXIV e il XXIII secolo a.C. (se la data della creazione viene posta al 4004 a.C., secondo i calcoli del vescovo anglicano Usher, il Diluvio sarebbe iniziato nel 2348 a.C.). Questa data è troppo vicina all'epoca storica e risulta in conflitto con le conoscenze archeologiche sulla storia antica degli Egiziani e dei Sumeri.\nSeguendo invece le datazioni proposte dal testo greco della Bibbia dei LXX, la creazione può essere collocata nel VI millennio a.C., e il Diluvio circa nel 3400 a.C.\nLa scienza medievale credeva che le conchiglie e i molluschi rinvenuti in alta montagna si fossero depositati dopo il ritiro delle acque del Diluvio universale.\n\nIl Diluvio: solo un mito.\nA partire dall'illuminismo, con la scienza e la filosofia che andavano via via smarcandosi dalla teologia, molti studiosi iniziarono ad interrogarsi sulla verità dei miti che da sempre accompagnavano la cultura umana; tra questi il racconto del diluvio universale.\nIl metodo scientifico richiede osservazioni, logica, prove ed esperimenti, e la tesi del Diluvio poteva portare ben pochi riscontri in questi campi. Così, a partire dall'inizio dell'Ottocento, la tesi che il Diluvio fosse solo un mito prese sempre più piede negli ambienti scientifici, mentre la cultura popolare rimase fedele alle narrazioni legate alla propria fede religiosa. La situazione permane sostanzialmente immutata fino ad oggi, 'nonostante le goffe e incolte resistenze degli ambienti più conservativi, secondo cui entrambi (ed altri) racconti potrebbero risalire tramite una «memoria» plurimillenaria ad un evento reale da collocarsi nei tempi geologici, si tratta invece di un caso evidente di derivazione letteraria [e] in quanto archetipo mitico, il diluvio universale non può e non deve essere «spiegato» come memoria di una qualche catastrofe preistorica; può e deve essere spiegato come elaborazione di eventi ricorrenti (in questo caso annuali) e parte dell'esperienza comune', come evidenzia lo storico e archeologo Mario Liverani.Lo storico Bart Ehrman evidenzia anche come un diluvio universale sia 'materialmente impossibile: non esiste alcuna testimonianza geologica, anzi, è provato il contrario. È quindi più sensato pensare che questi vari testi abbiano avuto origine in culture radicate in aree soggette periodicamente a inondazioni, alcune delle quali devono essere state così devastanti da ispirare tali miti'.\nAnche gli esegeti della Bibbia Edizioni Paoline, in merito al diluvio e in specifico a quello descritto nella Bibbia, osservano 'alle spalle di questa narrazione ci sono elementi arcaici che rielaborano miticamente una catastrofe mesopotamica divenuta oggetto anche di poemi mitologici orientali come la famosa Epopea di Gilgamesh o il poema di Atrahasis. Questo tragico ricordo si riferiva forse ad una calamità antica e terribile, rimasta per frammenti nella memoria collettiva: qualcosa di collegato al Tigri e all'Eufrate, i due grandi fiumi della regione, fonti di benessere e di tragedia [...] ma con l'improvviso sciogliersi primaverile delle nevi possono invece diventare portatrici di catastrofi. Appunto di fronte ad un'alluvione eccezionale si era elaborata in Mesopotamia la storia epica di un cataclisma universale, provocato, secondo la teologia babilonese, da capricciose divinità decise a sterminare il genere umano'.\nCon lo sviluppo della psicanalisi, alcuni studiosi si sono cimentati a dare persino qualche interpretazione sul senso di un racconto tanto diffuso, considerato come frutto di una paura primitiva della mente umana, ma queste interpretazioni non sono condivise nemmeno tra i cultori del campo psicanalitico.\n\nIl Diluvio: un possibile evento veramente accaduto.\nA partire dal 1880, con le prime traduzioni dell'epopea di Gilgameš, il racconto del Diluvio cominciò ad essere rivalutato.\nSchliemann aveva da poco scoperto Troia, dimostrando che quello che si riteneva un mito era una realtà storica. L'esistenza di un testo mitologico di una cultura estranea a quella biblica, che descriveva un evento simile a quello del Diluvio, cominciò a far pensare che, anche in questo caso, dietro il presunto mito si nascondesse un nocciolo di realtà storica.\nI primi a interessarsi all'argomento furono i fautori delle 'tesi teologiche'; ma sulla scia si accodarono anche altri studiosi più 'laici', i quali ritenevano che dietro le narrazioni del Diluvio, tramandate dalle antiche popolazioni in forma di racconti mitologici, si nascondesse il ricordo di uno o più eventi realmente accaduti.\nIn più di un secolo sono state sviluppate tante teorie, volte ad individuare quale possa essere l'evento, o gli eventi, all'origine del racconto del Diluvio. Di seguito ne sono sintetizzate alcune (l'elenco non è esaustivo).\n\nIpotesi dell'alluvione mesopotamica.\nL'ipotesi che ha avuto maggiori sostenitori nel XX secolo è quella secondo cui, all'origine del mito del Diluvio, vi sia stata un'eccezionale alluvione preistorica nell'area mesopotamica.\nNel periodo post-glaciale la Mesopotamia vantava un clima molto diverso da quello attuale, molto più umido e con maggiori flussi fluviali. Si ipotizza che l'area (già molto antropizzata per la fioritura delle prime culture neolitiche) ad un certo momento della Preistoria sia stata interessata da un'imponente alluvione con un effetto devastante sulla popolazione che viveva in prossimità dei fiumi. Solo chi già disponeva di imbarcazioni abbastanza grandi (e in grado di trasportare provviste) ebbe la possibilità di salvarsi.\nL'evento eccezionale, tramandato dai sopravvissuti, sarebbe stato poi ingigantito, mitizzato e inquadrato nella struttura di credenze delle culture successive.\n\nTeoria dell'inondazione preistorica del Mar Nero.\nNel 1998 William Ryan e Walter Pitman, geologi della Columbia University, pubblicarono le prove che una massiccia inondazione attraverso il Bosforo si verificò intorno al 5600 a.C. Lo scioglimento dei ghiacci in epoca post-glaciale aveva trasformato il Mar Nero e il Mar Caspio in vasti laghi d'acqua dolce, mentre il livello del mare continuava a rimanere basso a livello globale. I laghi d'acqua dolce riversavano le loro acque nel Mar Egeo. Dal momento che i ghiacciai si erano ritirati, i fiumi che si riversavano nel Mar Nero riducevano la loro portata e trovavano nuovi sbocchi verso il Mare del Nord e il livello del Mar Nero tendeva ad abbassarsi a causa dell'evaporazione. Quindi, suggeriscono Ryan e Pitman, intorno al 5600 a.C. il Mediterraneo, il cui livello stava aumentando, alla fine straripò oltre il Bosforo. L'evento avrebbe allagato 155000 km² di territorio e avrebbe ingrandito significativamente le dimensioni del Mar Nero verso nord e ovest.Nonostante l'agricoltura del Neolitico avesse a quel tempo già raggiunto le pianure della Pannonia, l'autore collega la sua diffusione al trasferimento dei popoli allontanatisi dai territori allagati. La data del disastro, le sue conseguenze sulle popolazioni e la posizione geografica suggeriscono che l'evento potrebbe essere la fonte della narrazione che si trova trascritta nei racconti della Mesopotamia (Epopea di Gilgamesh) e nella Genesi.\nQuesta ipotesi è supportata da una serie di altri dati che possono sembrare conferme: traccia del livello del mare in un canyon alla destra del Bosforo, sensibili anomalie nella distribuzione di strati di acqua, depositi marini di acqua dolce del livello del mare e ricoperto di torbidità, sedimenti, tracce di sedimenti fossili al di sotto del livello attuale del mare, ecc.\nSe si accetta l'ipotesi del rilascio catastrofico di acqua attraverso il Bosforo, si può anche pensarne l'origine in un evento sismico su una falla nel nord dell'Anatolia nella zona della Marmara e dei Dardanelli, una delle regioni più sismicamente attive al mondo. L'analisi dei sedimenti del Mar Nero nel 2004 da parte di un gruppo di ricerca paneuropeo (Assemblage - Noah Project) ha confermato la conclusione di Pitman e Ryan. Inoltre, i calcoli di Mark Siddall avevano previsto un canyon sommerso che venne in seguito trovato.\nL'ipotesi di una cascata catastrofica, che interesserebbe comunque un'area limitata, è stata accettata da molti, ma non in modo unanime.\n\nTeorie glaciologiche.\nLe teorie glaciologiche sono accomunate dall'ipotizzare che il diluvio sia avvenuto alla fine dell'ultima glaciazione, risalente a circa diecimila anni fa. Lo scioglimento dei ghiacci in seguito all'aumento della temperatura post-glaciazione avrebbe determinato l'innalzamento del livello dei mari. Eventi catastrofici localizzati potrebbero essere stati determinati anche dall'improvviso straripamento di enormi laghi, la cui esistenza è stata sostenuta dai geologi. Possibili indizi ed eventi da associare alle teorie glaciologiche sono:.\n\nuna grossa esondazione tra il Mar Mediterraneo e il Mar Nero tra l'8500 a.C. e il 7150 a.C., dopo l'ultima glaciazione; in conseguenza di ciò, il livello del mare si sarebbe alzato di 155 metri e le onde avrebbero coperto una regione di 150 000 km². Studi fatti sul Monte Carmelo e in Galilea hanno rilevato la sommersione di sei villaggi neolitici. L'archeologo inglese Sean Kingsley, tuttavia, attribuisce il fenomeno ad un'onda anomala localizzata.\n\nEruzione minoica di Thera.\nSecondo un'altra teoria, il Diluvio sarebbe avvenuto in conseguenza di uno tsunami (1630 a.C.-1600 a.C.) causato dall'eruzione minoica di Thera; sembra però che questa eruzione abbia colpito il Mar Egeo e Creta, non toccando la Grecia.\n\nIpotesi del meteorite.\nIl Diluvio sarebbe avvenuto in conseguenza alla caduta di un meteorite nell'Oceano Indiano (3000-2800 a.C.), causa di un cratere di 30 km, che avrebbe generato giganteschi tsunami, con l'inondazione di coste e isole. Un'altra ipotesi fa riferimento al presunto cratere corrispondente al lago Umm al Binni, nell'Iraq meridionale, causato probabilmente dalla caduta di un meteorite verso l'inizio della civiltà dei Sumeri, cioè tra il 5000 e il 4000 a.C.\nIl presunto impatto sarebbe quindi avvenuto in un periodo storico del quale i discendenti di quelle antiche popolazioni potevano avere memoria, e questo spiegherebbe un riferimento a questa catastrofe presente nell'epopea di Gilgamesh, tanto più che il cratere si troverebbe proprio in una delle aree di nascita della civiltà sumera, circa 100 km a est della città di Ur. Il fatto narrato nel poema, pur essendo un episodio mitologico, farebbe riferimento a una catastrofe realmente avvenuta in quella stessa zona alcuni millenni prima.\nIn questo caso l'impatto, che avvenne in un luogo a quel tempo sotto il livello del mare o comunque molto vicino alla costa, avrebbe provocato frequenti piogge nella zona per l'evaporazione dell'acqua e forse un enorme maremoto, di cui si sarebbero trovate tracce in un deposito di sedimenti sabbiosi, spesso più di due metri, scoperto proprio a Ur. L'effetto di questo ipotetico maremoto in Mesopotamia sarebbe effettivamente paragonabile a quello del diluvio universale, mentre è possibile supporre che le piogge abbiano portato prosperità e fertilità del terreno anche in una zona come quella del vicino deserto Arabico.\n\nIl racconto del Diluvio in varie culture.\nEuropa.\nScandinavia.\nNella mitologia norrena esistono due diluvi separati. Secondo l'Edda in prosa di Snorri Sturluson, il primo si ebbe all'alba dei tempi, prima che il mondo fosse creato. Ymir, il primo gigante, venne ucciso dal dio Odino e dai suoi fratelli Víli e Vé, e quando Ymir morì, perse così tanto sangue dalle sue ferite che fece affogare quasi l'intera razza di giganti, con l'eccezione del gigante di brina Bergelmir e di sua moglie. Essi scapparono su una nave e sopravvissero, divenendo i progenitori di una nuova razza di giganti. Il corpo di Ymir venne usato per formare la terra mentre il suo sangue divenne il mare.\nIl secondo diluvio, nella linea temporale della mitologia norrena, è destinato ad accadere nel futuro durante il Ragnarǫk, la battaglia finale tra gli dei e i giganti. Durante questo evento apocalittico, Jormungandr, il grande serpente marino che giace nelle profondità del mare circostante Miðgarðr, il regno dei mortali, salirà dagli abissi marini e si unirà al conflitto; questo causerà un'alluvione catastrofica che sommergerà la Terra. Tuttavia, dopo il Ragnarök la Terra rinascerà, e comincerà una nuova era per l'umanità.\n\nIrlanda.\nSecondo il Lebor Gabála Érenn, un libro che racconta la mitologia irlandese, i primi abitanti dell'Irlanda, guidati dalla nipote di Noè, Cessair, vennero quasi tutti spazzati via da un'inondazione quaranta giorni dopo aver raggiunto l'isola; si salvò soltanto una persona. Più avanti, dopo che il popolo di Partholón e Nemed ebbe raggiunto l'isola, ci fu un altro diluvio che uccise tutti gli abitanti tranne una trentina, che si sparsero per il mondo. Dato che i primi a scriverne la storia furono monaci cattolici (prima era tramandata oralmente), è possibile che i riferimenti a Noè siano stati inseriti nella storia, nel tentativo di cristianizzare il paese.\n\nGrecia.\nDeucalione e Pirra, rispettivamente figli di Prometeo ed Epimeteo, erano due anziani coniugi senza figli, scelti per salvarsi dal diluvio che sarebbe caduto sulla Terra e quindi per far rinascere l'umanità. Su ciò che avviene dopo il diluvio esistono due versioni, che comunque portano allo stesso epilogo. Secondo la versione di Igino nelle Fabulae (153) i due coniugi hanno, come premio per la loro virtù, diritto a un desiderio, ed essi chiedono di avere con loro altre persone; Zeus consiglia allora ai due superstiti di gettare pietre dietro la loro schiena, e queste non appena toccano terra si mutano in persone, in uomini quelle scagliate da Deucalione, in donne quelle scagliate da Pirra. Invece, secondo il racconto di Ovidio (Le metamorfosi I, vv. 347-415), l'idea di gettare pietre deriva da una profezia dell'oracolo di Temi, che indicava ai due di lanciare dietro di loro le ossa della loro madre: essi comprendono allora che l'oracolo si riferisce alla Terra (ricordiamo che entrambi sono figli di titani), ed essi agiscono di conseguenza. Il mito è spesso collocato nell'Epiro, sull'Etna o in Tessaglia.\n\nMedio-Oriente.\nMesopotamia.\nIl racconto biblico dell'Arca di Noè presenta delle somiglianze con l'analogo mito babilonese descritto nell'epopea di Gilgamesh, che narra di un antico re sumero di nome Utanapishtim che fu aiutato dal dio della giustizia e della saggezza, Enki o Ea, a costruire un'imbarcazione, nella quale avrebbe potuto salvarsi dal diluvio inviato da Enlil. La più antica versione dell'epopea di Atraḫasis (di origine sumera) è stata datata all'epoca del regno del pronipote di Hammurabi, Ammi-saduqa, tra il 1646 a.C. e il 1626 a.C., e ha continuato ad essere riproposta fino al primo millennio a.C.\nLa leggenda di Ziusudra, a giudicare dalla scrittura, potrebbe risalire alla fine del XVI secolo a.C., mentre la storia di Utnapishtim, che ci è nota grazie a manoscritti del primo millennio a.C., è probabilmente una variazione dell'epopea di Atraḫasis di origine sumera.\nLe varie leggende mesopotamiche sul Diluvio hanno conosciuto una notevole longevità, tanto che alcune di esse sono state trasmesse fino al III secolo a.C.\nGli archeologi hanno trovato un considerevole numero di testi originali in lingua sumera, accadica e assira, redatti in caratteri cuneiformi su tavolette di creta. La ricerca di nuove tavolette prosegue, come la traduzione di quelle già scoperte.\nSecondo un'ipotesi scientifica, l'evidente parentela tra la tradizione mesopotamica e quella biblica potrebbe avere come radice comune la rapida salita delle acque nel bacino del Mar Nero, oltre sette millenni fa, a causa della rottura della diga naturale costituita dallo stretto del Bosforo.\n\nL'epopea di Atraḫasis, scritta in accadico (la lingua dell'antica Babilonia), racconta come il dio Enki ingiunge all'eroe di Shuruppak di smantellare la propria casa, fatta di canne, e di costruire un battello per sfuggire al Diluvio che il dio Enlil, infastidito dal rumore delle città, intende mandare per sradicare l'umanità.Il battello deve disporre di un tetto 'simile a quello di Apsû' (l'oceano sotterraneo di acqua dolce di cui Enki è signore), di un ponte inferiore e di uno superiore, e deve essere impermeabilizzato con bitume.Athrasis sale a bordo con la sua famiglia e i suoi animali, e ne sigilla l'entrata.La tempesta e il Diluvio cominciano, 'i cadaveri riempiono il fiume come libellule', e anche gli dèi si spaventano.Dopo sette giorni il diluvio cessa, e Athrasis offre dei sacrifici. Enlil è furioso, ma Enki lo sfida apertamente, dichiarando di essersi impegnato alla preservazione della vita. Le due divinità si accordano infine su misure diverse, per regolare la popolazione umana.Della storia esiste anche un'altra versione assira più tarda.\nLa leggenda di Ziusudra, scritta in sumero, è stata ritrovata nei frammenti di una tavoletta di Eridu. Essa narra di come lo stesso dio Enki avvertì Ziusudra, («egli ha visto la vita», in riferimento al dono di immortalità che gli fu concesso dagli dei), re di Shuruppak, della decisione degli dei di distruggere l'umanità ad opera di un diluvio, il passaggio con la spiegazione di questa decisione è andato perduto. Enki incarica allora Ziusudra di costruire una grande nave, ma le istruzioni precise sono andate anch'esse perdute. Dopo un diluvio di sette giorni, Ziusudra procede ai sacrifici richiesti e si prostra poi di fronte ad An, il dio del cielo, ed Enlil, il capo degli dei. Riceve in cambio la vita eterna a Dilmun, l'Eden sumero.L'epopea babilonese di Gilgamesh racconta le avventure di Utanapishtim (in realtà una traduzione di «Ziusudra» in accadico), originario di Shuruppak. Ellil (equivalente di Enlil), signore degli dei, vuole distruggere l'umanità con un diluvio. Il dio Ea (equivalente di Enki) consiglia ad Uta-Napishtim di distruggere la sua casa di canne e di utilizzarne il materiale per costruire un'arca, che deve caricare con oro, argento, e la semenza di tutte le creature viventi e anche di tutti i suoi artigiani. Dopo una tempesta durata sette giorni ed altri dodici giorni passati alla deriva sulle acque, l'imbarcazione si arena sul monte Nizir, che è presumibilmente la montagna conosciuta oggi come Pir Omar Gudrun (2743 m. d'altitudine), vicino alla città di Sulaymaniyah nel Kurdistan iracheno. Il nome può significare 'Monte della salvezza'. Dopo altri sette giorni Uta-Napishtim manda fuori una colomba, che ritorna, poi una rondine, che torna indietro anch'essa. Il corvo, alla fine, non ritorna. Allora Uta-Napishtim fa sacrifici agli dei a gruppi di sette. Quelli sentono il profumo del grasso arrosto e affluiscono 'come le mosche'. Ellil è infuriato che gli umani siano sopravvissuti, ma Ea lo rimprovera: 'Come hai potuto mandare un diluvio in questo modo, senza riflettere? Lascia che il peccato riposi sul peccatore, e il misfatto sul malfattore. Fermati, non lasciare che accada ed abbi pietà [che gli uomini non periscano]'. Uta-Napishtim e sua moglie ricevono allora il dono dell'immortalità, e se ne vanno ad abitare 'lontano, alla foce dei fiumi'.\nNel III secolo a.C. Berosso, gran sacerdote del tempio di Marduk a Babilonia, redasse in greco una storia della Mesopotamia (Babyloniaka) per Antioco I, che regnò dal 323 a.C. al 261 a.C. L'opera è andata perduta, ma lo storico cristiano Eusebio di Cesarea, all'inizio del IV secolo, ne trasse la leggenda di Xisuthrus, una versione greca di Ziusudra ampiamente simile al testo originale. Eusebio riteneva che l'imbarcazione fosse ancora visibile 'sui monti corcirii [sic] d'Armenia; e la gente gratta il bitume con il quale essa era stata rivestita all'esterno per utilizzarlo come antidoto o amuleto.'.\n\nAntico Egitto.\nRa, il dio solare degli Egizi, mandò la dea leonessa Sekhmet a punire l'umanità per il suo eccessivo inorgoglimento. Per evitare che la feroce divinità completasse lo sterminio, Ra sommerse la Terra di birra mista a ocra rossa: Sekhmet, scambiandola per sangue, se ne ubriacò e mise fine al massacro.\n\nBibbia.\nIl protagonista del racconto biblico, che occupa il settimo e l'ottavo capitolo della Genesi, è Noè. Incaricato da Dio di costruire un'arca per raccogliere tutti gli animali terrestri, all'inizio della catastrofe si rifugia all'interno dell'imbarcazione con la moglie, i figli e le loro mogli. Per quaranta giorni e quaranta notti la tempesta ricopre la superficie terrestre, fin sopra a tutte le montagne più alte; dopo quaranta giorni Dio fa cessare vento e pioggia e le acque cominciano a ritirarsi dopo centocinquanta giorni. L'arca - sempre secondo il racconto biblico - si arena sul monte Ararat. Noè decide quindi di lasciare andare un corvo per capire se le acque si sono abbassate completamente. L'uccello però non fa più ritorno, così decide di impiegare una colomba. La prima volta torna indietro perché non trova una superficie dove posarsi; al secondo tentativo fa ritorno portando un ramo d'ulivo nel becco, a significare che la terra è nuovamente visibile; la terza volta la colomba non torna, e Dio ordina a Noè di scendere dall'arca mentre nel cielo appare uno sfolgorante arcobaleno, segno della nuova alleanza tra Dio e gli uomini.\nSecondo alcuni critici, in merito al succedersi degli eventi narrati, andrebbe considerato come il racconto biblico sia 'frutto dell'intarsio tra due tradizioni, quella jahvista [J] molto vivace e quella Sacerdotale [P] più rigorosa ma anche più fredda. Questo innesto è venato qua e là da incongruenze'; ad esempio, come evidenziano gli esegeti dell'interconfessionale Bibbia TOB, 'secondo la narrazione «sacerdotale», il Diluvio durò un anno e dieci giorni (un intero anno secondo la versione greca); secondo quella «jahvista», sarebbe invece durato solo quaranta giorni, preceduto da una settimana e seguito da altre tre'; inoltre, 'per P le acque sopra e sotto la terra, rinchiuse là all'inizio (1,6-10), fecero irruzione sulla terra (7,11), mentre in J le acque del diluvio furono le piogge ininterrotte per 40 giorni e notti (7,12)'; anche in merito al numero degli animali portati sull'arca vi sono due versioni contrastanti in quanto 'per P, tutta la creazione è buona (Gen, 1) e le distinzioni tra puro e impuro saranno date solo al Sinai. Quindi Noè prende due di ogni animale «secondo la sua specie» [...] mentre in J Noè prende sette paia di animali puri e due animali impuri'.\n\nTradizione ebraica midrashica.\nPrecedentemente al diluvio universale, un terzo dell'umanità perse la vita in un'altra alluvione.\nUna delle cause principali della punizione fu il peccato di molti animali accoppiatisi tra loro anche se di specie differente a cui si riferisce il versetto: ...e la Terra era corrotta. Infatti, imitando i peccatori, anche il cane peccava unendosi con i lupo ed il gallo con l'anatra; un altro grave peccato fu la perdita sulla terra del seme maschile. I peccati furono l'idolatria, l'omicidio, l'immoralità ed infine il furto, infatti anche i giudici erano corrotti, non rispettando le leggi e i tribunali (Bereshit Rabbah).Tra gli animali rimasti vivi non vi furono animali ibridi, inoltre i pesci non vennero puniti perché rimasti 'innocenti'.\nLonganime, Dio attese molto la Teshuvah di quella generazione, prima di punire con il Diluvio, persino concedendo dei giorni di grande bellezza perché rinsavissero e si pentissero ma questo non avvenne: furono soprattutto nel periodo di lutto per la morte di Matusalemme a cui Dio volle dare onore e per cui attese ancora.Inoltre, prima di esso, tutte le montagne erano ricoperte di alberi e vegetazione.\nLe acque sgorgarono anche dalle riserve sotterranee e, mischiatesi persino al Ghehinnom, esse sciolsero la carne dei peccatori per l'enorme calore delle stesse e bruciarono anche le loro ossa; inizialmente essi cercarono di impedire che l'acqua fuoriuscisse dalle fonti ponendo i loro figli come ostacolo, essi non si pentirono neanche durante l'ultimo momento in cui stava per manifestarsi la giustizia divina: furono tanto sfacciati ed iniqui da dire a Noè che l'acqua non sarebbe giunta nemmeno al loro collo e che ne avrebbero fermato la fuoriuscita con i loro talloni.La tradizione spiega che essi non risusciteranno durante l'era messianica nemmeno per ricevere la punizione della vergogna.\nDio mantenne tre fonti d'acqua calda zampillante come ricordo: una è in Tiberiade (Bereshit Rabbah 33, 4; Matanot Kehunà).\nLe fonti di quanto sopraccitato sono tratte dal testo 'Il Midrash racconta. Libro Bereshit. Parte I' edito da Mamash.\n\nIslam.\nIl Corano racconta una storia simile a quella ebraico-cristiana del Diluvio della Genesi. Le maggiori differenze sono che solo Noè e pochi seguaci laici entrarono nell'arca. Il figlio di Noè (uno dei quattro) e sua moglie rifiutarono di entrare nell'arca pensando di poter affrontare il Diluvio da soli. L'arca coranica si posò poi sul monte Judi, tradizionalmente identificato con una montagna vicino Mosul nell'odierno Iraq; il nome pare derivi dal nome locale del popolo curdo del luogo, anche se questo non è certo.\nBen diversa invece la storia del crollo della diga di Ma'rib in Yemen e la susseguente inondazione (sayl al-ʿarīm), di cui parla lo stesso Corano, che avrebbe innescato mutamenti profondi nel tessuto antropico dell'Arabia, col mescolamento delle tribù arabe settentrionali e meridionali.\n\nAsia.\nIndia.\nIl racconto del Diluvio è presente nel Śatapatha Brāhmaṇa (I, 8, 1). Manu incontra un pesce mitico nell'acqua che gli era stata portata per lavarsi. Esso gli promette di salvarlo se egli, a sua volta, lo salverà. Manu conserva il pesce in un vaso, poi lo porta al mare. Si costruisce un battello e, nell'anno predetto dal pesce, avviene il diluvio. Il pesce nuota verso il battello di Manu e aggancia il suo corno all'imbarcazione conducendola fino alla montagna del nord. Manu è l'unico essere umano sopravvissuto. Pratica l'ascesi e compie un sacrificio dal quale, dopo un anno, nasce una femmina e da lei 'egli procreò questa posterità, che è la posterità di Manu' (op. cit.).\nNella versione riportata nel Bhāgavata Purāṇa (VIII, 24, 7 e segg.) il Diluvio sopraggiunge durante il sonno di Brahmā. Anche qui la rivelazione degli eventi spetta ad un pesce che poi diventerà lungo un milione di miglia. Per miracolo l'arca della salvezza è concessa al re e al capo dei sacerdoti.\nIl pesce mitico è un avatāra di Visnù.\n\nIsole Andamane.\nNelle leggende delle tribù aborigene che abitarono le Isole Andamane, le persone divennero remissive ai comandi dati loro. Puluga, il dio creatore, cessò di far visita a loro e senza avvertimenti mandò una devastante inondazione. Solo quattro persone sopravvissero: due uomini, Loralola e Poilola, e due donne, Kalola e Rimalola, che ebbero la fortuna di trovarsi su canoe. Quando scesero a terra scoprirono di aver perso il fuoco, e tutti gli esseri viventi erano morti. Puluga allora ricreò gli animali e le piante, ma non diede loro ulteriori istruzioni, e non restituì loro il fuoco.\n\nCina.\nEsistono molte fonti di leggendarie alluvioni nell'antica letteratura cinese. Alcune appaiono come un diluvio mondiale, ma molte versioni vengono riportate come inondazioni locali. Un certo numero di esse ha come tema l'alluvione causata da dèi ostili; altre sono basate su eventi storici.\nShu Jing, o Libro della Storia, probabilmente scritto attorno al 500 a.C. o prima, inizia con l'Imperatore Yao mentre affronta il problema delle acque alluvionali che hanno 'raggiunto i cieli'. Questo è il contesto per l'intervento del famoso Da Yu, che riuscì con successo a controllare le acque e fondò poi la prima dinastia cinese. La traduzione dell'edizione del 1904 datò il Diluvio cinese al 2348 a.C. circa, calcolando che questo fu lo stesso anno del Diluvio biblico secondo alcuni studiosi.\nShan Hai Jing, Il Classico delle Montagne e dei Mari, si conclude con il regnante cinese Da Yu che spende dieci anni a controllare un Diluvio le cui acque alluvionali avevano raggiunto il cielo.\nChu Ci, il Liezi, Huainanzi, Shuowen Jiezi, Siku Quanshu, Songsi Dashu, e altri libri, come pure molte leggende popolari, contengono tutti riferimenti a una donna di nome Nüwa. Nüwa riparò i cieli dopo la grande alluvione o calamità, e ripopolò il mondo con le persone. Esistono molte versioni di questa leggenda.Le antiche civiltà cinesi concentrate attorno al Fiume Giallo, vicino alla odierna Xian, credevano che le alluvioni del fiume fossero causate da draghi (rappresentanti dèi) che vivevano nel fiume, quando si arrabbiavano per gli errori commessi dagli uomini.\n\nIndonesia.\nNelle tradizioni del popolo Batak, stanziato nell'odierna Sumatra, la Terra poggiava su un enorme serpente chiamato Nāga-Padoha, che un giorno, stanco del pesante fardello, scaricò la Terra in mare. Il dio Batara-Guru sostituì il serpente con una montagna per salvare la propria figlia, che divenne la capostipite della razza umana. La Terra successivamente venne rimessa sulla testa del serpente.\n\nIndocina.\nSecondo la leggenda di Khun Borom, fondatore delle stirpi tai, le trasgressioni degli esseri umani furono punite dal Re degli Spiriti Celesti Phya Theng con una devastante alluvione. I sopravvissuti raggiunsero il Cielo a bordo di un'imbarcazione galleggiante e ottennero il perdono da Phya Theng. Tornati sulla terra si moltiplicarono generando il caos e Phya Theng inviò il figlio Khun Borom a civilizzarli.\nSi venne a creare una razza superiore che si suddivise in diversi gruppi etnici, tra cui i principali furono i siamesi nell'odierna Thailandia Centrale, i laotiani nel Laos e nella Thailandia del Nordest, i lanna nella Thailandia del Nord, gli shan in Birmania e i dai nel sud della provincia cinese dello Yunnan e nel Vietnam del Nord.\n\nMalesia.\nMito del Jakun.\nSecondo gli antichi abitanti della regione del Jakun, la Terra era solo una sottile crosta su un abisso d'acqua. Il dio Pirman spezzò la crosta, inondando e distruggendo il mondo. In precedenza, Pirman aveva creato un uomo e una donna e li aveva messi in salvo su un'imbarcazione coperta di legno di pulai. Quando la nave finalmente si fermò, la coppia si ritrovò su una terra smisurata. Il sole non era ancora stato creato e quando si fece la luce, videro sette arbusti di rododendro e sette ciuffi d'erba sambau. La donna concepì un maschio che nacque dal polpaccio destro e una femmina da quello sinistro, dai quali sarebbe discesa tutta l'umanità.\n\nMito del Kelantan.\nPer celebrare una circoncisione venne organizzata una festa durante la quale si svolsero dei combattimenti tra animali. Mentre si effettuava l'ultimo scontro, tra cani e gatti, una grande inondazione arrivò dalle montagne, da cui si salvarono solo alcuni servitori che erano stati mandati sulle colline a raccogliere legna da ardere. Subito dopo il sole, la luna, e le stelle si estinsero. Quando la luce tornò, non esisteva più la terra, e tutte le dimore degli uomini erano state distrutte.\n\nMito dei Temuan.\nSecondo la leggenda dei Temuan, i peccati degli abitanti di una delle diciotto tribù Orang Asli della penisola malese, fecero arrabbiare gli dèi e gli antenati, che li punirono con un'alluvione, il celau (tempesta della punizione). Solo due persone della tribù Temuan, Mamak e Inak Bungsuk, sopravvissero al diluvio scalando un albero sulla Gunung Raja (Montagna Reale), che divenne il luogo di nascita e la casa ancestrale della tribù Temuan.\n\nOceania.\nAustralia.\nSecondo alcuni aborigeni australiani, durante l'era dei sogni una gigantesca rana bevve tutta l'acqua del mondo dando inizio a una grande siccità. L'unica maniera per far terminare la siccità era quella di farla ridere. Dopo che ci avevano provato tutti gli animali australiani, ci riuscì un'anguilla. La rana si svegliò, cominciò a tremare, la sua faccia si rilassò, e alla fine scoppiò in una risata che risuonò come un tuono. L'acqua eruppe dalla sua bocca in un'enorme inondazione che riempì tutti i fiumi e ricoprì la Terra. Solo le montagne più alte erano visibili, come isole in mezzo al mare. Molti uomini e animali annegarono. I pellicani all'epoca erano completamente neri, mutarono il colore usando argilla bianca e passarono da isola in isola in una grande canoa, a salvare altri animali neri. Da quei tempi, il pellicano è bianco e nero in ricordo della grande alluvione.\n\nNuova Zelanda.\nSecondo la tradizione dei Ngati Porou, una tribù maori della costa est della Nuova Zelanda, Ruatapu si arrabbiò quando il padre Uenuku elevò il fratello minore Kahutia-te-rangi a un rango più alto del suo. Ruatapu invitò Kahutia-te-rangi e un grande numero di giovani di alto rango nella sua canoa e li portò in mare dove li annegò. Egli chiamò gli dèi del mare e li inviò a distruggere la Terra con un'inondazione. Mentre lottava per non annegare, Kahutia-te-rangi invocò delle megattere (paikea in Maori) per portarlo in salvo. Fu l'unico sopravvissuto del diluvio e prese il nome Paikea.\n\nPolinesia.\nDiverse storie di alluvioni e diluvi si sono tramandate nella tradizione orale dei polinesiani, anche se nessuno di essi raggiunge le proporzioni del Diluvio biblico.\nGli abitanti di Ra'iatea narrano che i due amici Te-aho-aroa e Ro'o stavano pescando e accidentalmente svegliarono il Dio dell'oceano Ruahatu con i loro ami da pesca. Arrabbiato, il Dio disse loro che avrebbe fatto scomparire Ra'iatea sotto il mare. Te-aho-aroa e Ro'o chiesero perdono, e Ruahatu li avvertì che l'unico modo per salvarsi era quello di portare le loro famiglie sull'isolotto di Toamarama. Questi così fecero, e durante la notte l'isola scivolò sotto l'oceano e riaffiorò il mattino successivo. Nessuno sopravvisse ad eccezione delle due famiglie, che eressero sacri marae (templi) dedicati al Dio Ruahatu.\nUna leggenda simile è presente a Tahiti, secondo cui l'intera isola affondò nell'oceano ad eccezione del monte Pitohiti, dove una coppia di esseri umani riuscì a fuggire con i propri animali e a sopravvivere.\nNelle Hawaii, Nu'u e Lili-noe sopravvissero ad un'inondazione rifugiandosi sulla cima del Mauna Kea. Nu'u fece sacrifici alla luna, alla quale aveva erroneamente attribuito la sua salvezza. Kane, il Dio creatore, discese sulla Terra su un arcobaleno, spiegò a Nu'u il suo errore, e accettò il suo sacrificio.\nNelle Isole Marchesi, il dio della guerra Tu si rattristò per i rimproveri ricevuti dalla sorella Hii-hia. Le sue lacrime passarono attraverso il cielo fino al mondo di sotto e crearono un torrente di pioggia che portò via tutto sul suo cammino. Solo sei persone sopravvissero.\n\nAmerica.\nMi'kmaq.\nNella mitologia Mi'kmaq, il male e la cattiveria tra gli uomini crebbero al punto che essi cominciarono a uccidersi tra di loro. Questo causò un grande dispiacere al dio-creatore-sole, che pianse lacrime che divennero pioggia, sufficienti a creare un Diluvio. Le persone tentarono di salvarsi salendo su canoe di corteccia, ma solo un uomo vecchio e una donna sopravvissero e popolarono la Terra.\n\nHawaii.\nSecondo la mitologia hawaiana gli dèi fecero venire un grande diluvio e solo Nu'u si salvò costruendo una grande nave dove furono ospitati tutti gli animali.\n\nCaddo.\nNella mitologia Caddo, quattro mostri crebbero in altezza e potenza fino a che non raggiunsero il cielo. A quel tempo, un uomo udì una voce che gli ordinò di piantare una canna vuota. Egli così fece, e la canna crebbe alta molto in fretta. L'uomo entrò nella pianta con sua moglie e una coppia di tutti gli animali buoni. Le acque si alzarono, e coprirono tutto tranne la cima della canna e le teste dei mostri. Una tartaruga quindi uccise i mostri, le acque si placarono e i venti asciugarono la Terra.\n\nHopi.\nNella mitologia Hopi, le persone disobbedirono molte volte al loro creatore Sotuknang. Egli distrusse il mondo la prima volta col fuoco, poi col gelo, e lo ricreò entrambe le volte per le persone che ancora seguivano le sue leggi, che sopravvissero nascondendosi sottoterra. Quando le persone divennero corrotte e bellicose per la terza volta, Sotuknang li portò dalla Donna Ragno, ed ella tagliò canne giganti e riparò le persone nelle cavità dei gambi. Sotuknang quindi causò una grande inondazione, e le persone galleggiarono sulle acque nelle loro canne. Le canne quindi si posarono su un piccolo pezzo di terra, e le persone emersero, con tanto cibo quanto ne avevano all'inizio. Le persone viaggiarono con le loro canoe, guidati dalla loro saggezza interiore (che si dice derivò da Sotuknang). Viaggiarono verso nord-est, passando per isole sempre più grandi, fino a che non raggiunsero il Quarto Mondo. Quando raggiunsero il Quarto Mondo, le isole si inabissarono nell'oceano.\n\nAzteca.\nNel manoscritto azteco chiamato Codice Borgia (Codice Vaticano), si racconta della storia del mondo diviso in età, l'ultima terminò con un grande Diluvio per mano della dea Chalchitlicue.\n\nInca.\nNella mitologia inca, Viracocha distrusse i giganti con una grande inondazione, da cui si salvarono soltanto due persone, all'interno di caverne sigillate, che poi ripopolarono la Terra.\n\nMaya.\nNella mitologia del popolo maya-quiché (e nel Popol Vuh) si parla di un Gran Diluvio di pioggia nera, inviato dal dio Haracan per distruggere gli uomini di legno.\n\nMapuche.\nNella mitologia Mapuche, la leggenda di Trenten Vilu e Caicai Vilu racconta che una battaglia tra due mitici serpenti provocò una grande inondazione; e successivamente creò il mondo Mapuche così come lo conosciamo.\n\nMuisca.\nNella mitologia Muisca, il dio Chibchacún causò l'inondazione dell'altopiano di Bogotá. Il dio superiore Bochica ritornò dal suo esilio volontario, cavalcando un arcobaleno, e asciugò la pianura aprendo la cascata del Tequendama con un colpo del suo bastone sulle rocce. Quindi punì Chibchacún obbligandolo a portare la terra sulle sue spalle. Ogni volta che si scrolla le spalle causa un terremoto.\n\nNell'arte.\nIl diluvio universale, data la sua grandissima capacità narrativa e simbolica, ha sempre ispirato numerosi artisti nel comporre diverse delle loro opere più significative.\n\nDipintiDiluvio universale e recessione delle acque, Paolo Uccello, 1447-1448 (Firenze, Santa Maria Novella).\nDiluvio universale, Michelangelo, 1508-1512 (Roma, Cappella Sistina).\nDiluvio universale, Hans Baldung Grien, 1525 (Bamberga, Historisches Museum).\nDiluvio universale, Antonio Carracci, 1616-1618, Parigi, LouvreMusicaIl diluvio universale, oratorio del 1682 di Michelangelo Falvetti.\nIl diluvio universale, opera del 1830 di Gaetano Donizetti.\nNoye's Fludde, opera per bambini del 1958 di Benjamin BrittenCinema.\n\nNoah, diretto da Darren Aronofsky, 2014.\nUn'impresa da Dio, diretto da Tom Shadyac, 2007.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dimante (Mariandino).\n### Descrizione: Dimante (in greco antico: Δύμας?, Dýmas) o Dimas è un personaggio della mitologia greca. Era un Mariandino (abitante della Frigia) che avvisò gli Argonauti della crudeltà e spavalderia di Amico.\n\nMitologia.\nDimante avvisò gli Argonauti della spavalderia di Amico, figlio di Poseidone e re dei Bebrici, il quale, ottimo pugile, vantandosi ed usando un tono arrogante sfidò Polluce, che era il migliore tra gli Argonauti.Polluce schivò i suoi colpi e lo colpì vincendo ed uccidendolo, poi i soldati di Amico insorsero e vennero subito sconfitti.Secondo Quinto di Smirne questo Dimante era il padre di Megete, i cui figli combatterono a Troia.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Diocle (personaggio omerico).\n### Descrizione: Diocle (in greco antico: Διοκλῆς), figlio di Ortiloco, nipote di Alfeo, signore di Fere, località della Messenia.\nI suoi figli, Cretone e Orsiloco, andarono con lui alla spedizione di Troia.\n\nTesti.\nRicordato in:.\n1) Odissea, 3, 488-490:.\n\n...ες Φηράς δ'ίκοντο Διοκλήος ποτί δώμα,.\nυιέος Ορτιλόχοιο, τόν Αλφειός τέκε παίδα,.\nένθα δέ νυκτ'άεσαν, ό δ'άρα ξεινήια δώκεν....\n...e giunsero a Fere, a casa di Dìocle,.\nfiglio d'Ortìloco, che l'Alfèo generò.\nqui dormirono la notte, che diede loro accoglienza. (versione di Rosa Calzecchi Onesti)2) Iliade, 5, 541-544:.\n\n....Ένθ' αύτ' Αινείας Δαναών έλεν άνδρας αρίστους,.\nυίε Διοκλήος, Κρήτωνά τε Ορσίλοχόν τε,.\nτών ρα πατήρ μέν έναιεν ευκτιμένη ενί Φηρή,.\nαφνειός βιότοιο....\n...Ma allora anche Enea uccise fortissimi eroi dei Danai,.\ni due figlioli di Dìocle, Orsìloco e Crètone;.\nil padre loro viveva in Fere ben costruita,.\nabbondante di beni.... (versione di Rosa Calzecchi Onesti).
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Diomeda (figlia di Xuto).\n### Descrizione: Diomeda (in greco antico: Διομήδη?, Diomḕdē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Xuto e probabilmente di Creusa.\n\nMitologia.\nSposò Deioneo re della Focide ed ebbe da lui i figli Asterodia, Eneto, Attore, Filaco e Cefalo quest'ultimo sposo di Procri figlia di Eretteo.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Diomede (figlio di Ares).\n### Descrizione: Diomede è una figura della mitologia greca, figlio di Ares e della ninfa Cirene.\nDiomede era re della Tracia e, secondo il mito, possedeva delle giumente che si nutrivano di carne umana; questi animali vengono citati nel mito delle dodici fatiche di Eracle.\nEracle tentò di catturare le cavalle, ma il trambusto lo fece scoprire da Diomede. Nel combattimento che ne seguì Diomede perse la vita. Le cavalle divorarono il suo cadavere e, domate, seguirono Eracle ad Argo.\nDa non confondersi con l'omonimo eroe omerico Diomede, re di Argo.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Diomede.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Diomede in Puglia.\n### Descrizione: Diomede in Puglia è un poema composto da Casimiro Perifano e pubblicato a Napoli nel 1823. Esso consta di 1241 versi endecasillabi sciolti suddivisi in 4 Canti e corredati da note storiche e filologiche curate dall'autore stesso.Partendo dal 'nostos', viene raccontato di come l'eroe della guerra di Troia Diomede arrivi nel Tavoliere delle Puglie per respingere i Messapi, alleandosi con Dauno, e fondare la città di Arpi così come predetto da Cassandra.\n\nContenuto.\nA introduzione del libro sulla quale il poema è stato stampato, si trova una lettera dell'autore indirizzata a Filantropo, nella quale gli racconta di come abbia trovato l'ispirazione per la realizzazione dell'opera di cui è destinatario. L'amico destinatario - dal nome parlante - è anche l'interlocutore alla quale si rivolge nelle note di commento.\n\nCanto I.\nAppena dopo il proemio, viene mostrata Cassandra nell'atto di vaticinare le sorti avverse della sua patria e degli Achei che dovranno fare ritorno ai loro regni: Diomede, fra i vari, sarà costretto a fuggire e fonderà nella Daunia Arpi. Caduta Troia, infatti, l'eroe torna con il suo esercito ad Argo dove l'accoglienza fredda e imbarazzata di sua moglie Egialea l'attende. Comprende così il tradimento della regina sua consorte e, ricolmo di rancore, medita nella notte insonne se vendicarsi o meno. Nel mentre dei congiurati tentano un attacco furtivo a Diomede che riesce a salvarsi eliminandoli. A seguito di ciò, l'eroe, non sentendosi benvoluto, riprende il largo accompagnato dai suoi compagni più fidati.\n\nCanto II.\nNavigando verso nuove terre, l'eroe etole riceve il sostegno del suo amico fidato Toante mentre ripensa alla vergogna subita e ancora ad una possibile vendetta. Vengono quindi sorpresi da una tempesta che frantuma alcune delle navi, i cui soldati a bordo, nonostante l'avversità, vengono soccorsi per volere del comandante. Raggiungono, scampato il pericolo, le coste della Daunia nella quale, dopo un discorso di Diomede, offrono sacrifici all'altare di Minerva. Il canto di un uccello viene interpretato di buon auspicio e viene deciso di incontrare l'indomani Dauno, il sovrano del luogo.\n\nCanto III.\nAll'alba del nuovo giorno, Diomede racconta al suo seguito di aver visto la dea Minerva che le ha preannunciato il futuro glorioso che attende loro e il popolo della città che fonderanno - non prima di aver versato altro sangue.\n\nLa dea prosegue col dire che la grandezza che alla sua gente spetta non passerà con il cambio di costumi, di lingua e di fede sotto l'Italia unita e chiude anticipando la nascita di Giuseppe Rosati, che definisce della gloria il figlio / Lo splendor della Patria, e ‘l mio decoro (III, 134-135). Forti di queste promesse, l'armata si dirige al cospetto di re Dauno alla quale Diomede parla delle sue avventure. Il re, stupito e pieno di speranza, si mostra amico al Titide e lamenta dei nemici messapi che minacciano i suoi territori. Diomede è deciso ad affrontare questa battaglia ma è l'imbrunire.\n\nCanto IV.\nLo squillo di trombe segna l'inizio della battaglia fra gli Argivi, raggiunti poi dalle truppe Daune guidate dal proprio re, e i Messapi. Il canto è occupato dalla descrizione delle imprese e delle stragi militari delle due fazioni fin quando gli aggressori sono spinti fino al fiume Ofanto che si tinge del sangue dei caduti. Sopraffatto e consapevole dell'avversario che ha fronteggiato, il duce de Messapi si arrende a Diomede. Esaltato l'eroe, il poeta interrompe il suo poema terminata ormai l'ispirazione, augurandosi che questa venga colta dai posteri.\n\nFonti ed influenze.\nPerifano cita nelle note le fonti dalla quale trae sia le informazioni storiografiche sia le citazioni alle opere classiche. Nel dettaglio, il poema presenta numerosi richiami ad Omero, considerando che il poeta leggeva i due poemi in lingua e nelle versioni di Monti e Cesarotti; allo stesso modo sono fortemente presenti citazioni dell'Eneide. Di particolare interesse è il debito verso l'Alessandra di Licofrone Calcidese tradotto in terzine dantesche da Onofrio Gargiulli, dalla quale prende i principali episodi dei ritorni in patria degli Achei.\nI primi ritrovamenti dei reperti di Arpi, avvenuti già in periodo napoleonico, ispirano la stesura dell'opera come il poeta più volte riporta nei versi e nelle note. In appendice, a tal proposito, troviamo la descrizione di quattro monete arpane, alle quali Perifano ha confrontato le tavole numismatiche illustrate nei cataloghi di Goltz; queste monete forniscono al poeta il riscontro riguardo la presenza dell'eroe etole in Capitanata.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Diomede.\n### Descrizione: Diomede (in greco antico: Διομήδης?, Diomḕdēs) è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Tideo e di Deipile, fu uno dei principali eroi achei della guerra degli Epigoni e della guerra di Troia. Oltre all'importanza come guerriero, Diomede assume un ruolo rilevante come diffusore della civiltà, specie nell'Adriatico.\nRe di Argo, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Agamennone e degli Achei, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero valorosissimo, assume un ruolo centrale all'interno dell'Iliade di Omero, specialmente nel V canto, a lui dedicato interamente, che, probabilmente, si rifaceva ad un poema epico preesistente che vedeva la figura di Diomede come protagonista.\nDopo Achille e Aiace Telamonio, fu il più valoroso eroe dell'esercito acheo.\nLa figura di Diomede, uomo insigne per intelligenza e coraggio, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Omero, come Virgilio, che lo inserirà nel suo poema epico, l'Eneide, e come Quinto Smirneo nei Posthomerica.\n\nMito.\nOrigini.\nI suoi sei cugini, figli dello zio Agrio, Celeutore, Licopeo, Melanippo, Onchesto, Protoo e Tersite, decisero di deporre il nonno Oineo dal trono di Calidone, su cui regnava, e che, essendo molto anziano, era incapace di difendersi, e insediarono così il loro padre. Oineo venne tenuto sì in vita ma incatenato tra le torture dei nipoti. Allora Diomede, nato in esilio, ad Argo, detta l'Inclita, dopo essere arrivato a Calidone in gran segreto con l'aiuto di Alcmeone, uccise uno dopo l'altro i figli di Agrio, usurpatori del trono, rimettendo il nonno al capo del regno. E dal momento che questi era ormai molto avanti negli anni, Diomede affidò il regno ad Andremone, marito di Gorga, e perciò genero di Oineo. Dei figli di Agrio, solo Tersite e Onchesto sfuggirono alla strage e si rifugiarono nel Peloponneso, mentre Agrio, espulso dal regno, si tolse la vita. L'eroe portò Oineo con sé ad Argo.\nDiomede passò la giovinezza ad allenarsi nell'arte della guerra insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette Epigoni: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il Re di Argo.\nQuando Elena, la figlia di Zeus e Leda, raggiunse l'età da marito, la sua bellezza attirò al palazzo del suo patrigno Tindaro re e principi di tutta la Grecia che pretesero la sua mano, in cambio di ricchi doni.\nGiovane e bello, Diomede, insieme ad altri principi della Grecia, si presentò al palazzo di Tindaro per chiedere Elena in moglie.\nAd Argo Diomede si sposò con Egialea, la figlia ormai orfana del re, e diventò così sovrano della città. Avrebbe voluto governare in pace e dedicarsi alle gioie familiari ma ben presto dovette partire per la guerra di Troia.\n\nGuerra di Troia.\nDiomede partì alla volta di Troia con 80 navi da guerra (un gran numero per quell'epoca) e arrivò addirittura a scendere in campo contro Ettore, Enea e gli dei stessi: ferì Afrodite, accorsa per aiutare il figlio, e l'amante di lei, Ares, dio della guerra.\nDiomede era protetto dalla dea Atena. Omero afferma che, durante le battaglie, Diomede era simile ad un torrente in piena, che tutto travolge. Come è raccontato nell'Iliade, in particolare nei libri V e VI, Diomede compì molte gesta eroiche, uccidendo diversi guerrieri, tra cui i fratelli Xanto e Toone, l'arciere Pandaro, Dreso e il giovane possidente Assilo insieme all'auriga Calesio.\n\nLo scontro con Enea.\nFu eroe valoroso e spesso supportato da Atena.\nAtena diede a Diomede l'ispirazione di realizzare un massacro di nemici sul campo: simile all'astro della canicola, sotto le sue armi si accese un fuoco. Lo affrontarono allora due guerrieri, che combattevano su un carro, figli di Darete, sacerdote di Efesto a Troia, i quali gli corsero incontro: uno di questi, Fegeo, cercò di colpirlo con la sua lancia, ma lo mancò. L'eroe scagliò a sua volta l'asta contro di lui e colse il nemico in pieno petto, facendolo precipitare morto dal cocchio.\nDiomede, nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, uccise Pandaro, che combatteva sul carro da guerra in compagnia di Enea. Quest'ultimo lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.\n\nAffrontò dunque Enea, che rimase ferito a causa di un masso scagliato dal greco. L'eroe troiano venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, la ferì ad una mano costringendola alla fuga.\nAres corse in aiuto di Afrodite, che riuscì in tal modo a fuggire col suo carro sull'Olimpo insieme a Iris. Il corpo di Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Apollo, allora, apostrofò Diomede con queste parole: “Tu, mortale, non tentare il confronto con gli dei!”. Diomede si scontrò quindi con Ares e lo ferì al ventre: il dio dovette uscire dalla battaglia e rifugiarsi sull'Olimpo dove verrà curato dal medico degli dei, Panèon..\n\nDiomede e Glauco.\nDiomede non era però solo furia e impeto: egli diede nel pieno della lotta un'altissima prova di lealtà e di spirito cavalleresco: fu poco prima di intraprendere il duello con Glauco, il nobile di Licia, che si batteva a fianco dei Troiani. È questo uno degli episodi più toccanti dell'Iliade: dopo aver chiesto al nemico il suo nome, Diomede si rese conto che l'uomo che aveva di fronte era legato da un antico vincolo di amicizia e di ospitalità con la propria famiglia. Gettò allora la spada a terra e i due nemici, anziché scontrarsi, si strinsero la mano e si scambiarono le armi, secondo consuetudine. Glauco, preso dall'entusiasmo del gesto e noncurante del loro valore, scambiò le sue armi d'oro con armi di bronzo, pari al valore di cento buoi per nove buoi.\n\nDiomede e Ulisse.\nAssecondò spesso Ulisse, quando si trattò di condurre trattative delicate (sia presso Agamennone che presso Achille), e con lui compì varie imprese pericolose, tra le quali il furto del Palladio (la statua da cui dipendevano le sorti di Troia), e l'incursione notturna nell'accampamento del giovane re tracio Reso, che Diomede colpì con la spada mentre dormiva. Narra Omero che il sonno di Reso, famoso russatore, fu quella notte più rumoroso che mai, essendogli apparso in sogno il suo assassino.\n\nDopo la caduta di Troia.\nDopo che Troia fu conquistata, Diomede viaggiò per tornare ad Argo, con una veloce navigazione favorita da Afrodite, desiderosa di accelerare il ritorno dell'eroe in patria, dove aveva intenzione di vendicarsi dell'offesa subita durante la guerra.\nSecondo una variante del mito, invece, una tempesta suscitata da Afrodite, sempre per vendicare l'offesa subita, spinse Diomede sulle coste della Licia: qui fu sul punto di essere sacrificato ad Ares dal re Lico, che voleva vendicare la morte di Sarpedonte caduto a Troia, ma poté salvarsi per l'intervento di Calliroe, figlia del re, che lo aiutò a ripartire. Secondo alcune fonti Diomede sarebbe poi sbarcato per errore ad Atene, e qui avrebbe perso il Palladio, finito nelle mani di Demofonte.\nArrivato ad Argo, Diomede ebbe un'amara sorpresa: né sua moglie Egialea, né i suoi sudditi lo ricordavano più, in quanto Afrodite aveva cancellato il ricordo di Diomede dalla loro memoria. Secondo una variante del mito, Egialea, ispirata dalla dea, tradì Diomede con Comete, il giovane figlio di Stenelo, e gli tese molti agguati.\n\nViaggio di Diomede, eroe della civilizzazione.\nDiomede decise di abbandonare la città, imbarcandosi per l'Italia insieme ai suoi compagni: Acmone, Lico, Idas, Ressenore, Nitteo, Abante. Dopo aver errato a lungo nel mare Adriatico si fermò in più porti insegnando alle popolazioni locali la navigazione e l'addomesticamento ed allevamento del cavallo. La diffusione della navigazione forse aveva l'intento di ottenere il perdono dalla dea nata dalla spuma del mare e considerata divinità della buona navigazione (Afrodite euplea). In ogni caso si realizza così una straordinaria trasformazione: da campione della guerra Diomede diventa l'eroe del mare e della diffusione della civiltà greca. Era infatti venerato come benefattore ed ecista ad Ankón (Ancona), città nella quale è nota la presenza di un suo tempio, a Pola, a Capo San Niccolò (in Dalmazia), a Vasto, a Lucera e all'estremo limite dell'Adriatico: alle foci del Timavo. In questi luoghi il culto di Diomede si era sovrapposto a quello del Signore degli animali, un'antichissima divinità dei boschi.\nLa caratteristica di civilizzatore viene rafforzata dalla fondazione di molte città italiane, tra cui Vasto (Histonium), Andria, Brindisi, Benevento, Argiripa (Arpi) presso l'attuale Foggia, Siponto presso l'attuale Manfredonia, Canusio (Canosa di Puglia), Equo Tutico (Ariano Irpino), Drione (San Severo), Venafrum (Venafro) e infine Venusìa (Venosa). La fondazione di quest'ultima città, come lo stesso toponimo (da Venus) ricorda, coincide con il perdono ottenuto da Afrodite, in seguito al quale si stabilì in Italia meridionale e si sposò con la figlia del Re del popolo dei Dauni: Evippe.\nStretto fu il rapporto tra l'eroe e la Daunia. Il primo contatto con questa terra si ebbe con l'approdo alle isole che da lui avrebbero preso il nome di Insulae Diomedeae, tradizionalmente identificate con le isole Tremiti.\nSbarcò quindi nell'odierna zona di Rodi, sul Gargano alla ricerca di un terreno più fecondo e si spostò a sud dove incontrò i Dauni, che prendevano il nome dal loro re eponimo, Dauno, figlio di Licaone e fratello di Enotro, Peucezio e Japige.\n\nDiomede si guadagnò le simpatie di Dauno il re che 'pauper aquae agrestium regnavit populorum' e dopo avergli prestato valido aiuto nella guerra contro i Messapi, per il suo alto valore militare - victor Gargani - ebbe in sposa la figlia Evippe (secondo alcuni si chiamava Drionna, secondo altri Ecania) ed in dote parte della Puglia - 'dotalia arva'-, i cosiddetti campi diomedei, 'in divisione regni quam cum Dauno'. Fu allora che fondò Siponto, detta così dal nome greco sipius, a motivo delle seppie sbalzate sulla riva da onde gigantesche.\nVirgilio nell'Eneide ci racconta che i Latini e i Rutuli, bisognosi di alleati per scacciare Enea dalla loro terra, chiedono aiuto a Diomede, ricordando i trascorsi tra i due eroi. Diomede, però sorprende gli ambasciatori a lui pervenuti, rifiutando di combattere il suo antico nemico ed anzi invocando la pace tra i popoli. Secondo il poema latino, Diomede non è genero di Dauno, che è invece padre di Turno, il re dei Rutuli.\n\nMorte.\nSecondo gli scolii dell'Alessandra di Licofrone, che rappresentano la tradizione più diffusa, Diomede fu ucciso da Dauno a causa della spartizione di un bottino; invece, nelle Metamorfosi di Antonino Liberale, Diomede sposò la figlia di Dauno e morì di vecchiaia.\n\nStrabone (VI, 3, 9) elenca addirittura quattro diverse varianti sulla fine dell'eroe. Una afferma che nella città di Uria Diomede stava facendo un canale verso il mare, quando fu richiamato in patria ad Argo, dove morì. La seconda afferma che rimase a Uria fino alla fine della sua vita. La terza narra che scomparve sull'isola disabitata di Diomedea (chiamata così in suo onore e identificata in San Domino, una delle Tremiti o Diomedee), dove secondo la leggenda vivono i suoi compagni trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini, le diomedee, il che implica una sorta di deificazione. La quarta variante sostiene che Diomede ebbe un'apoteosi misteriosa nel paese dei Veneti.\nUna tradizione identifica in una spiaggia dell'isola di San Nicola il luogo della sua sepoltura. Nel film di Federico Fellini 8½, un cardinale racconta questa storia all'attore Marcello Mastroianni.\n\nImmortalità.\nSecondo il racconto omerico, Diomede ricevette da Atena l'immortalità, che non aveva dato a suo padre. Per raggiungere l'immortalità, uno scolio di Nemea X dice che Diomede sposò Ermione, l'unica figlia di Menelao ed Elena, e vive con i Dioscuri come un dio immortale godendosi anche gli onori di Metaponto e Turi.\nEra adorato come un essere divino sotto vari nomi in Italia, dove statue di lui esistevano ad Argi, Metaponto, Turi e in altri luoghi. Nell'Adriatico c'era un tempio consacrato a Diomede ad Ankón, l'attuale Ancona, nello sperone più settentrionale del promontorio su cui sorge la città; un altro tempio sorgeva alle foci del Timavo, dove l'eroe era venerato con l'epiteto tratto dal nome del fiume. Ci sono tracce del culto di Diomede anche in Grecia.\nLe prime due tradizioni elencate da Strabone non danno alcuna indicazione sulla divinità se non più tardi attraverso un culto eroe, e le altre due dichiarano fortemente l'immortalità di Diomede come più di un semplice eroe di culto.\n\nDiomede nella Commedia di Dante Alighieri.\nDante Alighieri (Inferno - Canto ventiseiesimo) colloca Diomede nell'VIII bolgia dell'VIII cerchio, quella dei consiglieri fraudolenti, che in vita agirono con inganno e di nascosto e quindi la loro pena nell'inferno sarà quella di essere celati dalle fiamme alla vista altrui. Egli infatti si trova avvolto in una fiamma a due capi insieme ad Ulisse, poiché proprio con lui andò nottetempo a rubare il Palladio, la statua di Atena protettrice della città di Troia.\n\nVittime di Diomede.\nFegeo - Figlio di Darete (libro V, 17-19).\nAstinoo - (libro V, 144-147).\nIpeirone - (libro V, 144-147).\nAbante - Figlio di Euridamante (libro V, 148-151).\nPolido - Figlio di Euridamante (libro V, 148-151).\nXanto - Figlio di Fenope (libro V, 152-158).\nToone - Figlio di Fenope (libro V, 152-158).\nCromio - Figlio di Priamo (libro V, 159-165).\nEchemmone - Figlio di Priamo (libro V, 159-165).\nPandaro - Figlio di Licaone, abile arciere (libro V, 290-296).\nAssilo - Figlio di Teutra, proveniente da Arisbe (libro VI, 12-19).\nCalesio - Auriga e scudiero di Assilo (libro VI, 17-19).\nEniopeo - Figlio di Tebeo (libro VIII, 118-123).\nDolone - Araldo troiano, figlio di Eumede (libro X, 455-459).\nReso - Re dei Traci, figlio di Eioneo (libro X, 482-497).\nAdrasto - Re di Adrastea, figlio di Merope l'indovino (libro XI, 328-334).\nAnfio - Re di Pitiea, fratello del precedente (libro XI, 328-334).\nTimbreo - Re asiatico (libro XI).\nAgastrofo - Eroe, figlio di Peone (libro XI).\nAgelao - Figlio di Fradmone (libro VIII)Diomede uccise 20 dei 362 nemici caduti contro i Greci, cui vanno aggiunti i 12 guerrieri traci agli ordini di Reso colpiti nel sonno insieme al loro signore; quindi in totale 33.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Diomo.\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Diomo era il nome di uno degli eroi dell'antichità, figlio di Colitto e padre di Alcioneo.\n\nIl mito.\nSi racconta di Diomo in occasione della vita di Eracle, che conobbe verso la sua morte. Quando il figlio di Zeus fu loro ospite ebbe occasione di conoscere il ragazzo e si innamorò di lui.\nDopo la morte del semidio gli offrì un sacrificio, ma un animale disturbò l'evento, rubando l'animale in sacrificio e lasciandolo molto lontano. A quel punto Diomo decise di fondare, in quello stesso luogo, un santuario.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dion (Macedonia Centrale).\n### Descrizione: Dion o Dium (in greco Δίον? o Δίο) è un ex comune della Grecia nella periferia della Macedonia Centrale di 10885 abitanti secondo i dati del censimento 2001.È stato soppresso a seguito della riforma amministrativa, detta Programma Callicrate, in vigore dal gennaio 2011 ed è ora compreso nel comune di Dion-Olympos.\nLa città si trova nella zona pianeggiante della pianura della Pieria ai piedi del Monte Olimpo. A poca distanza dalla città si trova un importante sito archeologico con resti del IV secolo a.C.\nIl centro principale è Kondariotissa, con 1980 abitanti.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dion-Olympos.\n### Descrizione: Dion-Olympos (in greco Δίο-Όλυμπος?) è un comune della Grecia situato nella periferia della Macedonia Centrale (unità periferica di Pieria) con 25872 abitanti secondo i dati del censimento 2001.\nÈ stato istituito a seguito della riforma amministrativa detta Programma Callicrate in vigore dal gennaio 2011 che ha abolito le prefetture e accorpato numerosi comuni.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dioniso nelle arti.\n### Descrizione: La figura di Dioniso nelle arti ha avuto una particolare rilevanza e considerazione sia in epoca classica ed ellenistica sia nell'era moderna dal rinascimento in poi, esprimendosi in molteplici forme, dalla scultura alla pittura al pensiero astratto-filosofico alla musica ed al teatro.\n\nIn età classica.\nIl dio Dioniso è apparso su molti crateri e in altri contenitori per il vino utilizzati nell'Antica Grecia. La sua iconografia è diventata col tempo, soprattutto durante il periodo ellenistico, più raffinata e complessa, immersa tra uno stile severo arcaicizzante alla tipologia del neoatticismo come accade con il 'Dioniso Sardanapalo' per finire alle tipologie che lo ritraggono come un giovane indolente e androgino spesso mostrato in stato di nudo eroico.\nLa Coppa di Licurgo risalente al IV secolo è una coppa diatreta che cambia colore quando la luce passa attraverso il vetro; mostra il re mitologico di Tracia, Licurgo, mentre viene schernito dal dio e attaccato da un satiro.\nElizabeth Kessler ha teorizzato che un mosaico che appare sul triclinium nel piano rialzato interno della 'Casa di Aion' a Pafo possa raffigurare i dettagli di un culto monoteista di Dioniso. Nel mosaico sembrano esser presenti anche altre divinità, ma possono essere solo rappresentazioni minori che attorniano la figura centrale di Dioniso, la quale si impone sopra tutti.\nL'antico tragediografo greco Euripide gli dedica Le Baccanti.\n\nProspettive moderne.\nIl Rinascimento non solo ha giocato un ruolo enorme nel campo dell'arte, ma ha anche fatto rivivere gli ideali e i temi romani e greci nell'arte visiva riguardante la figura di Bacco.\nBacco, che in quanto personificazione del vino una volta simboleggiava la resurrezione nel cristianesimo, è risorto se stesso divenendo ancora una volta un argomento appropriato per l'ispirazione e la creazione più eminentemente artistica. La mano di Michelangelo Buonarroti, che era stato assoldato dal cardinale Raffaele Riario per produrre una statua di Bacco da installare all'interno del suo palazzo durante la prima epoca rinascimentale, ha completato la riabilitazione dell'antico dio del vino.\nIl mito concernente l'esistenza travagliata del dio ha ispirato innumerevoli artisti, tra cui:.\n\nTiziano con Bacco e Arianna.\nCima da Conegliano con le Nozze di Bacco e Arianna.\nPiero di Cosimo con la Scoperta del miele.\nGiovanni Bellini con Bacco fanciullo.\nRosso Fiorentino con Bacco, Venere e Amore.\nMichelangelo Merisi da Caravaggio, con il Bacchino malato e anche con Bacco.\nDiego Velázquez con il Trionfo di BaccoMa anche Allart van Everdingen, Benvenuto Tisi da Garofalo, Sebastiano Ricci, Guido Reni, Rembrandt, Pieter Paul Rubens si sono cimentati nello stesso tema. Uscita dalla bottega di Leonardo da Vinci è anche la tela del Bacco databile 1511-15.\nIn musica si può citare l'Opera intitolata 'Bacco' di Jules Massenet.\nMa Dioniso è rimasto fonte di ispirazione per artisti, filosofi e scrittori durante tutta l'epoca moderna. Ne La nascita della tragedia (1872), il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche contrappone Dioniso con il fratello dio solare e della luce Apollo, come simbolo della sfrenatezza fondamentale degli istinti di base nonché 'principio estetico' della potenza della musica e dell'ebbrezza artistica rispetto al principio della forma, della bellezza e della vista che viene ben rappresentato dal principio apollineo.\nNietzsche ha inoltre affermato che le più antiche forme di tragedia greca sono state interamente basate sulla sofferenza della vita, morte e resurrezione di Dioniso. Nietzsche ha continuato a contemplare il carattere di Dioniso per tutto il periodo della propria riflessione filosofica, rivisitandolo nelle pagine finali della sua opera del 1886 intitolata Al di là del bene e del male . Questo Dioniso riconcepito in forma nietzschiana è stato richiamato come incarnazione della volontà di potenza, uno dei concetti centrali della filosofia di Nietzsche e su cui si sofferma in particolare negli ultimi lavori: Il crepuscolo degli idoli, L'Anticristo e Ecce Homo.\nIl Semperoper è dedicato al dio: sulla esedra della facciata principale lo si vede condurre con sé Arianna in groppa ad una quadriga di pantere. La grande statua in bronzo è opera di Johannes Schilling.\nDioniso, che era stato il personaggio principale della commedia di Aristofane Le rane, viene successivamente riproposto in una versione moderna in forma di musical su libretto di Burt Shevelove e musica di Stephen Sondheim ('Il tempo è il presente. Il luogo è antica Grecia. ...' ), scritto nel 1941 ma portato in scena solo nel 1974. Nell'opera, Dioniso e il suo schiavo Xanthius si avventurano nell'Ade per portare un famoso scrittore indietro dalla morte, con la speranza che la presenza dello scrittore nel mondo risolverà tutta la natura dei problemi terreni. Nel lavoro aristofanesco Aristofane invece Euripide compete contro Eschilo su chi sia stato il miglior tragediografo e quindi anche il più degno di essere recuperato dagli inferi; nella versione di Sondheim e Shevelove è invece George Bernard Shaw ad affrontare William Shakespeare.\n\nAltre interpretazioni.\nJohann Jakob Bachofen vede Dioniso come un dio del momento 'eterico' del mondo, vigente prima cioè dell'introduzione delle strutture di potere e del matrimonio; egli scrive nel suo monumentale saggio Il matriarcato che ciò corrisponde ai Pelasgi pre-ellenici di cultura ancora matriarcale. Dopo il trionfo del patriarcato la religione pelasgica continuò a sopravvivere nei culti misterici.\nWalter Friedrich Otto lo ha visto come l'incarnazione dell'esperienza che ruota attorno alle 'vibrazioni del parto', mostrando tutta la paura e l'intima natura che circonda la ferocia della follia dionisiaca.\nKároly Kerényi, uno studioso ungherese di filologia classica e uno dei fondatori degli studi moderni di mitologia greca, ha caratterizzato Dioniso come il rappresentante della forza vitale psicologica (Zoé). Anche altri studiosi propongono interpretazioni psicologiche di Dioniso, ponendone in primo piano l'emotività e concentrandosi sulla gioia, la paura o l'isteria associati al dio.\nIl poeta, drammaturgo e filosofo russo Vjačeslav Ivanovič Ivanov ha elaborato una sua teoria del dionisismo, che ripercorre le radici dell'arte letteraria in generale e l'arte della tragedia in particolare, agli antichi misteri dionisiaci. Le sue opinioni sono state espresse nei trattati 'La religione ellenica del Dio soffernte' (1904), e 'Dioniso e il precoce dionisismo' (1921).\nIspirati da James Frazer, alcuni hanno etichettato Dioniso come una divinità di vita-morte-rinascita; il già citato mitografo Karl Kerényi ha dedicato molta energia e studi lungo tutta la sua carriera accademica sopra la figura di Dioniso, riassumendo poi il suo pensiero in 'Dioniso: l'archetipo della vita indistruttibile' (1976).
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dioniso.\n### Descrizione: Dioniso (AFI: /diˈɔnizo/, alla latina /dioˈnizo/; in greco antico: Διόνυσος?, dialetto attico; in greco omerico: Διώνυσος; in greco eolico: Ζόννυσσος o Ζόννυσος; in Lineare B) è una divinità della religione greca.\nOriginariamente fu un dio arcaico della vegetazione, legato alla linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito fu identificato come dio dell'estasi, del vino, dell'ebbrezza e della liberazione dei sensi; venne quindi a rappresentare l'essenza del creato nel suo perenne e selvaggio fluire, lo spirito divino di una realtà smisurata, l'elemento primigenio del cosmo, l'irruzione spirituale della ζωή greca, ossia l'esistenza intesa in senso assoluto, la frenetica corrente di vita che tutto pervade.\nDio 'ibrido' dalla multiforme natura maschile e femminile, animalesca e divina, tragica e comica, Dioniso incarna, nel suo delirio mistico, la scintilla primordiale e istintuale presente in ogni essere vivente; che permane anche nell'uomo civilizzato come sua parte originaria e insopprimibile, e che può riemergere ed esplodere in maniera violenta se repressa e non elaborata correttamente.\nVeniva identificato a Roma con il dio Bacco (simile a Dioniso), con il Fufluns venerato dagli Etruschi e con la divinità italica Liber Pater, ed era soprannominato λύσιος lýsios, 'colui che scioglie' l'uomo dai vincoli dell'identità personale per ricongiungerlo all'originarietà universale. Nei misteri eleusini veniva identificato con Iacco.\nStrettamente legato alle origini del teatro, Dioniso è forse il dio della mitologia greca di maggior fortuna nella cultura contemporanea, in particolare nel Novecento, dopo che il filosofo Friedrich Nietzsche, nella Nascita della tragedia, ha creato la categoria estetica del dionisiaco – emblema delle forze naturali, vitalistiche e irrazionali – contrapponendola a quella dell'apollineo.\n\nAttributi ed epiteti.\nSolitamente accompagnato da un corteo chiamato tiaso e composto dalle sue sacerdotesse (dette menadi o baccanti, donne in preda a frenesia estatica e invasate dal dio), bestie feroci, satiri e sileni. Care al dio erano le piante della vite (da cui il legame con il vino e la vendemmia) e all'edera (in particolare alcune specie di edera, contenenti sostanze psicotrope e che venivano lasciate macerare nel vino).\nUno dei suoi attributi era infatti il sacro tirso, un bastone nodoso avvolto da edera e pampini e sormontato da una pigna; altro suo attributo è il kantharos, una coppa per bere caratterizzata da due alte anse che si estendono in altezza oltre l'orlo.\nA seguire, alcuni degli epiteti con cui il Dio era chiamato:.\n\nBromio – da βρόμος, 'fragore', 'fremito' e usato anche da Euripide ne Le Baccanti; secondo il mito il dio era stato generato in mezzo ai fragori del tuono dalla madre Semele colpita dal fulmine, o perché l'ebbrezza del vino produce fremito e furore;.\nLysios o Lieo – 'colui che scioglie';.\nBassareo, soprannome di Bacco derivato secondo alcuni da Bassaro, un borgo della Lidia ove aveva un tempio, secondo altri da una lunga veste chiamata 'Bassara' (o 'Bassaris') fatta di pelli di volpi originaria della Tracia che Bacco portava, o da un calzare detto 'Bassaro'. La sacerdotessa di Bacco si chiamava Bassarida.\nCretogeno – nato a Creta.\nCtonio – in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo;.\nZagreo (Zαγρεύς) – in quanto figlio di Zeus e Persefone.\nBacco.\n\nMito.\nOrigini.\nL'origine del nome Dioniso è suggerita dal genitivo Διός e da νῦσος, quindi il nysos di Zeus: il 'giovane figlio di Zeus'. Per altri studiosi, l'etimologia è invece legata al monte Nisa, dove il dio venne allevato (theos-Nyses, il dio di Nisa); e c'è anche chi propende per il significato di 'dio notturno' (theos-nykios). Il poeta Apollonio Rodio invece propose il significato di 'nato due volte' (da di-genes) o 'il fanciullo dalla doppia porta'.\nSecondo Detienne, Dioniso è il dio straniero per eccellenza, poiché proveniva dalla Tracia. Le ricerche più recenti, in effetti, hanno messo in rilievo l'esistenza di elementi comuni nel culto greco di Dioniso e nei culti della Tracia, con possibilità di rapporti reciproci, uniti forse a influssi dall'Asia Minore (già autori antichi, come Euripide, sostenevano l'origine frigia di Dioniso, che presenta forti affinità col dio Sabazio). Questa tesi ben si accorda al fatto che diversi elementi attestano l'antichità del culto di Dioniso in terra greca: in particolare la presenza del nome sulle tavolette micenee in lineare B, il carattere orgiastico dei culti della vegetazione della religione minoica, nonché la credenza, diffusa a Creta, che il toro rappresenti una forma di epifania divina (e Dioniso venne talvolta invocato con l'appellativo di 'toro').\nLe notizie relative alle modalità della nascita di Dioniso sono intricate e contrastanti. Sebbene il nome di suo padre, Zeus, sia indiscusso, quello di sua madre è invece oggetto di numerose interpretazioni da parte degli autori mitografi. Alcuni dicono che il dio fosse frutto degli amori del dio con Demetra, sua sorella, oppure di Io, o ancora di Lete; altri ancora lo fanno figlio di Dione, oppure di Persefone.\nQuest'ultima versione, nonostante non sia accettata dalla maggior parte dei mitografi, non è comunque stata scartata del tutto dalla tradizione letteraria. In alcune leggende orfiche la madre di Dioniso è infatti definita 'la regina della morte', il che fa appunto pensare a Persefone. Zeus stesso, innamoratosi di sua figlia, che era stata nascosta in una grotta per volere di Demetra, si tramutò in serpente e la raggiunse mentre era intenta a tessere. La fecondò e la fanciulla partorì così due bambini, Zagreo e lo stesso Dioniso.\n\nGenealogia (Esiodo).\nNascita di Dioniso.\nLa versione generalmente più conosciuta è quella che vuole come madre Semele, figlia di Armonia e di Cadmo, re di Tebe: d'altra parte il suo nome può significare 'la sotterranea', se non si riferisca a Selene, la dea Luna, che ribadisce così all'immagine della Terra intesa come grembo oscuro, ma stranamente fecondo, che sottrae la vita alla luce e l'assorbe per riprodurla, in un eterno ciclo di morti e resurrezioni. Anche sulle versioni del concepimento di Dioniso le tradizioni non concordano: secondo alcuni Zeus, dopo avere raccolto ciò che rimaneva del corpicino del diletto figlioccio Zagreo, generato dal fratello Ade e dalla nipote Persefone e ucciso dai Titani, cucinò il cuore del fanciullo in un brodo che fece bere alla giovane Semele, sua amante. Oppure il padre degli dei stesso, innamorato perdutamente di Semele, assunse l'aspetto di un mortale per unirsi a lei nel talamo, rendendola incinta di un bambino.\nL'ennesimo tradimento di Zeus con una mortale non restò oscuro a Era, che si poteva ritenere l'unica moglie legittima del dio. Infuriata, e non potendo vendicarsi sul marito, la dea ispirò nelle tre sorelle di Semele invidia per la sorella, che nonostante fosse in età da nubile poteva vantare già un amante e anche una gravidanza. La povera Semele subì le crudeli beffe di Agave, Ino e Autonoe, le quali criticavano non solo il fatto che fosse già incinta, ma anche che nonostante il concepimento il padre del bambino non si fosse ancora deciso a venire allo scoperto e a dichiararsi.\nNel frattempo la regina degli dei, approfittando di questi contrasti, assunse l'aspetto di una vecchia anziana, Beroe, nutrice della fanciulla, la quale era sua assistente sin dalla nascita. La regina degli dei si presentò quindi a Semele, già incinta da sei mesi, che, credendola la nutrice, cominciò a parlare con lei fino a quando il discorso non cadde sul suo amante. La vecchia mise in guardia Semele, consigliandole di fare una singolare richiesta al suo amante, ovvero quella di rivelarle la propria identità, smettendo di ingannarla e nascondersi; altrimenti avrebbe potuto pensare che il suo aspetto fosse in realtà quello di un mostro. Secondo una versione diversa Semele era a conoscenza dell'identità del suo amante ed Era l'aveva messo in guardia proprio dal fidarsi del dio, esortandola a esigere una prova della sua vera identità. Suggerì quindi di chiedere a Zeus di presentarsi a lei come quando si presentava al cospetto di Era.\n\nDopo qualche tempo, quando Zeus tornò nuovamente dalla sua amante per godere le gioie del sesso, Semele, memore delle parole della vecchia, pregò Zeus di rivelarle la sua identità e di smettere di continuare a fingere. Per timore della gelosia di sua moglie Era il dio rifiutò, e a questo punto Semele si oppose al condividere il suo letto con lui. Adirato, Zeus le apparve tra folgori e fulmini accecanti, tanto che la fanciulla, non potendo sopportare il tremendo bagliore, venne incenerita.\nSecondo l'altra versione quando il padre degli dei tornò dalla sua amante Semele gli chiese di offrirle un regalo ed egli promise di esaudire qualsiasi desiderio della fanciulla. Semele chiese allora al re degli dei di manifestarsi in tutta la sua potenza. Zeus, disperato, fu costretto a realizzare la richiesta di Semele, che rimase uccisa. Per impedire che il bambino morisse Gea, la Terra, fece crescere dell'edera fresca in corrispondenza del feto; ma Zeus incaricò Ermes (o secondo altri lo fece egli stesso) di strappare il feto dal ventre materno e se lo fece cucire dentro la coscia. Passati altri tre mesi e finito il periodo di gestazione, il sovrano degli dèi partorì il bambino, perfettamente vivo e formato, dandogli il nome di Dioniso che vuol dire il 'nato due volte' o anche 'il fanciullo dalla doppia porta'.\n\nInfanzia e giovinezza di Dioniso.\nQuando il piccolo Dioniso nacque dalla coscia di Zeus, lui lo affidò alle cure della sorella di Semele, Ino e a suo marito Atamante. Questo però non passò inosservato agli occhi attenti di Era, la quale fece impazzire i due sposi. Atamante, credendo di vedere un cervo nel figlio Learco, lo uccise a colpi di freccia, mentre Ino gettò il piccolo Melicerte in una tinozza di acqua bollente, uccidendolo, e una volta schiarita la mente e resosi conto di quello che aveva fatto si gettò in mare.\nDioniso era stato prontamente trasformato in una capra da Zeus, o forse da Ermes, e aveva potuto osservare tutto. Dal quel momento capì la pericolosità della pazzia e della poca chiarezza di mente, e in seguito ne fece uno dei suoi poteri divini. La capra diventò anche uno dei suoi animali sacri.\nDioniso rimase solo nella casa abbandonata e chissà cosa gli sarebbe successo se Ermes non lo avesse preso con sé. Lo portò in una lontana montagna dell'Asia minore sulla quale vivevano le, Iadi, ninfe dei boschi. Queste crebbero amorevolmente il piccolo Dioniso finché non fu tempo di trovargli un precettore. Chiesero allora a Sileno, un anziano figlio di Pan e di una ninfa che possedeva una straordinaria saggezza ed il dono della divinazione.\n\nLa divinità errante.\nRaggiunta la maturità, Era non poté fare a meno di riconoscerlo come figlio di Zeus, punendolo però al contempo con la pazzia. Egli iniziò allora a vagare insieme al suo tutore Sileno e a un gruppo di satiri e baccanti (così erano dette le seguaci del dio) fino in Egitto, dove si batté con i Titani.\nIn seguito si diresse in oriente, verso l'India, sconfiggendo numerosi avversari lungo il suo cammino (tra cui il re di Damasco, che scorticò vivo) e fondando numerose città: dopo aver sconfitto il re indiano Deriade, Dioniso ottenne l'immortalità. Ma al suo ritorno gli si oppose il popolo delle Amazzoni, che egli aveva già precedentemente respinto fino a Efeso: le donne guerriere vennero nuovamente sbaragliate dal dio e dal suo seguito.\nFu allora che decise di tornare in Grecia in tutta la sua gloria divina, come figlio di Zeus; dopo essersi purificato dalla nonna Rea per i delitti commessi durante la pazzia, sbarcò in Tracia, dove regnava re Licurgo. Quando il re della Tracia Licurgo seppe che Dioniso aveva fatto irruzione nei suoi territori, gli si oppose facendo imprigionare tutti i seguaci del dio: questi riuscì però a fuggire rifugiandosi da Teti.\nAdirato contro il re di Tracia, Dioniso inviò una terribile siccità che scatenò una rivolta tra il popolo, e maledisse Licurgo facendolo impazzire: reso folle dal dio, il sovrano uccise a colpi d'ascia il figlio scambiandolo per un ramo d'edera. Un oracolo nel frattempo, a cui era stato chiesto consiglio, aveva emesso questo verdetto, che tutto il regno sarebbe rimasto secco e sterile fino a quando Licurgo fosse rimasto in vita: il popolo trascinò quindi fuori dal palazzo il proprio sovrano e lo linciò sulla pubblica piazza.\nCon la morte di Licurgo Dioniso liberò la Tracia dalla maledizione. In una versione alternativa della storia Licurgo aveva tentato di uccidere un seguace del dio ma questi, che era stato trasformato immediatamente in un vitigno, si attorcigliò strettamente attorno al re infuriato e lo trattenne tra le sue spire fino a strangolarlo.\nIn seguito Dioniso tolse il senno anche al fratellastro di Licurgo, il pirata Bute, che aveva violentato una delle Menadi.\n\nIl ritorno in Grecia.\nSottomessa la Tracia, passò in Beozia e poi alle isole dell'Egeo, dove noleggiò una nave da alcuni giovani marinai diretti a Nasso; questi si rivelarono poi essere pirati che intendevano vendere il dio come schiavo in Asia, ma Dioniso si salvò tramutando in vite l'albero maestro della nave e sé stesso in leone, popolando nel contempo la nave di fantasmi di animali feroci che si muovevano al suono di flauti.\nI marinai, sconvolti, si gettarono in mare ma il dio li salvò trasformandoli in delfini: pur consapevoli che non avrebbero più riacquistato la forma umana, i giovani compresero anche che il dio aveva voluto concedere loro la possibilità di riscattarsi, e così dedicarono il resto della loro vita a salvare i naufraghi. Per essersi dimostrato più buono degli altri pirati, Acete, il timoniere, non subì metamorfosi, divenendo sacerdote del dio.\n\nQuando Dioniso giunse nella sua città natale, Tebe, il sovrano Penteo, suo cugino, si oppose ai nuovi riti introdotti dal dio, facendo arrestare Acete e alcune Menadi. La vendetta di Dioniso su Tebe e sulla sua famiglia è narrata da Euripide nella tragedia intitolata Le Baccanti, composta mentre si trovava alla corte del re Archelao di Macedonia.\nNell'opera teatrale, in cui è argomentata la natura più terrifica e distruttiva del dio (al punto da far pensare che si tratti di un'opera critica verso la religione dionisiaca) Dioniso fa impazzire le donne della città, colpendo per prime le sue zie (Agave, Ino, Autonoe) le quali a loro tempo non avevano dato fiducia alle affermazioni di Semele che diceva d'esser stata messa incinta dal padre degli dèi.\nDioniso vuole anche punire l'intera città che continua a negare la sua divinità e si rifiuta pertanto di adorarlo. Le cittadine tebane lasciano la città per andare nei boschi del monte Citerone a celebrare le orge sacre a Dioniso.\nInfine il dio spinge lentamente alla pazzia anche re Penteo, convincendolo a travestirsi da donna per andare a spiare le menadi mentre celebrano nei tiasi i riti sacri al dio. Attirato sul monte Citerone, lo fa uccidere dalle donne tebane, che invasate dalla divinità, scambiano Penteo per un animale selvatico; il sovrano viene letteralmente fatto a pezzi.\nLa prima ad avventarsi su di lui è proprio Agave, sua madre, posta a capo di un gruppo di baccanti. La donna torna a Tebe con la testa del figlio su una picca e non riconosce il proprio figlio se non quando oramai è troppo tardi e non può far altro che versare amarissime lacrime. Dioniso infine condanna all'esilio da Tebe i suoi parenti, garantendo così la sua totale vendetta.\nUna volta riconosciuto come dio, secondo la volontà di Zeus, Dioniso ascende all'Olimpo.\n\nLe relazioni amorose.\nChirone.\nViene anche detto che il giovane Dioniso sia stato uno dei tanti allievi illustri del centauro Chirone: secondo Toloneo Chennus (testimonianza raccolta da Fozio nella sua Biblioteca) «il giovinetto Dioniso era amato da Chirone, dal quale apprende le arti del canto e della danza, oltre alle regole iniziatiche dei futuri riti bacchici».\n\nAmpelo.\nIl primo amore pederastico di Dioniso fu quello espresso nei confronti del giovanissimo satiro di nome Ampelo: l'adolescente con i piedi da capretto rimase ucciso cadendo dalla groppa di un toro impazzito per essere stato punto da un tafano inviatogli da Ate, la dea della malizia. Le Moire a seguito della supplica inviata loro dallo stesso dio che voleva intercedere a favore dell'amante, concessero ad Ampelo una seconda vita in forma di tralcio di vite.\n\nProsimno.\nUna tra le storie più note riguardanti la discesa del giovane semidio nel regno dei morti per riportare in vita la madre è quella che racconta anche del rapporto omosessuale avuto con Prosimno. Guidato dall'uomo lungo il viaggio che lo condusse fin alle porte di Ade, sulla costa dell'Argolide nei pressi di Lerna (e considerato da tutti un pozzo infinito senza possibilità alcuna d'uscita) gli venne chiesta come ricompensa di farsi amare come una donna: Dioniso accettò, gli chiese solo di aspettare che avesse portato in salvo Semele dalle grinfie della morte. Al suo ritorno dagli inferi però Dioniso scoprì che il pastore era morto prima ch'egli potesse onorare il suo impegno.\nDirettosi al tumulo che conteneva le spoglie mortali di Prosimno, Dioniso s'impegnò a soddisfarne almeno l'ombra: da un ramo di ulivo (o di fico) creò un Phallos di legno e vi si sedette sopra. Infine pose la figura dell'amante tra le stelle del cielo.\nQuesto racconto è sopravvissuto solamente grazie a fonti cristiane, il cui obiettivo primario era quello di screditare moralmente tutta la religione pagana precedente: è servita tuttavia come spiegazione parziale per spiegare alcuni tra gli oggetti segreti che venivano rivelati durante i misteri dionisiaci.\n\nIl matrimonio con Arianna.\nIl dio giunse all'isola di Nasso, dove incontrò Arianna abbandonata da Teseo e la sposò, dopodiché riprese di nuovo il mare per la Grecia. Sbarcato ad Argo, Perseo gli eresse un tempio perché placasse le donne di quella città, fatte impazzire dal dio come punizione per l'eccidio dei suoi seguaci, permettendo a Dioniso di entrare nell'Olimpo.\n\nAmanti e figli di Dioniso.\nDioniso Zagreo e la tradizione orfica.\nIn antropologia Dioniso rappresenta il mito della 'resurrezione del Dio ucciso'. La versione religiosa orfica della venuta al mondo di Dioniso ribattezza il dio col nome di Zagreo. Zagreo (Zαγρεύς) è il figlio che Ade, sotto forma di serpente, ebbe dalla moglie Persefone (o, secondo altre versioni, nato da Persefone e il padre Zeus). Tale nome appare per la prima volta nel poema dal VI secolo Alcmenoide, nel quale si dice: Potnia veneranda e Zagreo, tu che sei sopra tutti gli dei. Secondo Diodoro Siculo, i Cretesi consideravano Dioniso figlio di Ade, o Zeus, e Persefone e loro conterraneo. Di fatto gli epiteti di Dioniso a Creta erano Cretogeno, Ctonio, in quanto figlio della regina del mondo sotterraneo, e appunto Zagreo.\nSecondo questo mito, Zeus aveva deciso di fare di Zagreo il suo successore nel dominio del mondo, provocando così l'ira di sua moglie Era. Zeus aveva affidato Zagreo ai Cureti affinché lo allevassero. Allora Era si rivolse ai Titani, i quali attirarono il piccolo Zagreo offrendogli giochi, lo rapirono, lo fecero a pezzi e divorarono le sue carni. Le parti rimanenti del corpo di Zagreo furono raccolte da Apollo, che le seppellì sul monte Parnaso; Atena invece trovò il cuore ancora palpitante del piccolo e lo portò a Zeus.\nIn base alle diverse versioni:.\n\nZeus avrebbe mangiato il cuore di Zagreo, poi si sarebbe unito a Semele e questa avrebbe partorito Dioniso.\nZeus avrebbe fatto mangiare il cuore di Zagreo a Semele che avrebbe dato al dio divorato una seconda vita, generando appunto Dioniso.Zeus punì i Titani fulminandoli, e dal fumo uscito dai loro corpi in fiamme sarebbero nati gli uomini. Questa versione è narrata anche da Nonno di Panopoli nelle Dionisiache.\nNegli Inni orfici, che presentano una diversa teogonia rispetto a quella più famosa di Esiodo, nell'elenco dei sovrani degli dei, Dioniso è il sesto (dopo Fanes, Notte, Urano, Kronos e Zeus); «l'ultimo re degli dei, investito da Zeus; il padre lo pone sul trono regale, gli dà lo scettro e lo fa re di tutti gli dei». Sempre negli Inni Orfici, Dioniso viene fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo. E, parlando della nascita di Dioniso: «La prima è dalla madre, un'altra è dalla coscia, la terza avviene quando, dopo che è stato straziato dai Titani, e dopo che Rea ha rimesso insieme le sue membra, egli ritorna in vita».\nUn'antica etimologia popolare, farebbe risalire di-agreus (perfetto cacciatore), il nome Zagreo.\n\nIl simbolo della maschera.\nL'impetuoso avvento di Dioniso e la sua misteriosa presenza sono simboleggiate da un'immagine da cui traspare l'enigma perturbante della sua duplicità e con esso la sua frenesia: la maschera. Nella festa della vendemmia, ad esempio, Dioniso era presente in figura d'una maschera. La maschera, invero, ricorre anche in altri culti greci, ma solo quelle dionisiache rappresentavano il dio nella sua epifania. A causa delle notevoli dimensioni, tali maschere dunque non venivano indossate ma erano concepite come le immagini stesse del dio. La materia è ancora controversa, ma le diverse ipotesi confluiscono sul concetto della maschera come 'epifania' ed essenza del dio, e non semplice simbolo.\n\nSul vaso François, Dioniso, nel corteo degli dei, si presenta diversamente dagli altri: mentre quelli si mostrano di profilo, solo lui volge direttamente all'osservatore il suo gigantesco volto dagli occhi immensi. Questa particolarità viene generalmente spiegata col fatto che fino dall'antichità Dioniso sarebbe stato rappresentato di preferenza con la maschera, ma lo si rappresentava così perché era “il contemplante”, il dio della più immediata presenza. Dal vaso François ci guarda in modo così penetrante proprio perché è sua caratteristica apparire improvvisamente, e con tanta potenza agli occhi degli uomini che la maschera - tipica delle divinità naturalistiche e degli spiriti primigeni - gli serve da simbolo e da personificazione nel culto.\nIl volto dagli occhi scrutatori è stato da tempi immemorabili considerato come la più caratteristica manifestazione delle nature di tipo umano o ferino, e questa manifestazione viene riaffermata efficacemente dalla maschera, in quanto essa è la più forte immagine della presenza, della frontalità, di ciò “che viene incontro”: i suoi occhi sbarrati davanti a sé sono tali che non si può fuggire, il suo volto è intenso, vibrante e ambiguo, simbolo contraddittorio di immediata presenza e assoluta assenza, di realtà e illusione, ragione e follia.\nLa maschera di Dioniso si distingue da quella delle altre divinità perché è più penetrante e immediatamente sensibile, ed è collegata con l'infinito enigma della duplicità e della contraddizione: i misteri ultimi dell'essere e del non-essere fissano l'uomo con occhi smisurati in un'esperienza totalizzante, che investe la dimensione dell'assoluto. Questo spirito della duplicità che contraddistingue Dioniso e il suo regno ricorre in tutte le forme del suo operare, è la causa di quello stravolgimento che ogni elemento dionisiaco non manca mai di suscitare perché è lo spirito di una natura selvaggia e universale.\n\nI Misteri Dionisiaci.\nIn onore di Dioniso si svolgevano riti misterici, riservati cioè ai soli iniziati, corrispondenti a quelli romani in onore di Bacco.\nElemento tipico del culto di Dioniso è la partecipazione essenzialmente femminile alle cerimonie che si celebravano in svariate zone della Grecia: le baccanti (chiamate anche menadi, lene, tiadi o bassaridi) ne invocavano e cantavano la presenza soprannaturale e, anche per mezzo di maschere (importanti nel culto di Dioniso, che si suppone legato alla nascita della tragedia greca), riproducevano ritualmente il mitico corteo dionisiaco di sileni, satiri e ninfe. Si identificavano con il dio e ne acquisivano il 'furore', inteso come stato d'invasamento divino: scopo del rito era quello di ricordare le vicende mitologiche di Dioniso; erano incoronate da frasche di alloro, tralci di vite e pampini, e cinte da pelli di animali selvatici, e reggevano il tirso, una verga appesantita a un'estremità da una pigna che ne rendeva instabili i movimenti; gli uomini erano invece camuffati da satiri (vi partecipavano anche gli schiavi). Ebbro di vino, il corteo, chiamato tiaso, si abbandonava alla vorticosa suggestione musicale del ditirambo, lirica corale e danza ritmica ossessiva ed estatica. Un rito particolarmente violento e brutale era lo Sparagmòs (σπαραγμός) che consisteva nel dilaniare a mani nude degli animali allo scopo di mangiarne le carni crude. Tale rito è persino descritto ne Le Baccanti di Euripide.\nNei rituali dionisiaci venivano stravolte le strutture logiche, morali e sociali del mondo abituale. Il filosofo Friedrich Nietzsche, ne La nascita della tragedia, affermò che la potenza dionisiaca induceva in uno stato di estasi ed ebbrezza infrangendo il cosiddetto 'principio di individuazione', ossia il rivestimento soggettivo di ciascun individuo, e riconciliava l'essere umano con la natura in uno stato superiore di armonia universale che abbatteva convenzioni e divisioni sociali stabilite arbitrariamente dall'uomo. Nietzsche sosteneva che la vita stessa, come principio che anima i viventi, è istinto, sensualità, caos e irrazionalità, e per questo non poté che vedere in Dioniso la perfetta metafora dell'esistenza: ciò che infonde vita nelle arterie del mondo è infatti una fonte primeva e misteriosa che fluttua caotica nel corpo e nello spirito, è la tempesta primigenia del cosmo in eterno mutamento. Hegel, da parte sua, nella prefazione alla Fenomenologia dello spirito, raffigurò in un'immagine dionisiaca la conoscenza del Vero, quando la paragonò al «vacillare della baccante, in cui non v'è membro che non sia ebbro».\n\nMircea Eliade scrive: «Il Mistero era costituito dalla partecipazione delle baccanti all'epifania totale di Dioniso. I riti vengono celebrati di notte, lontano dalla città, sui monti e nelle foreste. Attraverso il sacrificio della vittima per squartamento (sparagmós) e la consumazione della carne cruda (omofagia) si realizza la comunione con il dio, perché gli animali fatti a brani e divorati sono epifanie, o incarnazioni, di Dioniso. Tutte le altre esperienze - la forza fisica eccezionale, l'invulnerabilità al fuoco e alle armi, i 'prodigi' (l'acqua, il vino, il latte che scaturiscono dal suolo), la 'dimestichezza' con i serpenti e i piccoli delle bestie feroci - sono resi possibili dall'entusiasmo, dall'identificazione con il dio. L'estasi dionisiaca significa anzitutto il superamento della condizione umana, la scoperta della liberazione totale, il raggiungimento di una libertà e di una spontaneità inaccessibili ai mortali».\n\nLa natura di Dioniso.\nDivinità enigmatica e ammaliante, Dioniso si faceva beffe di ogni ordinamento e convenzione, sconvolgeva le coscienze, sgretolava regole e inibizioni riconducendo gli uomini, in un vortice delirante, al loro stato di purezza primordiale. Per il filologo Walter Otto rappresenta «lo spirito divino di una realtà smisurata» che si manifesta in un eterno deflagrare di forze opposte: estasi e terrore, vita e morte, creazione e distruzione, fragore e silenzio; è una pulsione vitale dirompente e selvaggia, che affascina e inquieta: la sinfonia inebriante dell'universale realtà del cosmo.\nPer Karl Kerenyi «dove regna Dioniso la vita si rivela irriducibile e senza confini». Per Roberto Calasso, il dio ubriaco era «intensità allo stato puro» che «travolgeva nell'ebbrezza e usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse». Per Giorgio Colli è «il dio della contraddizione, di tutte le contraddizioni [...] è l'assurdo che si dimostra vero con la sua presenza».\nE ancora: è il dio della potenza provvidenziale e distruttiva per Jeanne Roux; è «il dio dell'ambiguità», «il differente», che unisce le polarità contraddittorie dell'umano per H.S. Versnel; è il dio di una no man's land in cui gli opposti della saggezza e della follia si uniscono per Claude Calame; è il dio che rappresenta quell'elemento di alterità che ogni essere umano porta dentro di sé per Jean-Pierre Vernant; non è una divinità greca come le altre per Dabdab Trabulsi; è «un'arborescenza illimitata di doppie tensioni» per Charles Segal; è un paradosso, «la somma di innumerevoli contraddizioni», tanto da presentarsi come «abisso ed enigma», per Albert Henrichs.\n\nLe Dionisie urbane e campestri.\nIl culto di Dioniso, diffuso in tutta la Grecia, era particolarmente vivo in Beozia e in Attica. Ad Atene erano importanti le dionisie rurali (o Piccole Dionisie) e quelle urbane (o Grandi Dionisie). Nelle prime, celebrate nei vari borghi dell'Attica, è elemento tipico la falloforia, o processione del fallo, che fa riferimento alle connotazioni agricole e di fecondità del dio; nelle dionisie urbane sono elemento centrale le rappresentazioni teatrali, presenti anche in un'altra festa dionisiaca ateniese, le lenee.\nIl ciclo delle celebrazioni ufficiali in onore del dio ad Atene era chiuso dai tre giorni delle antesterie, all'inizio della primavera: vi si riscontra la relazione con la vegetazione e il legame col regno dei morti (il terzo giorno si pensava che i morti ritornassero fra i vivi per essere poi, al termine della festa, ritualmente allontanati). A Delfi i tre mesi invernali erano sacri a Dioniso, e l'immagine del dio e del suo corteo era raffigurata su una delle due facciate del tempio.\nIl culto di Dioniso venne introdotto in Italia dalle colonie greche e fu oggetto anche di provvedimenti repressivi, come il senatoconsulto del 186 a.C. che vietava i baccanali, ma nella religione mistica ebbe sempre grande importanza fino all'età imperiale. Nella tarda antichità il culto di Dioniso assurse a religione cosmica e si espanse capillarmente in maniera del tutto spontanea: solo le vicende storiche posero fine alla sua influenza.\n\nDioniso e le origini del teatro.\nLa tragedia è una creazione del mondo greco, ma riguardo alle sue origini le fonti sono scarse e frammentarie. Tutti gli studiosi concordano tuttavia sull'iniziale matrice religiosa del teatro greco che andrebbe rintracciata nei riti celebrati in onore di Dioniso, di cui la danza e la musica erano parte integrante. Aristotele collega la tragedia con il ditirambo, un canto corale in onore di Dioniso che veniva intonato da un corteo di satiri danzanti, guidato da un corifeo, in occasione di feste legate al culto del dio, e con un elemento satiresco; fornendo anche l'etimologia del termine come 'canto dei capri',(trágos, capro; ōdē, canto), dalle maschere dei partecipanti. Interpretazioni successive parlano invece di 'canto in onore del capro' o di 'canto per ottenere il premio di un capro'.\nSecondo la tradizione il ditirambo, sorto nel VII secolo a.C. nella regione di Corinto, sarebbe stato introdotto in Attica da Tespi, un personaggio quasi leggendario che non solo avrebbe conferito forma letteraria al genere ma avrebbe anche creato per primo la figura dell'attore, introducendo la presenza di un interlocutore (l'hypokrités) che dialogava con il corifeo, e dando così una dimensione drammatica al canto primitivo. Da qui sarebbe scaturita la rappresentazione teatrale vera e propria, accolta nel contesto sociale come parte di un ciclo di festeggiamenti che si svolgeva periodicamente ad Atene due volte l'anno. Un'origine analoga avrebbe dato vita alla commedia, derivata da una processione spontanea a carattere buffonesco in onore di Dioniso conclusa da un canto fallico.\n\nDioniso e la psicologia.\nDioniso nell'interpretazione della scuola junghiana.\nJames Hillman (1926-2011), fra i principali successori di Jung nella scuola della psicologia analitica, ha sviluppato profonde riflessioni sulla figura e sull'archetipo di Dioniso. Nel suo saggio breve Dioniso negli scritti di Jung, primo capitolo di Figure del mito, sintetizza quanto Jung aveva scritto a proposito di Dioniso e del dionisiaco per poi fornire una personale interpretazione.\nDioniso non è stato un tema centrale per Jung: secondo Hillman, ciò è causato da un lato dagli originali studi di Erwin Rohde e di Nietzsche che lasciavano ben poco spazio a un’ulteriore esplorazione dal tema, dall’altro dall’interesse prevalente di Jung verso la schizofrenia e la figura archetipica di Ermes-Mercurio piuttosto che verso l’isteria e l’archetipo dionisiaco; non a caso Freud, che iniziò la costruzione della sua teoria a partire proprio dall’isteria, fece al contrario più volte uso di metafore dionisiache (la zoé, il bambino e la bisessualità rappresentate da Dioniso) nel parlare delle zone erogene e dell’infante come perverso polimorfo. Nondimeno in diverse occasioni Jung analizza il dio classico e l’archetipo a cui egli dà il nome. Negli scritti alchemici di Jung, Dioniso è associato alla scimmia e alla Messa nera, a “Sua Maestà il Diavolo”. In altri scritti Jung evidenzia le affinità fra Dioniso e Wotan, analizzando la figura di Nietzsche e la pazzia che caratterizzò l’ultima parte della sua vita in riferimento allo smembramento di Zagreo. Lo smembramento di Dioniso è tuttavia la dimostrazione della sua divisibilità in parti: da un lato lo smembramento rimanda alla disgregazione e alla scomposizione del corpo dell’individuo e della sua stessa vita, ed è in qualche modo replicato dai processi che stanno alla base dei sintomi psicosomatici, dell’isteria, nelle fantasie-fobie sul cancro; dall’altro lato l’esperienza dello smembramento del controllo centrale rappresenta la “resurrezione della luce naturale della coscienza archetipica distribuita in ciascun organo del corpo”, la stessa “distribuzione della coscienza nelle membra, negli organi e nelle zone del corpo” che si evince dal simbolismo dell'Ulisse di Joyce.\nHillman sviluppa la riflessione del suo maestro sul dionisiaco affermando che la coscienza della psicologia analitica “è sempre stata governata da una struttura archetipica che privilegia i principi della luce, dell’ordine e del distanziamento rispetto al coinvolgimento emotivo, ovvero, più brevemente, il principio apollineo rispetto al dionisiaco”: pertanto sia la psichiatria di impianto tradizionale che gli studi classici avrebbero impedito la consapevolezza del dionisiaco e la risoluzione di problemi analitici fondamentali relativi a questo archetipo, provocando anzi una rimozione e una distorsione di tutti i fenomeni ad esso connessi bollati come “isterici, femminei, incontrollabili e pericolosi”:.\n\nGalleria d'immagini.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Diore (figlio di Amarinceo).\n### Descrizione: Nella mitologia greca, Diore (in greco antico Διώρης, Diorês) è uno dei personaggi dell'Iliade.\nFu uno dei comandanti del contingente degli Epei alla Guerra di Troia, assieme a Anfimaco, Talpio e Polisseno. Nel corso della guerra venne ucciso da Piroo.\n\nGenealogia.\nDiore era figlio di Amarinceo, a sua volta figlio di Alettore, figlio di Epeo. Il padre di Amarinceo viene però indicato anche come Pizio o Onesimaco.
@Scribis @Italiano. Parlami di un argomento di mitologia greca.
### Titolo: Dioscuri.\n### Descrizione: I Diòscuri (in greco antico: Διόσκουροι?, Dióskouroi - in latino Dioscuri) ovvero Càstore (in greco antico: Κάστωρ, -ορος?, Kástōr, in latino Castōr, -ŏris) e Pollùce o Polideuce (in greco antico: Πολυδεύκης, -ους?, Polydéukēs, in latino Pollūx, -ūcis), sono due personaggi della mitologia greca, etrusca e romana. Conosciuti soprattutto come i Diòscuri ossia 'figli di Zeus', ma anche come Càstori, Gemini e Tindaridi, avevano entrambi una propria specificità: Castore era domatore di cavalli mentre Polluce si distingueva ottimamente nel pugilato.\nErano anche considerati come protettori dei naviganti durante le tempeste marine e furono associati alla costellazione dei Gemelli e alla comparsa della stella Sirio nel cielo in prossimità dell'equinozio di primavera, poiché propiziava la semina dei campi e l'inizio della primavera stessa. Nell'astronomia moderna Castore dà il nome ad Alpha Geminorum e Polluce a Beta Geminorum. Vengono talvolta considerati anche patroni dell'arte poetica, della danza e della musica.\n\nGenealogia.\nFigli di Tindaro e di Leda (quando le leggende li considerano nati da un padre mortale) o di Zeus e Leda (quando assegnano loro una discendenza divina). Esistono inoltre versioni dove Tindaro è il padre di Castore e Zeus quello di Polluce. Leda, dopo che Zeus in forma di cigno l'aveva fecondata, partorì due coppie di uova, da cui sono nati i gemelli, che a ricordo della loro origine, portano un copricapo a forma di uovo. Assieme ai Dioscuri nacquero le loro sorelle Elena e Clitennestra. Castore sposò Ileria e divenne padre di Anogon. Polluce sposò Febe e divenne padre di Mnesileo (o Mnasinous).\n\nMitologia greca.\nPrincipi di Sparta, furono Argonauti, parteciparono alla caccia del cinghiale calidonio, al salvataggio della sorella Elena e al rapimento delle Leucippidi.\n\nArgonauti.\nCome Argonauti, compirono il viaggio verso la Colchide nella ricerca del Vello d'oro e alla caccia al cinghiale calidonio. Polluce (già celebrato come grande pugile) sconfisse in un incontro di pugilato il re dei Bebrici, Amico. Poco tempo dopo fondarono la città eponima di Dioscuria (sempre collocata in Colchide secondo il mito), e nel viaggio di ritorno aiutarono Giasone e Peleo a distruggere la città di Iolco come ritorsione al tradimento del suo re Pelia.\n\nIl salvataggio di Elena.\nQuando Teseo rapì Elena per portarla con sé ad Afidna, i Dioscuri invasero il regno dell'Attica per salvarla e per ritorsione rapirono Etra che fu portata con loro a Sparta dove divenne schiava di Elena.\n\nLa mandria, Leucippidi e la morte.\nGli episodi della loro morte sono raccontati in due versioni diverse:.\nApollodoro racconta che razziarono del bestiame con la complicità dei fratelli Idas e Linceo ma ebbero una lite sulla spartizione del bottino poiché Idas usò nei confronti dei Dioscuri uno stratagemma scorretto e in seguito si allontanarono con i capi migliori della mandria. Per ritorsione i Dioscuri marciarono contro la città di Messene e dapprima si ripresero il bestiame e molto altro ancora e in seguito tesero un'imboscata a Idas e Linceo, che però fallì poiché Castore, nascostosi per colpire Idas fu scorto da Linceo e Idas lo uccise. Polluce li inseguì e vendicò il fratello uccidendo Linceo con la sua lancia, ma fu da questo colpito alla testa con un sasso e cadde a terra. Questa versione (che considera Polluce figlio di Zeus), dice che per vendicare la morte del figlio, Zeus lanciò un fulmine che uccise Idas.\nIgino e Teocrito invece, scrivono che Leucippo (il padre di Febe e Ilaria, dette Leucippidi), dopo aver promesso le due figlie a Idas e Linceo si lasciò tentare dai doni offerti dai Dioscuri e acconsentì al matrimonio con gli ultimi due che le portarono a Sparta e le resero madri. Idas e Linceo però presero le armi e marciarono contro di loro, così Castore colpì a morte Linceo e si oppose a Idas impedendogli di seppellire la vittima e sostenendo che quel cadavere ora gli appartenesse e Idas, usando la spada, reagì trafiggendolo mortalmente alla coscia. Polluce infine, sconfisse Idas e seppellì il proprio fratello (Castore). Di questa versione esistono delle varianti che aggiungono che Polluce, implorando Zeus di rendere immortale il fratello Castore, ottenne che vivessero in alternanza un giorno nell'Olimpo e uno nell'Ade.\nEuripide scrive invece che Zeus concesse loro di vivere per sempre nel cielo e nella forma della costellazione dei Gemelli e come emblemi di immortalità e morte.\nAltre leggende raccontano che i Dioscuri, come Eracle, siano stati iniziati ai misteri eleusini.\n\nMitologia e culto romano.\nNato a Sparta (la loro patria) dal mito greco, il loro culto ebbe anche la divinazione di renderli i protettori dei naviganti (poiché secondo la leggenda Poseidone affidò loro il potere di dominare il vento e il mare) e dopo essersi diffuso nella Magna Grecia, dal V secolo avanti Cristo fu assimilato presso i Latini e divenne oggetto di venerazione da parte dei Romani.\n\nProbabilmente l'assimilazione del mito greco presso i Romani fu la conseguenza della trasmissione culturale avvenuta attraverso le colonie greche della Magna Grecia del sud Italia e la relativa conquista da parte di Roma.\nUn'iscrizione arcaica latina del VI o V secolo a.C. trovata a Lavinio che recita 'Castorei Podlouqueique qurois' ('Per Castore e Polluce, i Dioscuri'), suggerisce una trasmissione diretta dai Greci e la parola 'qurois' è praticamente una traslitterazione della parola greca 'κούροις', mentre 'Podlouquei' (Poliducei) è effettivamente una traslitterazione del greco 'Πολυδεύκης'.\n\nA Roma (e con il nome di Càstori) venivano ricordati nel Tempio dei Dioscuri collocato all'interno del Foro Romano e nelle vicinanze del Tempio di Vesta che fu costruito per un voto (votum) offerto dal dittatore Aulo Postumio durante la battaglia del Lago Regillo avvenuta nel 495 a.C. e la stessa istituzione del tempio può anche essere una forma di 'evocatio', ovvero il trasferimento di una divinità tutelare da una città sconfitta a quella dei vincitori (Roma), dove il culto sarebbe offerto in cambio di favore. Il risultato della battaglia, inizialmente sfavorevole ai guerrieri dell'Urbe, si dice sia stato deciso dall'apparizione dei Diòscuri che combatterono alla testa dell'esercito romano e successivamente riportarono la notizia della vittoria a Roma.\nTito Livio scrive che nel momento più drammatico della battaglia Aulo Postumio fece il voto di erigere un tempio a Castore in caso di vittoria.\nI Locridi della Magna Grecia avevano attribuito il loro successo a una leggendaria battaglia sulle rive del Sagra all'intervento dei Diòscuri e la leggenda romana potrebbe avere origine dal racconto locrese e potrebbe fornire ulteriori prove della trasmissione culturale tra Roma e la Magna Grecia.\n\nOgni anno il 15 luglio i Romani dedicavano a loro una festività poiché credevano che li aiutassero sul campo di battaglia e l'emulazione dei gemelli li rendeva particolarmente attraenti per gli equites e la cavalleria romana. Durante i festeggiamenti, 1 800 cavalieri sfilavano per le strade di Roma in uno spettacolo elaborato dove ogni cavaliere indossava un completo abbigliamento militare e qualsiasi altra decorazione avesse guadagnato durante la sua carriera.\nCastore e Polluce sono rappresentati anche nel Circo Massimo grazie all'utilizzo di uova come contagiri (questo perché secondo una leggenda greca, Castore, Polluce e due delle loro sorelle (Elena e Clitennestra) nacquero dalla loro madre Leda dopo che Zeus per possederla si trasformò in un cigno e invece di un normale parto la madre diede alla luce quattro uova).\n\nLe fonti citano a Roma un altro tempio dedicato ai Dioscuri, situato nella zona del Circo Flaminio, probabilmente collocato tra questo e la riva del Tevere: in questa zona infatti, presso la chiesa di San Tommaso ai Cenci, vennero ritrovate le due statue dei Dioscuri attualmente collocate sulla balaustra della piazza del Campidoglio. A causa dello stretto spazio disponibile ebbe una pianta con cella disposta trasversalmente (come il tempio di Veiove sul Campidoglio e il tempio della Concordia nel Foro Romano). Secondo le ipotesi degli studiosi il tempio potrebbe essere datato tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. e la sua costruzione essere forse attribuibile a Quinto Cecilio Metello Pio, dopo il suo trionfo sulla Spagna (71 a.C.): questa attribuzione sembrerebbe confermata dallo stile delle statue attualmente conservate sul Campidoglio.\nIl culto dei Dioscuri nel Lazio è molto antico, come ha rivelato il ritrovamento di una lamina a Lavinio con dedica a Càstore e Polluce. lo stile fortemente grecizzante del reperto ha fatto supporre che il culto fosse arrivato da una città della Magna Grecia. Come in Grecia, i due fratelli erano protettori dei cavalieri, che a quell'epoca erano composti dalla sola aristocrazia.\nA Cori, in provincia di Latina, esiste un tempio dei Dioscuri, risalente nella sua prima fase al V secolo a.C. e i cui resti attuali appartengono ad una ricostruzione del I secolo a.C.\nA Napoli l'antico tempio dei Dioscuri, ricostruito in età tiberiana, rimase in piedi, riutilizzato come basilica di San Paolo Maggiore, fino al crollo per un terremoto nel 1688. Sulla facciata della chiesa, ricostruita dopo il crollo, sono visibili ancora due delle colonne che appartenevano al tempio antico.\nNella Valle dei Templi, ad Agrigento, sono presenti rovine di un tempio a loro dedicato.\nSecondo Virgilio parteciparono alla fondazione della città di Amyclae nel Lazio.\n\nDionigi di Alicarnasso.\nDella battaglia del Lago Regillo, Dionigi d'Alicarnasso narra che «Nel corso del combattimento apparvero, tanto al dittatore Postumio quanto ai soldati, due cavalieri di età giovanile, assai superiori a chiunque altro per bellezza e per statura. Essi si posero alla testa della cavalleria romana e, respinto l'attacco dei Latini, li misero in fuga. È fama che quella sera stessa furono visti nel Foro romano due giovani di straordinaria bellezza, in abito militare, che sembravano reduci da un combattimento e portavano cavalli madidi di sudore. Essi abbeverarono gli animali e si lavarono alla sorgente che scaturisce presso il tempio di Vesta… e a quanti domandavano notizie, riferirono dell'andamento e dell'esito della battaglia e della piena vittoria dei Romani; quindi, allontanatisi dal Foro, non furono visti mai più». Sempre Dionigi dice che i Romani si resero conto che si trattava di un'apparizione miracolosa e rapidamente identificarono i due giovani con Castore e Polluce.\nQuesto episodio leggendario raccontato da Dionigi è successivo ad un episodio analogo, ugualmente leggendario: nel corso della battaglia del fiume Sagra combattuta intorno al 550 a.C. tra Locri e Crotone i soldati di Locri, meno armati e meno numerosi di quelli di Crotone, vinsero solo dopo il fondamentale intervento di due giovani a cavallo, di straordinaria bellezza e di grande valore, che anche in questo caso, a battaglia conclusa, apparvero a Locri per annunciare la vittoria. Anche loro furono identificati dai Locresi come i Dioscuri.\n\nGli etruschi Kastur e Pultuce.\nGli Etruschi venerarono i Diòscuri con i nomi di Kastur e Pultuce che consideravano come 'figli di Tinia' (la controparte etrusca di Zeus) e allo stesso modo dei Greci potevano anche raffigurarli simbolicamente come ad esempio nei dipinti della Tomba del Triclinio ritrovata a Tarquinia e dove è dipinto un lectisternio dedicato a loro. Particolare è la riproduzione dei due pilei a punta e coronati di alloro molto simili ai berretti usati dai illiri in antichità e i Toschi del sud Albania oggi e con cui i Diòscuri venivano raffigurati anche nel culto romano.\n\nNel culto cristiano.\nAnche dopo l'avvento del cristianesimo, nei riguardi dei Diòscuri continuò una forma di venerazione popolare che assorbì la loro iconografia con quella della nuova religione, tanto che sia nelle ceramiche sia nelle sculture del Nord Africa del IV secolo venivano raffigurati accanto ai Dodici Apostoli, la Resurrezione di Lazzaro o con San Pietro.\nNel V secolo papa Gelasio I attestò la presenza di un 'culto di Castore' che la gente non voleva abbandonare e in seguito la chiesa assunse un atteggiamento ambivalente, rifiutando l'immortalità dei Diòscuri ma cercando di sostituirli con coppie cristiane equivalenti per arrivare a mettere Pietro e Paolo come patroni dei viaggi (Castore e Polluce lo erano dei marinai) e i santi Cosma e Damiano come santi medici.\n\nAnalogie indoeuropee.\nL'incontro di gemelli nella mitologia non è raro poiché, oltre alla presenza dei Diòscuri nella mitologia greca, romana ed etrusca, altre mitologie Indoeuropee hanno i loro equivalenti.\n\nNel Veda, il libro sacro degli Arii sono citati gli Ashvin che, al pari dei Diòscuri, vengono identificati con la costellazione dei Gemelli.\nNella mitologia baltica esistono gli Ašvieniai degli antichi Lituani e che prendono il nome di Dieva per gli antichi Lettoni.\nNella mitologia baltica Castore è l'equivalente di Autrympus e Polluce di Potrympus che sono considerati divinità come altri dei del loro Pantheon.\nNella mitologia germanica del popolo dei Naarvali esistono gli Alcis, altrettanto ritenuti divini e da Tacito direttamente associati ai Diòscuri.\n\nIconografia.\nSono generalmente rappresentati in nudità eroica, con il pileo, un copricapo a forma di guscio, particolarmente diffuso in illiria e in genere vengono accompagnati da un cavallo e a volte recano con sé una lancia.\n\nA Roma furono rappresentati quasi ininterrottamente sul rovescio della principale moneta romana (il denario), dalla incerta data della sua emissione (che i più ritengono avvenuta nel 211 a.C.) fino alla seconda metà del II secolo a.C.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Diotima.\n### Descrizione: Diotima di Mantinea (in greco antico: Διοτίμα?, Diotíma; Mantinea, V secolo a.C. – ...) è una figura magistrale e sapienziale di donna che Platone nel Simposio introduce come maestra di Socrate sul concetto dell'Eros.\n\nLa maestra dell'Eros.\nNel dialogo platonico, Socrate tratteggia la figura di Diotima come quella di una veggente o sacerdotessa che rese edotto, lui giovane, sulla filosofia dell'Eros. Socrate aggiunge anche che Diotima riuscì a ottenere che gli Dei posponessero di dieci anni la pestilenza che avrebbe colpito Atene.\nIl logos pronunciato da Socrate durante il convito in onore di Agatone, modellato sull'insegnamento di Diotima, prende le mosse da quanto detto immediatamente prima da Aristofane, con la sua esposizione del mito dell'androgino, riguardante l'inadeguatezza e l'insufficienza che l'eros è in grado di svelare.\n\nNatura dell'eros.\nL'insegnamento maieutico di Diotima, come espresso dal discorso socratico, si focalizza sui profili teleologici dell'indagine conoscitiva circa la natura dell'eros.\nEros, infatti, non ha natura divina né mortale ma consiste in un'entità demonica, generata dall'unione di Pòros (la Ricchezza) e Penìa (la Povertà). Questa genesi accidentale simboleggia l'indole contraddittoria di Eros, nella cui natura convivono le tensioni che nascono dal bisogno e dalla mancanza (Penìa). Esse si compongono con la situazione di felicità connessa all'aspirazione a conoscere la bellezza, una condizione, quest'ultima, destinata, però, a rimanere uno stato di felicità solo potenziale: infatti, il possesso della bellezza, precluso agli esseri umani, è prerogativa esclusiva della natura pienamente divina; ma aspirare alla conoscenza, senza poterla possedere, è nella natura stessa della ricerca filosofica e rivela il senso, nell'ottica del sapere di non sapere, per cui l'eros, il cui oggetto è la sapienza, è da considerarsi filosofo.\n\nTeoria dell'eros.\nLa teoria dell'eros di Diotima unifica e racchiude gli aspetti accidentali e accessori messi in luce dagli altri simposiasti e risolve la gerarchia delle diverse gradazioni ed espressioni che l'eros può assumere, riassumendola nell'idea iperuranica della bellezza in sé, eterna, sovrana, immutabile e intangibile al divenire. L'aspirazione alla bellezza è il fine stesso dell'esistenza e della felicità che deriva dalla ricerca del bene. Il logos socratico, e l'insegnamento di Diotima, giungono alle soglie della kalokagathia e del percorso che conduce alla bellezza. Ma a questo punto del dialogo non rimane spazio per altro. Entra in scena la vita esterna, e il compassato convito è destabilizzato dall'irrompere dionisiaco del komos di Alcibiade. La discussione sul difficile percorso che conduce alla bellezza è solo rimandata e si compirà nel Fedro.\n\nAmore platonico.\nMa è qui da ricordare la riflessione di chi, con fine annotazione, sottolinea come l'irruzione esterna dia lo spunto a Platone per l'esposizione della sua concezione di amore, servendosi delle parole e dell'agire scomposto dell'ebbro Alcibiade e grazie al ribaltamento del rapporto omoerotico implicato dalla sua dichiarazione d'amore per Socrate: qui, infatti, la tensione erotica che si esprime proviene dall'eromenos (il giovane e bello) e si rivolge all'erastès (l'anziano e brutto), realizzando l'antitesi della norma convenzionale della pederastia greca, che vuole la tensione indirizzata in senso opposto. Ma se è permesso un simile rovesciamento delle convenzioni, è solo perché, a questo punto del dialogo, ci si trova immersi nell'ottica della perfetta intellettualizzazione del rapporto erotico: l'invaghimento puramente intellettuale del giovane per il Bello in sé.\n\nLa storicità di Diotima.\nPoiché la nostra unica fonte è Platone, non possiamo essere certi se si trattasse di un personaggio storico o invece di una creazione letteraria. Occorre tuttavia notare che i personaggi nominati nei dialoghi platonici hanno quasi sempre trovato una corrispondenza nella vita reale della società ateniese del tempo.\nSi è spesso ritenuto, da parte degli studiosi del XIX e XX secolo, che la figura di Diotima adombrasse in realtà quella di Aspasia, dapprima concubina e poi moglie di Pericle, tanto egli era colpito dall'intelligenza e dall'arguzia della donna milesia. La questione non è ancora del tutto risolta ma qualche studioso ha argomentato, in maniera convincente, la storicità della figura di Diotima.\n\nIconografia.\nLa sua figura è forse riconoscibile in una scena da un rilievo frammentario conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Atene, databile alla seconda metà del V secolo a.C., nel quale è effigiata una sacerdotessa che procede verso sinistra, raffigurata di tre quarti, recando un oggetto nella mano sinistra (forse il fegato divinatorio). Il bassorilievo è completamente mutilo della testa della donna, di parte del braccio destro, e di quasi tutto l'albero che chiude sulla sinistra la scena (una palma).\nAlcuni studiosi hanno proposto la sua identificazione in una figura femminile (più probabilmente Aspasia di Mileto) raffigurata in compagnia di Socrate, su un rilievo bronzeo conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, qualora si interpreti come benda sacerdotale l'oggetto da lei recato in mano.\n\nCalchi nominali e pseudonimi.\nLa suggestione che emana dalla sua figura ha fatto sì che il suo nome, analogamente a quanto successo per quello di Aspasia, sia stato spesso usato come pseudonimo o attribuito a progetti artistici o filosofici, riviste, saggi, ecc.\n\nLa scrittrice polacca Jadwiga Łuszczewska (1834-1908) usò il nome d'arte Diotima (Deotyma).\nFriedrich Hölderlin usò il nome d'arte Diotima come pseudonimo dietro cui celare l'identità della scrittrice Susette Borkenstein Gontard (1769-1802), che lo aveva ispirato alla scrittura del romanzo Hyperion. In quest'opera epistolare, l'Io narrante è Hyperion, un eroe che si batte per la libertà di una Grecia oppressa dalla dominazione turca. Egli indirizza la sua corrispondenza agli amici Diotima e Bellarmin.\nLuigi Nono ne usò il nome come parte di un titolo in una delle sue più importanti composizioni, Fragmente-Stille, an Diotima, per quartetto d'archi, includendovi citazioni tratte dalle lettere di Hyperion a Diotima, dell'opera di Hölderlin.\nDiotima è il soprannome dato da Ulrich a Hermine, una delle protagoniste femminili de L'uomo senza qualità di Robert Musil.\nIn suo onore è stato chiamato con il suo nome l'asteroide 423 Diotima, scoperto il 7 dicembre del 1896.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dirce.\n### Descrizione: Dirce è una figura della mitologia greca, moglie di Lico. Non ha alcuna relazione con l'omonimo personaggio della tragedia Oedipe di Pierre Corneille.\n\nMito.\nUn giorno Lico accolse sua nipote Antiope, cacciata dal fratello Nitteo (un'altra versione afferma che Lico la sottrasse con la forza ad Epopeo, il re di Sicione, che aveva accolto Antiope, che era fuggita dal padre adirato per la sua gravidanza).\nDirce trattò Antiope come una schiava, maltrattandola. Presso la casa di Dirce, Antiope diede alla luce due gemelli, Anfione e Zeto (i cosiddetti Dioscuri tebani), ma quando Lico ne venne a conoscenza, ordinò che questi venissero esposti alle belve sul monte Citerone. Un pastore però trovò i gemelli e li allevò come figli propri.\nPer i maltrattamenti della zia, Antiope fuggì e dopo varie peripezie giunse alla grotta dove abitavano i suoi figli, che la riconobbero solo successivamente. Divenuti adulti, i figli decisero di vendicare la madre e uccisero Lico e poi punirono atrocemente Dirce, attaccandola ad un toro furioso, che la trascinò via uccidendola.\nDioniso ebbe pietà di lei e la trasformò in una fonte presso Tebe; in altre versioni, venne gettata in una fonte, che assunse il suo nome.\nFamosa rappresentazione di questo mito è la scultura ellenistica del Toro Farnese conservata nel Museo archeologico nazionale di Napoli. Lo scultore Lorenzo Bartolini, nel 1834, eseguì una languida raffigurazione di Dirce, ora conservata al Louvre.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ditirambi di Dioniso e Poesie Postume.\n### Descrizione: Ditirambi di Dioniso e Poesie postume è il titolo di una raccolta di componimenti poetici del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche pubblicata da Adelphi nel volume VI, tomo IV della collana 'Opere di Friedrich Nietzsche'.\nI Ditirambi di Dioniso sono l'ultima opera che Nietzsche scrisse e lasciò pronta per la stampa, alle soglie della pazzia.\nNei suoi quaderni e taccuini dopo la pubblicazione di Idilli di Messina e di La gaia scienza fino a Ditirambi di Dioniso, cioè dall’autunno del 1882 fino al gennaio del 1889, si trovano altri numerosi tentativi poetici, taluni elaborati fino in fondo, altri invece rimasti a uno stadio più o meno frammentario.\n\nAltri progetti.\n\nWikimedia Commons contiene immagini o altri file su Ditirambi di Dioniso e Poesie Postume.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Ditirambo.\n### Descrizione: Il ditirambo (in greco antico: διθύραμβος?, dithýrambos) era, nell'antica Grecia, un canto corale in onore del dio Dioniso.\n\nStoria.\nIl termine διθύραμβος è di origine sconosciuta, probabilmente non greca classica ma pelasgica; compare per la prima volta in Archiloco, che lo indica come quel 'canto a Dioniso' che viene eseguito sotto l'ispirazione del vino.\nInizialmente era intonato da un gruppo di persone dirette da un corifeo, o exarchōn. Si trattava di una composizione poetica corale, dove poesia, musica e danza erano fuse insieme e tutte e tre indispensabili in ugual misura. La danza collettiva, drammatica e rapida, era eseguita in circolo da danzatori incoronati da ghirlande; l'exarchōn rappresentava lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnavano con lamentazioni e canti di giubilo.\nIl Ditirambo accompagnava anche i cortei (pompè) di cittadini mascherati che, in stato d'ebbrezza, inneggiavano a Dioniso, accompagnati dal suono di flauti e tamburi; un suono cupo, poco melodico, ma di profonda potenza, furente, che accompagnava alla perfezione il corteo barcollante di uomini mascherati. Alcune feste a Dioniso infatti presupponevano il totale mascheramento, con pelli di animali e grandi falli; le Menadi, seguaci dirette del Dio, portavano il Tirso, un bastone con in cima o un ricciolo di vite o una pesante pigna.\nSecondo Erodoto, fu trasformato in genere letterario a Corinto verso la fine del VII secolo a.C. da Arione di Metimna (c. 625 - c. 585 a.C.), che lo dispose secondo un preciso schema, facendolo intonare da un coro..\nTra VI e V secolo a.C. Simonide, Pindaro e Bacchilide divennero i principali poeti ditirambici; degli ultimi due rimangono numerosi frammenti.\nAltri poeti minori che hanno scritto in ditirambi sono Teleste di Selinunte, Antagora di Cutro e Timoteo di Mileto.\nLaso di Ermione introdusse il ditirambo ad Atene, dove organizzò un concorso tra le dieci tribù, ognuna delle quali partecipava con un coro di adulti ed uno di ragazzi, ciascuno di 50 membri; in seguito i concorsi ditirambici furono introdotti negli agoni in onore di Dioniso (509 a.C.), il cui primo vincitore sembra sia stato Ipodico di Calcide.Il ditirambo ha una rilevante importanza concettuale come una 'forma-lancio', se così la possiamo definire, che prepara a, o meglio genera, quelle che saranno la tragedia e la commedia. Aristotele, nella Poetica, afferma che esso diede origine alla tragedia; secondo la tradizione, il primo ad aver eseguito un ditirambo in senso 'scenico', ad Atene, sarebbe stato un poeta 'girovago', Tespi.\nL'indicazione più chiara del ditirambo come proto-tragedia deriva da un testo di Bacchilide, anche se composto dopo che la tragedia si era completamente sviluppata. Il ditirambo 18 di Bacchilide, infatti, è un dialogo tra un singolo cantore ed il coro e può dare una indicazione di come potesse apparire la tragedia prima dell'aggiunta di un secondo attore, operata da Eschilo.\nNella letteratura italiana il ditirambo è un componimento giocoso sul tema del vino e dell'allegrezza conviviale. Il più celebre componimento ditirambico italiano è il Bacco in Toscana di Francesco Redi.\nFriedrich Nietzsche utilizzò il ditirambo come strumento filosofico: gran parte delle sue poesie ed anche alcune sue opere posseggono la forma metrica ditirambica, proprio in onore al dio (o filosofo, come lui lo chiama) Dioniso. Esemplare in tal senso è l'opera maggiore di Nietzsche, Così parlò Zarathustra.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Divinità della mitologia greca.\n### Descrizione: Il seguente elenco riassume gli dèi e le dee della religione dell'antica Grecia e altre figure divine o semi-divine della mitologia greca.\n\nImmortali.\nI Greci hanno creato immagini di divinità per diversi scopi, uno di questi è quello di far vedere quanto ci tenevano alle loro divinità e per onorarle agli altri. Un tempio ne ospitava spesso una statua ed era spesso decorato con scene in bassorilievo o altorilievo. Le loro immagini erano presenti su sarcofagi, affreschi, mosaici, monete, alabastron, anfore o altre ceramiche, dove venivano rappresentate.\nLe tre divinità più importanti sono: Zeus (padre e re degli dèi, ultimo figlio del titano Crono, fratello di Poseidone e Ade e primo in ordine di importanza), Poseidone (fratello di Zeus e Ade e re dei mari, secondo per importanza) e Ade (fratello di Zeus e Poseidone, signore degli Inferi e terzo per importanza).\n\nDèi e dee maggiori.\nDèi primigeni o primordiali.\nNella cosmologia orfica.\nTitani.\nI titani sono rappresentati nell'arte greca meno spesso degli Olimpi. Identificati come nemici dei Dodici Dei.\n\nGiganti, ecatonchiri e altri.\nConcetti personificati.\nDivinità ctonie.\nDivinità dell'acqua.\nAcheloo (Ἀχελῷος), dio dell'omonimo fiume greco.\nArchilo, divinità marina a forma di squalo.\nAnfitrite (Ἀμφιτρίτη), dea del mare e moglie di Poseidone.\nArpie (Ἁρπυῖαι), spiriti alati che comandano i colpi di vento e le folate improvvise:.\nAello (Ἀελλώ) o Aellopoda o Aellope (Ἀελλώπη) o Aellopo (Ἀελλόπους);.\nArpiria, che tormentò Fineo;.\nCeleno (Κελαινώ), incontrata da Enea;.\nNicotoe (Νικοθόη);.\nOcipete (Ὠκυπέτη) o Ocipode (Ὠκυπόδη) o Ocitoe (Ὠκυθόη);.\nPodarge (Ποδάργη) o Podarche (Ποδάρκη).\nBentesicima (Βενθεσικύμη), figlia di Poseidone, residente in Etiopia.\nBrizo (Βριζώ), dea dei sogni dei marinai, dava suggerimenti sulla navigazione e sulla pesca.\nCeto (Κητώ), dea dei pericoli marini.\nCariddi (Χάρυβδις), mostro marino dei vortici e delle correnti.\nCimopolea (Κυμοπόλεια), dea minore delle tempeste marine violente, figlia di Poseidone, sposò il gigante Briareo.\nDelfino (Δέλφιν), dio dei delfini dell'aspetto omonimo, Poseidone lo mise in cielo a fare la costellazione omonima, per premiarlo di aver convinto Anfitrite a cedergli.\nEgeone (Αἰγαίων), dio dei mari violenti alleato dei titani.\nForco (Φόρκυς), dio delle forze nascoste e dei pericoli del mare.\nGalene (Γαλήνη), dea del mare calmo.\nGlauco (Γλαῦκος), pescatore divenuto divinità per sortilegio.\nGorgoni (Γοργόνες), creature marine, figlie dei summenzionati Forco e Ceto.\nEuriale (Εὐρυάλη), perversa sessualmente;.\nMedusa (Μέδουσα), perversa intellettualmente, l'unica delle tre non immortale;.\nSteno (Σθεννώ), perversa moralmente.\nGraie (Γραῖαι), spiriti marini che personificano la schiuma del mare, in tre condividevano un occhio e un dente:.\nDeino (Δεινώ);.\nEnio (Ἐνυώ);.\nPenfredo (Πεμφρεδώ).\nIdro (Ὕδρος), dio primordiale delle acque.\nIdotea (Εἰδοθέα), profetica ninfa marina, figlia di Proteo.\nIppocampo (ἱππόκαμπος), cavalli del mare, metà pesci, nel corteo di Posidone.\nIttiocentauri (Ἰχθυοκένταυροι), due fratelli centauri marini:.\nBito (Βύθος), profondità del mare;.\nAfro (Ἄφρος), schiuma del mare.\nCarcino (Καρκίνος), un granchio gigante che si alleò con l'Idra contro Eracle. Quando morì, Era lo mise in cielo a fare la costellazione del Cancro.\nLadone (Λάδων), serpente di mare dalle cento teste che faceva la guardia ai confini occidentali del mare e all'isola delle mele d'oro delle Esperidi. Quando morì divenne la costellazione di Dragone.\nLeucotea (Λευκοθέα), dea del mare che aiutava i marinai in difficoltà.\nNaiadi (Ναϊάδες), ninfe delle acque correnti:.\nCreniadi (Κρηναῖαι), naiadi delle fontane:.\nAganippe (Ἀγανίππη), naiade vicino a Tespie, in Beozia, alla base del monte Elicona;.\nAppia, più propriamente della mitologia romana, naiadi associate secondo Ovidio a una fontana nel Foro di Cesare;.\nMirtoessa (Μυρτώεσσα), una delle nutrici di Zeus in Arcadia;.\nSitnidi (Νύμφαι Σίθνιδες), gruppo di naiadi associate a un acquedotto in Megara.\nEleadi (Ἒλειάδες), naiadi delle paludi.\nLimniadi, naiadi dei laghi:.\nAstacidi (Ἀστακίδες), ninfe del lago di Astaco, in Bitinia;.\nBolbe (Βόλβη), ninfa di un lago della Tessaglia, elencata anche tra le oceanine;.\nLiriope (Λειριόπη), madre di Narciso;.\nPallade (Παλλάς), compagna di giochi di Atena;.\nTritonide (Τριτονίς), ninfa di un lago salato della Libia.\nPegee (Πηγαῖαι), ninfe delle sorgenti e delle cascate:.\nAlbunea, ninfa della mitologia romana, vicina al luogo della profetessa dell'oracolo che annunciò la nascita di Cristo;.\nAlessiroe (Ἀλεξιρόη), ninfa figlia del fiume Granico (Γράνικος) sul Monte Ida, sacro a Cibele, nella Troade. Di lei si innamorò Priamo.\nAnigridi (Νύμφαι Ἀνίγριδες), figlie del fiume Anigro sul Monte Menta, dove si curavano le malattie della pelle;.\nArchidemia o Aretusa (Ἀρέθουσα), dove nasce la fonte omonima;.\nArpina (Ἅρπινα), collegata a Pisa;.\nCastalia (Κασταλία) o Cassotide (Κασσωτίς);.\nCometo (Κομαιθώ), figlia del fiume Cidno;.\nCoricie o Tia (Θυία), tre ninfe sorelle sul Parnaso:.\nCleodora (Κλεoδώρα), nota per i suoi doni;.\nDafni (Δάφνις), del lauro;.\nMelaina (Μελαίνη), la nera.\nCiane (Κυανῆ);.\nCirtoniane (Νύμφαι Κυρτωνίαι), ninfe locali della città di Cirtone (Κυρτώνη), in Beozia;.\nDeliadi (Νύμφαι Δηλίαδες), figlie di Inopo (Ἴνωπός), dio del fiume omonimo sull'isola di Delo;.\nDirce (Δίρκη), nata donna e trasformata in naiade dopo la morte;.\nGargafia (Γαργαφία) o Platea (Πλαταῖα), una delle figlie del fiume Asopo;.\nAgno (Ἅγνω), nutrice di Zeus bambino;.\nImerie, naiadi ricordate da Pindaro;.\nInachidi (Νύμφαι Ἰνάχιδες), figlie del fiume Inaco (Ἴναχος):.\nIo (Ἰώ), naiade poi trasformata in giovenca da Zeus per la gelosia di Era;.\nAmimone (Ἀμυμώνη);.\nFilodice;.\nMessi;.\nIperia (Ὑπέρεια).\nIonidi (Νύμφαι Ἰώνιδες), naiadi:.\nCallifea (Καλλιφίεια);.\nIasi (Ἴασις);.\nPegaea (Πηγαῖα);.\nSinallassi (Συνάλλασις), della riconciliazione.\nIsmene (Ἰσμήνη);.\nItachesi (Νύμφαι Ἰθακίαι), naiadi nelle caverne sacre di Itaca;.\nLangia (Λαγγία), ricordata dalla Tebaide di Stazio;.\nLibetridi (Νύμφαι Λιβήθριδες), naiadi, tra cui:.\nLibetria (Λιβηθρίας);.\nPetra (Πέτρα);.\nLimnee (Λιμναία), naiade del fiume indiano Gange, e madre di Ati;.\nMagea, naiade siciliana;.\nMilichie, naiade siciliana;.\nMetope (Μετώπη), figlia di Ladone e moglie di Asopo;.\nMisiane (Νύμφαι Μυσίαι), naiadi del lago Ascanio in Bitinia. Furono responsabili del rapimento di Ila:.\nEuneica o Eunica;.\nMali;.\nNicheia;.\nOrtigia (Ὀρτυγία), naiade o naiadi delle sorgenti dell'Isola di Ortigia, vicino a Siracusa;.\nNana (Νάνα), naiade del fiume turco Sakarya;.\nPegasi (Πήγασις), figlia del fiume Grenico;.\nPirene (Πειρήνη);.\nFarmacia (Φαρμάκεια), ninfa di una sorgente velenosa in Attica e compagna di giochi di Orizia;.\nPsani, naiade di una sorgente in Arcadia;.\nRindacidi (Νύμφαι Ῥυνδάκιδες), figlie del fiume Rindaco, in Anatolia;.\nSalmace (Σαλμακίς), ninfa innamorata di Ermafrodito;.\nSpercheidi (Νύμφαι Σπερχεῖδες), figlie del fiume Spercheo (Σπερχειός), in Tessaglia;.\nStrofia (Στροφία), sorgente del Monte Citerone, vicino a Tebe, raramente personificata in una ninfa (per esempio in Callimaco);.\nTelpusa (Θέλπουσα) o Telfusa (Τέλφουσα), figlia del fiume Ladone;.\nTemeniti, naiade siciliana ricordata da Plinio.\nPotamidi (Ποταμηίδες), ninfe dei fumi.\nNereidi (Νηρηίδες), ninfe di mare, figlie di Nereo e Doride, erano 50 ma i loro nomi ricordati sono di più e comprendono:.\nActea (Ἀκταία) o Attea (Ἀκταίη), abitatrice della riva;.\nAgave (Ἀγαυή), l'illustre, da non confondere con Agave che uccise il proprio figlio Penteo;.\nAlie (Ἁλίη) dagli occhi grandi;.\nAlimede (Ἀλιμήδη), ninfa gentile del Mar Mediterraneo;.\nAmateia (Ἀμάθεια), dai bei riccioli, ricordata da Omero;.\nAmphinome (Ἀμφινόμη) o Anfitoe (Ἀμφιθόη), che si muove dolcemente;.\nAnfitrite (Ἀμφιτρίτη), dai capelli neri;.\nApseude (Ἀψευδής);.\nAretusa (Ἀρετοῦσα), poi trasformata in fontana;.\nAutonoe (Αὐτονόη), l'autonoma nel pensiero;.\nCallianassa (Καλλιάνασσα), la regina amata;.\nCallianira (Καλλιάνειρα);.\nCalipso (Καλυψώ), la concepita;.\nCeto (Κητώ);.\nCidippe (Κυδίππη);.\nCimatolege (Κυματολήγη), colei che calma l'onda;.\nCimo (Κυμώ), l'onda;.\nCimodoce o Cimodocea (Κυμοδόκη), che raccoglie l'onda;.\nCimotoe (Κυμοθόη), delle onde in corsa;.\nClio (Κλειώ);.\nClimene (Κλυμένη), della fama;.\nCranto o Crato (Κρατόη);.\nCreneide;.\nDeiopeia;.\nDero (Δηρώ);.\nDessamene (Δεξαμένη), la cui mano destra è forte;.\nDinamene (Δυναμένη);.\nDione (Διώνη);.\nDoride (Δωρίς);.\nDoto (Δωτώ);.\nDrimo (Δρυμός);.\nDinamene (Δυναμένη);.\nEfire o Efira (Ἔφυρα), della città omonima in Tesprozia;.\nEione (Ἠιόνη), delle spiagge sottili;.\nErato (Ἐρατώ), l'amorevole;.\nEuagore (Εὐαγόρη), che assembla i banchi di pesci;.\nEuarne o Evarne (Εὐάρνη), la ben partorita;.\nEucrante (Εὐκράντη), a protezione dei viaggi dei pesci;.\nEudore (Εὐδώρη), dai bei doni;.\nEulimene (Εὐλιμήνη), dei buon ritorni al rifugio o al porto;.\nEumolpe (Εὔμολπος), dal bel canto;.\nEunice (Εὐνίκη), la vittoriosa;.\nEupompe (Εὐπόμπη), della bella processione;.\nEuridice (Εὐρυδίκη);.\nEvagore o Euagora (Εὐαγόρη);.\nFerusa (Φέρουσα), la trasportatrice;.\nFillodoce, ricordata da Igino;.\nGalene (Γαλήνη), dei mari calmi;.\nGalatea (Γαλάτεια), la gloriosa, dalla spuma bianca;.\nGlauce (Γλαυκή), delle acque blu-grigie;.\nGlauconome (Γλαυκονόμη);.\nIaera (Ἴαιρα);.\nIanassa (Ἰάνασσα);.\nIanira (Ἰάνειρα);.\nIfianassa (Ἰάνασσα);.\nIone;.\nIpponoe (Ἱππονόη) o Ippotoe (Ἱπποθόη);.\nLaomedea (Λαομέδεια), a capo degli affollamenti;.\nLeagore o Leiagore (Ληαγόρη), che unisce i pesci in banchi;.\nLeucotoe (Λευκοθέα);.\nLicoreia (Λυκωριάς);.\nLigea o Ligeia;.\nLimnoreia o Limnoria (Λιμνώρεια), delle paludi salmastri;.\nLisianassa (Λυσιάνασσα), delle consegne regali;.\nMarea o Mera o Maira (Μαῖρα);.\nMelite (Nereidi) (Μελίτη), dei mari calmi;.\nMenippe (Μενίππη), dei cavalloni d'onde;.\nNausitoe (Ναυσιθόη), delle navi veloci;.\nNeera (Νέαιρα) o Neaira o Nerea (Νηρεας);.\nNemerte (Νημερτής), la più saggia delle sorelle, dai consigli giusti ma non ascoltati;.\nNeomeride;.\nNesea (Νησαίη) o Neso (Νησώ), delle isole;.\nOpi (Οὖπις);.\nOrizia (Ὠρείθυια), del mare mosso, da non confondere con Orizia;.\nPanopea (Πανόπεια) o Panope (Πανόπη) o Pinope o Panopeia, del bel panorama di mare;.\nPasitea (Πασιθέη), divina in tutto;.\nPlessaure, delle brezze cangianti;.\nPloto (Πλωτώ), la navigante;.\nPolinoe o Polinome (Πουλυνόη), dai molti pascoli e dalla mente ricca;.\nPontomedusa (Ποντομέδουσα), nereide regina;.\nPontoporea (Ποντοπόρεια), che attraversa il mare;.\nPronoe (Προνόη), previdente;.\nProto (Πρωτώ), dei primi viaggi;.\nProtomedea (Πρωτομέδεια), prima regina;.\nPsamate (Πσαμάθη o Ψαμάθη), dea delle spiagge bianche;.\nSao (Σαώ), dei passaggi salvi;.\nSpeo o Speio o Spio (Σπειώ), delle grotte marine;.\nTemisto (Θεμιστώ), delle leggi abitudinarie in mare;.\nTalia (Θαλίη) o Talia (θάλεια), del mare in florescenza;.\nTeti (Θέτις), a capo delle nereidi, presidiava sulla riproduzione marina, madre di Achille;.\nToe (Θόη), dei movimenti d'onda.\nNereo (Νηρέας), il vecchio del mare, dio dell'abbondanza di pesca.\nNerito (Νερίτης), spirito del mare, trasformato in conchiglia da Afrodite.\nOceanine (Ὠκεανίδες), figlie del titano Oceano e di Teti, sorelle dei tremila fiumi-dèi detti Potamoi (Ποταμοί). Esiodo dice che sono tremila ma ne nomina 41, mentre Igino ne nomina altre 17 (e 17 fiumi). Alcune portano lo stesso nome di naiadi, nereidi, muse o ninfe boschive:.\nAcaste (Ἀκάστη), che raccoglie fiori selvatici;.\nAdmete (Ἀδμήτη);.\nAmaltea (Ἀμάλθεια);.\nAnfiro, (Ἀμφίρω) circondante;.\nAnchiroe (Ἀγχιρόη);.\nArgia (Ἀργία);.\nArtemidee (Νύμφαι Ἀρτεμίσιαι), gruppo di sei più giovani, assistenti di Artemide:.\nCrocale (Κροκάλη), sua parrucchiera;.\nIale (Ὑάλη), come il cristallo, lamentosa;.\nNefele (Νεφέλη), delle nuvole, verginea;.\nFiala (Φιάλη), sua profumiera;.\nPseca (Ψέκας), come la pioggia;.\nRanide (Ῥανίς), come una goccia.\nAsia (Ἀσία), sorella di Europa;.\nAsterodia (Ἀστεροδεία);.\nAsteope, che fondò Agrigento;.\nBeroe (Βερόη) o Beirut (Βηρυτός), della città omonima, in Fenicia;.\nBolbe (Βόλβη), bellissima;.\nCalipso (Καλυψώ), colei che nasconde;.\nCalliroe (Καλλιρόη), madre di Gerione;.\nCamarina (Καμάρινα), nell'omonima colonia greca in Sicilia;.\nCafira (Κάφειρα), sull'isola di Rodi;.\nCercei (Κέρκηις), dalla bella figura;.\nCeto (Κητώ);.\nCleodora (Κλεόδωρα);.\nClimene (Κλυμένη);.\nClio (Κλειώ), da non confondersi con l'omonima musa;.\nClizia (Κλυτία);.\nCriseide (Χρυσηΐς);.\nDaira o Daeira (Δάειρα), colei che sa, madre della città di Eleusi (Ἐλευσίς);.\nDione (Διώνη), l'amabile;.\nDodone (Δωδώνη), associata a un pozzo della città di Dodona;.\nDoride, che dà giovamento all'uomo, madre delle Nereidi e di Nerito;.\nIdia o Idua (Εἴδυια o Ἴδυια), la più giovane, madre di Medea e Apsirto;.\nElettra (Ἠλέκτρη), il cui nome indica lo zampillare dell'acqua, moglie di Taumante, con cui generò le Arpie e Iride;.\nEfira (Ἔφυρα);.\nEtra (Αἴθρα);.\nEvagori (Εὐαγόρεις);.\nEudora, che dà buoni doni all'uomo;.\nEurinome (Εὐρυνόμη);.\nEuropa (Εὐρώπα) o Europe (Εὐρώπη), sorella di Asia;.\nGalassaure (Γαλαξαύρη), la cui fonte è bianca come latte;.\nEsione (Ἡσιόνη), probabilmente la stessa chiamata Pronoia;.\nIppo (Ἵππω).\nIache (Ἰάχη), dalle esplosioni di gioia;.\nIanira (Ἰάνειρα), incantatrice;.\nIante (Ἰάνθη), il cui nome indica il colore violetto delle nuvole cariche di pioggia;.\nItome (Ἰθώμη), nutrice di Zeus da piccolo, lo ha lavato con Neda in un pozzo;.\nLeuce (Λεύκη).\nLeucippe (Λευκίππη);.\nLisitea (Λυσιθέα);.\nMelia (Μέλια), sorella di Caanto;.\nMelibea (Μελίβοια);.\nMelite, fondante Malta;.\nMelobosi (Μηλόβοσις), dove si abbeveravano le greggi;.\nMenesto (Μενεσθώ), forte e veloce;.\nMerope (Μερόπη);.\nMeti (Μῆτις), prima sposa di Zeus;.\nMopsopia (Μόψοπια);.\nMirtoessa (Μυρτώεσσα), nutrice di Zeus;.\nNeda o Nede, nutrice di Zeus, lo lavava con Itome;.\nNemesi (Νέμεσις), ridistributrice di giustizia per delitti impuniti o irrisolti;.\nOcirroe (Ὠκυρρόη) o Ociroe;.\nEnoe (Οἰνόη), nutrice di Zeus;.\nOzomene (Ὀζομένη);.\nPasitoe (Πασιθόη);.\nPersuasione (Πειθώ);.\nPeribea (Περίβοια), circondata da bestiame;.\nPerseide (Περσηΐς), madre di Circe;.\nPetrea (Πετραίη), fonte amabile delle rocce;.\nFeno (Φαίνω);.\nFilira (Φιλύρα);.\nFrissa;.\nPleaxure, il cui zampillo fende l'aria;.\nPleione (Πληιόνη), madre delle Pleiadi e dea delle lumache;.\nPluto (Πλουτώ), in salute;.\nPolidora (Πολυδώρη), bella fonte che dà molti doni all'uomo, da non confondersi con Polidoro;.\nPolife (Πολύφη);.\nPolisso o Polisso (Πολυξώ);.\nPrimno (Πρυμνώ), ninfa delle acque profonde e dei pozzi;.\nPronoia, probabilmente la stessa chiamata Esione;.\nRodope (Ῥοδόπη), dal viso rosa;.\nRodia (Ῥόδεια), fonte delle rose;.\nStige (Στύξ), la più illustre e odiata di tutte;.\nStilbe (Στίλβη);.\nTelesto (Τελεστώ), dal peplo di croco (ovvero tinto di giallo zafferano);.\nTisoa (Θεισόα);.\nTiche (Τύχη);.\nToe (Θόη), la veloce;.\nUrania (Οὐρανίη), divina;.\nXante (Ξάνθη) o Xantho;.\nZeuso (Ζευξώ).Oceano (Ὠκεανός), Dio titano del fiume che circonda il mondo, fonte di tutte le acque.\nPalemone (Παλαίμων), conosciuto anche come Melicerte, giovane dio del mare, aiutava i marinai in difficoltà a tornare in porto, corrisponde al latino Portuno.\nPegasidi (Πηγάσιδες), ninfe dei pozzi naturali, collegate a Pegaso.\nPonto (Πόντος), dio primigenio del mare, padre dei pesci e di tutte le creature marine.\nProteo (Πρωτεύς), vecchio dio oracolare del mare, mutaforme e pastore delle foche di Poseidone.\nRodo, figlio di Poseidone, diede nome all'isola di Rodi.\nScilla (Σκύλλα), dea marina mostruosa dello stretto di Messina.\nSirene (Σειρῆνες), ninfe del mare che tentano i naviganti con i propri canti per farli naufragare:.\nAglaope (Αγλαόπη) o Aglaofono (Ἀγλαόφωνος) o Aglaofeme (Ἀγλαοφήμη), dalla voce incantatrice;.\nImerope (Ίμερόπη);.\nLeucosia (Λευκοσία);.\nLigea (Λιγεία);.\nMolpe (Μολπή);.\nPartenope (Παρθενόπη);.\nPeisinoe (Πεισινόη) o Peisithoe (Πεισιθόη);.\nRaidne (Ῥαίδνη);.\nTele (Τέλης);.\nTeltteria (Θελχτήρεια);.\nTelsiope (Θελξιόπη) o Telsiepea (Θελξιέπεια), piacevole all'occhio.\nTelchini (Τελχῖνες), spiriti del mare che abitavano l'isola di Rodi e furono quasi tutti uccisi dagli dèi perché dediti alla magia nera:.\nAtteo (Ἀκταῖος);.\nArgirone (Ἀργυρών);.\nAtabirio (Αταβύριος);.\nCalcone (Χαλκών);.\nCrisone (Χρυσών);.\nDamone (Δάμων) o Demonatte (Δημώναξ);.\nDamnameneo (Δαμναμενεύς);.\nDessitea (Δεξιθέα);.\nLico (Λύκος) o Litto (Λύκτος);.\nLisagora (Λυσαγόρας);.\nMachelo (Μακελώ);.\nMegalesio (Μεγαλήσιος);.\nMila (Μύλας);.\nNicone (Νίκων);.\nOrmeno (Ὅρμενος);.\nSimone (Σίμων);.\nSchelmi (Σκελμίς).\nTeti (Τηθύς), dea dei titani, origine dall'acqua fresca, madre dei fiumi, delle sorgenti, dei ruscelli, delle fontane e delle nuvole.\nTalassa (Θάλασσα), dea primigenia del mare e moglie di Ponto.\nTaumante (Θαῦμας), dio delle meraviglie del mare.\nToosa (Θόοσα), dea delle correnti e madre di Polifemo.\nTriteia (Τρίτεια), figlia di Tritone e madre con Ares di Melanippo.\nTritone (Τρίτων), figlio di Poseidone, a capo anche di:.\nTritoni (Τρίτωνες), spiriti dalla coda di pesce, nati da Tritone, che scortavano le barche (ricordati da Plinio).\n\nDivinità dell'aria e del cielo.\nAcheloide (Ἀχελωΐς), dea minore della luna, che «fa passare i dolori».\nAlectrona (Ἀλέκτρονα), dea solare del mattino e del risveglio, sorella degli Eliadi.\nAnemoi (Ἄνεμοι), dèi dei venti o loro personificazione:.\nBorea (Βορέας), dio del vento freddo del nord (per i romani il Septentrio);.\nEuro (Εὖρος), dio del vento dell'est (per i romani Subsolanus) o dall'est 'sfortunato' (sud-est);.\nNoto (Νότος), dio del vento del sud (per i romani Auster);.\nZefiro (Ζέφυρος), dio del vento dell'ovest (per i romani il Favonius);.\nAnemoi Thyellai (Ἄνεμοι θύελλαι), spiriti dei venti di tempesta creati da Tifone:.\nApeliote (Ἀφηλιώτης), dio dei venti dell'est (quando Euro è considerato da sud-est) (per i romani Apeliotus o Vulturnus);.\nCacia (Κακíας), da nord-est (per i roman Caecius);.\nLipi (Λίψ), dio del vento da sud-ovest (per i romani Afer ventus o vento dall'Africa);.\nScirone (Σκείρων), dio del vento da nord-ovest (per i romani Caurus o Corus).\nAltri dèi di venti minori:.\nApartia (Ἀπαρκτίας), venti del nord diversi da Borea;.\nArgeste (Ἀγέστης), venti dell'ovest o da nord-ovest (o altro nome per Skeiron);.\nCircio (Κίρκιος) o Trascia (Θρασκίας), vento da nord-nord-ovest;.\nEuronoto (Εὐρονότος), dio del vento da sud-est;.\nIapige (Ἰάπυξ), vento da nor-ovest (o altro nome di Skeiron);.\nLibonoto (Λιβόνοτος), vento da sud-sud-ovest (per i romani Austro-Africus);.\nMese (Μέσες), altro nome di venti da nord-ovest;.\nOlimpia (Ὀλυμπίας), probabilmente lo stesso di Skeiron o Argestes;.\nFenicia (Φοινίκας), altro nome dei venti di sud-est, specificamente provenienti dalla Fenicia.\nApollo (Ἀπόλλων), dio olimpico del sole, della luce, della conoscenza, della musica, della cura e delle arti.\nArche (Ἄρκη), messaggera dei titani e sorella gemella di Iride.\nArtemide (Ἄρτεμις), dea olimpica delle vergini, della luna, della natura, della caccia e degli animali selvatici.\nAstreo (Ἀστραῖος), dio titano delle stelle, dei pianeti e dell'arte dell'astrologia.\nAstra Planeti (Ἄστρα Πλανέτοι), dèi delle cinque stelle vaganti o pianeti:.\nStilbone (Στιλβών), dio di Mercurio (Ἀστὴρ Ἡρμάων);.\nEosforo (Ἠωσφόρος), dio di Venere, stella del mattino;.\nEspero (Ἕσπερος), dio di Venere, stella della sera;.\nPiroi (Πυρόεις), dio di Marte (Ἀστὴρ Ἄρειος);.\nFetone (Φαέθων), dio di Giove;.\nFenone (Φαίνων), dio di Saturno (Ἀστὴρ Κρονίων).\nAura (Αὖρα), dea titana dell'aria fresca del mattino.\nAure (Αὖραι), ninfe della brezza e dei venticelli.\nCaos (Χάος), l'entità primigenia che contiene tutto ma essa è nulla, a volte rappresenta l'atmosfera che circonda la terra.\nChione (Χιόνη), dea della neve, figlia di Borea.\nEliadi (Ἡλιάδαι), figli di Elio e Rodo:.\nAtti (Ἀκτίς);.\nAuge (Αὔγης);.\nCandalo (Κάνδαλος);.\nCercafo (Κέρκαφος);.\nMacari (Μάκαρ) o Macareo (Μακαρεύς);.\nOchimo (Ὄχιμος), il primogenito;.\nTenage (Τενάγης);.\nTrinace (Θρίναξ);.\nTriope (Τρίωψ).\nElio (Ἥλιος), dio titano del sole, guardiano dei giuramenti.\nEmera (Ἡμέρα), dea primigenia del giorno.\nEolo (Αἴολος), dio dei venti.\nEos (Ἠώς), dea titana dell'aurora.\nEosforo (Ἑωσφόρος), personificazione della stella del mattino.\nEra (Ἧρα), regina del paradiso, dell'aria e delle costellazioni.\nErsa (Ἒρση), dea della rugiada.\nEsperidi (Ἕσπερίδες), ninfe serali associate con la pioggia, figlie di Notte e rappresentate nella costellazione del Toro, variano da tre (più spesso) fino a sette:.\nEgle (Αἴγλη), la radiante;.\nEritea (Ἐρύθεια) o Eriti (Ἐρύθεις), la rossa;.\nEsperetusa (Ἑσπερέθουσα), dagli occhi di bue, a volte separate in:.\nEsperia o Espera (Ἑσπέρα);.\nAretusa (Ἀρέθουσα).\nAltri nomi della tradizione per le esperidi:.\nAerica;.\nEope;.\nAnteia (Ἀντεῖα);.\nAsterope (Ἀστερόπη);.\nCalipso (Καλυψώ);.\nCrisotemi (Χρυσόθεμις);.\nDonaci;.\nEstia (Ἑστία);.\nIppolita (Ἱππολύτη);.\nIgia (Ὑγίεια);.\nLipara (Λίπαρα);.\nMapsaura;.\nMermesa;.\nNelisa;.\nTara (Τάρα);.\nTeti (Θέτις).\nEtere (Αἰθήρ), divinità primigenia del cielo.\nIride (Ἴρις), dea dell'arcobaleno e dei messaggi divini.\nNuvole (Νεφέλαι), ninfe delle nuvole.\nNotte (Νύξ), dea della notte.\nPandia (Πανδία), figlia di Selene e Zeus.\nFosforo (Φωσφόρος), personificazione della luce e del mattino.\nPleiadi (Πλειάδες), dee delle omonime costellazioni:.\nAlcione (Ἀλκυόνη);.\nCeleno (Κελαινώ);.\nElettra (Ἠλέκτρα);.\nMaia (Μαῖα);.\nMerope (Μερόπη);.\nSterope (Στερόπη);.\nTaigete (Ταϋγέτη).\nSelene (Σελήνη), dea titana della luna.\nUrano (Οὐρανός), dio primigenio dei cieli.\nZeus (Ζεύς), dio dei cieli e del cielo, delle nuvole, dei tuoni e dei lampi.\n\nDivinità dei boschi.\nDivinità agricole.\nDivinità della salute.\nAltre divinità.\nMortali.\nSemidèi.\nEroi.\nEroine.\nVeggenti e indovini.\nAnfiloco (Ἀμφίλοχος).\nAnio (Ἄνιος), figlio di Apollo che profetizzò che la guerra di Troia sarebbe stata vinta nel suo decimo anno.\nBranco (Βράγχος), altro figlio (od amante) di Apollo.\nCalcante (Κάλχας), veggente argivo che aiutò i greci durante la guerra di Troia.\nCarno, veggente dell'Acarnania e amante di Apollo.\nCaria, veggente e amante di Dioniso.\nCassandra (Κασσάνδρα), principessa troiana che fu maledetta: conosceva il futuro ma non era creduta.\nCeleno ;regina delle arpie, sulle strofadi, aveva il potere di prevedere il futuro.\nEnnomo (Ἔννομος), veggente misiano ucciso da Achille durante la guerra di Troia.\nEleno (Ἕλενος), fratello gemello di Cassandra, indovino e poi re dell'Epiro.\nAliterse (Ἁλιθέρσης), veggente di Itaca che predisse alle cucitrici di Penelope il ritorno di Odisseo.\nIamo (Ἴαμος), figlio di Apollo con il dono della profezia, fondò la dinastia degli Iamidai.\nIdmone, veggente che navigò a seguito degli Argonauti.\nManto (Μαντώ), figlia di Tiresia.\nMelampo (Μελάμπους), leggendario guaritore, indovino e re di Argo.\nMopso (Μόψος) – indovino, figlio di Ampice e Cloride, che partecipò alla spedizione degli Argonauti.\nMopso (Μόψος) – indovino, figlio di Apollo (o Racio) e Manto.\nPolido (Πολύιδος), veggente di Corinto che riportò in vita Glauco.\nTelemo (Τήλεμος), indovino che predisse che Polifemo sarebbe stato accecato da Odisseo.\nTeoclimeno (Θεοκλύμενος), indovino che vive alla corte di Penelope.\nTiresia (Τειρεσίας), celebre indovino cieco di Tebe.\n\nAmazzoni (figlie di Ares).\nEgea, regina delle amazzoni (Ἀμαζόνες), donne guerriere mitiche;.\nAella (Ἄελλα), uccisa da Eracle;.\nAlcibia (Ἀλκιβίη), uccisa da Diomede;.\nAlcippe (Ἀλκίππη), uccisa da Eracle;.\nAntandra (Ἀντάνδρη), uccisa da Achille;.\nAntibrote (Ἀντιβρότη), uccisa da Achille;.\nAntioche (Ἀντιόχη), ricordata da Igino;.\nAntiope (Ἀντιόπη), figlia di Ares, regina delle Amazzoni;.\nAntrobota;.\nAreto (Ἀρετώ);.\nArmotoe, dagli occhi neri;.\nAsteria (Ἀστερία), uccisa da Eracle;.\nBremusa (Βρέμουσα), uccisa da Idomeneo;.\nCeleno (Κελαινώ), uccisa da Eracle;.\nCleta (Κλήτα), la famosa, nutrice di Pentesilea;.\nClonia (Κλονίη), la tumultuosa;.\nDeianira (Δηιάνειρα), colei che combatte gli uomini, uccisa da Eracle;.\nDerimacheia, uccisa da Diomede;.\nDerinoe (Δερινόη), ricordata da Quinto Smirneo;.\nDiossippe, ricordata da Igino;.\nEuripila (Εὐρυπύλη), capo delle amazzoni che assalirono Babilonia;.\nIppotoe (Ἱπποθόη), uccisa da Achille;.\nIfito (Ἰφιτώ);.\nIppolita (Ἱππολύτη), regina della amazzoni, figlia di Ares;.\nLampedo (Λαμπεδώ), dalla torcia, regnò con sua sorella Marpesia;.\nLisippa (Λυσίππη);.\nMarpesia (Μαρπεσία), regnò con la sorella Lampedo;.\nMelanippe (Μελανίππη), altra sorella di Antiope e Ippolita;.\nMolpadia (Μολπαδία), uccise probabilmente Antiope;.\nMirina (Μύρινα), regina della amazzoni;.\nOrizia (Ὠρείθυια); regina della amazzoni;.\nOtrera (Ὀτρήρα), regina delle amazzoni, madre di Ippolita;.\nPantariste (Πανταρίστη), amazzone che aiutò Ippolita contro Eracle;.\nPentesilea (Πενθεσίλεια), regina della amazzoni che combatté alla guerra di Troia contro i greci;.\nPolemusa (Πολεμοῦσα), uccisa da Achille;.\nTalestri (Θάληστρις), ricordata nel Romanzo di Alessandro.\n\nVoci correlate.\nMitologia greca.\nLista di divinità.\nReligione dell'antica Grecia.\nLe opere e i giorni e Teogonia (Esiodo).\nIliade e Odissea.\nBiblioteca (Pseudo-Apollodoro).\nPeriegesi della Grecia (Pausania).\nGuerra di Troia.\nMitologia romana.
@Scribis @Italiano. Raccontami qualcosa riguardante la mitologia greca.
### Titolo: Dodici fatiche di Eracle.\n### Descrizione: Le dodici fatiche (in greco dodekathlos) di Eracle, poi Ercole nella mitologia romana, sono una serie di episodi della mitologia greca, riuniti a posteriori in un unico racconto, che riguardano le imprese compiute dall'eroe Eracle per espiare il fatto di essersi reso colpevole della morte della sua famiglia. Secondo un'ipotesi, il ciclo delle dodici fatiche sarebbe stato per la prima volta fissato in un poema andato perduto, l'Eracleia, scritto attorno al 600 a.C. da Pisandro di Rodi. Attualmente le fatiche di Eracle non sono presenti tutte insieme in un singolo testo, ma si devono raccogliere da fonti diverse.\nNelle metope del Tempio di Zeus ad Olimpia, che risalgono al 450 a.C. circa, si trova una famosa rappresentazione scultorea delle Fatiche: potrebbe essere stato proprio il numero di queste metope, 12 appunto, ad aver fin dai tempi antichi indotto a fissare a questa cifra il tradizionale numero delle imprese.\n\nPremessa.\nZeus, dopo aver reso Alcmena incinta di Eracle, proclama che il primo bambino da allora in poi nato dalla stirpe di Perseo sarebbe diventato re di Tirinto e di Micene. La moglie di Zeus, Era, però, sentito questo, fa in modo di anticipare di due mesi la nascita di Euristeo, appartenente appunto alla stirpe di Perseo, mentre quella di Eracle viene ritardata di tre. Venuto a sapere quanto successo, Zeus va su tutte le furie, tuttavia il suo avventato proclama rimane valido.\nAnni dopo, mentre si trova in preda ad un attacco di follia provocatogli da Era, Eracle uccide sua moglie e i suoi figli. Ritornato padrone di sé e rendendosi conto di ciò che ha fatto, decide di ritirarsi a vivere in solitudine in un territorio disabitato. Rintracciato dal cugino Teseo, viene convinto a recarsi dall'Oracolo di Delfi dove la Pizia gli dice che, per espiare la sua colpa, deve recarsi a Tirinto al fine di servire Euristeo per dodici anni compiendo una serie di imprese, le quali sarebbero state stabilite proprio da costui. Euristeo però, problematicamente, è l'uomo che aveva rubato ad Eracle i diritti di sovranità e che, di conseguenza, egli odia più di ogni altro. Come compenso per il completamento delle fatiche, ad Eracle sarebbe stata poi concessa l'immortalità.\n\nLe fatiche.\nDurante le sue fatiche, Ercole viene spesso accompagnato da un giovane compagno (un Eromenos) che secondo alcuni si chiama Licinio, secondo altri invece è il nipote Iolao. Sebbene dovesse originariamente compiere soltanto dieci imprese, è costretto a causa di questo compagno a cimentarsi anche in altre due, infatti Euristeo non giudica valida l'uccisione dell'Idra perché il compagno l'ha aiutato, né l'episodio delle stalle di Augia perché questi ha percepito un compenso. L'ordine tradizionale delle fatiche è riportato dallo Pseudo-Apollodoro (2, 5, 1-12):.\n\nUccidere l'invulnerabile leone di Nemea e portare la sua pelle come trofeo;.\nUccidere l'immortale idra di Lerna;.\nCatturare la cerva di Cerinea;.\nCatturare il cinghiale di Erimanto;.\nRipulire in un giorno le stalle di Augia;.\nDisperdere gli uccelli del lago Stinfalo;.\nCatturare il toro di Creta;.\nRubare le cavalle di Diomede;.\nImpossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni;.\nRubare i buoi di Gerione;.\nRubare i pomi d'oro del giardino delle Esperidi;.\nPortare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene.\n\nIl significato delle fatiche.\nAlle sovrumane imprese di Ercole, spesso compiute con un atteggiamento di sfida alla morte, si può attribuire anche un significato filosofico, morale e allegorico che supera quello immediato di semplice narrazione di gesta eroiche: la figura di Eracle rappresenta una tradizione di mistica interiore e le Fatiche possono essere tranquillamente interpretate come una sorta di cammino spirituale. Le ultime tre Fatiche di Ercole sono generalmente interpretate come una metafora della morte. Ercole è l'unico eroe greco al quale non sia stato attribuito un luogo di sepoltura, e i sacrifici e le libagioni ctonie in suo onore venivano celebrati contemporaneamente in tutte le località. Alcuni studiosi di recente hanno sostenuto l'ipotesi per cui le dodici fatiche di Ercole (Eracle) siano state assimilate ai dodici segni dello zodiaco, anche se in alcuni casi è difficile vederne una analogia.\nRecenti studi scientifici, pubblicati nel 2017 dal CNR, hanno riconosciuto come il ciclo leggendario di Eracle preservi invece una descrizione dettagliata, benché trasfigurata dalla tradizione orale, dell’epopea di quei gruppi umani che gli archeologi moderni chiamano “Micenei”, dal loro primo manifestarsi nella piana di Argo ai contatti stabiliti con altre civiltà del Mediterraneo, durante tutta l'età del Bronzo.\n\nLa geografia delle fatiche.\nLa ricerca di una possibile localizzazione geografica dei luoghi in cui le Fatiche vengono portate a termine porta a concludere che la maggior parte di esse si svolga nel territorio dell'Arcadia o, comunque, siano in relazione con esso.\n\nLa cittadina di Nemea a nord-ovest di Argo.\nIl lago Lerna, ora scomparso, a sud dell'omonima cittadina.\nIl monte Erimanto, attualmente chiamato Olonos.\nLa cittadina di Cerinea, nel nord-ovest del Peloponneso.\nIl lago Stinfalo, immediatamente a ovest di Cerinea, che anticamente era una palude.\nIl fiume Alfeo, che scende dai monti ad occidente.\nLa città di Sparta, dove si colloca l'entrata al mondo dei morti.\nL'isola di Creta, abitata da abili navigatori e commercianti.\nLa nazione della Tracia, descritta come nemica di Argo durante la Guerra di Troia, e qui collegata al mito di Diomede.\n\nLetteratura.\nAgatha Christie: Le fatiche di Hercule, 1947.